Stefano Folli scrive su Repubblica un commento con la consueta lucidità. Nelle prime righe c’è il giudizio sintetico dell’ex direttore del Corriere della Sera e attuale editorialista: “Il rispetto verso i romani e anche verso se stessi impone ai dirigenti del Pd di accettare i dati reali della primarie per quello che sono: l’evidenza di un sostanziale fallimento”.



Lei si aspettava a Roma un simile risultato, Folli? Si temeva l’astensione alla vigilia del voto, ma i commenti di alcuni esponenti del Pd sono stati duri, molto duri. Che cosa prevede per le amministrative?

Il risultato è quello che è. Possiamo dire intanto una cosa, a parte i commenti problematici e certamente non positivi sull’affluenza. Perlomeno, in questa occasione, i candidati della segreteria del partito e del presidente del Consiglio, sia a Roma che a Napoli, hanno vinto, sono arrivati primi. Poi, che esista una sinistra divisa, un partito diviso al suo interno non è più un mistero per nessuno.



Ha abbastanza stupito il tono di questi commenti, come quello di Massimo D’Alema: “Vedo più osservatori che protagonisti”. E un modo quasi velenoso per giudicare il risultato di queste primarie romane.

Certo D’Alema, più di altri, esprime il dissenso che esiste all’interno del partito. L’altra volta, nelle precedenti primarie, andarono a votare 95mila persone, che qualcuno poi arrivò a “gonfiare” fino a 105mila. C’è sempre qualche aggiustamento. Questa volta si parla di circa 40mila o 50mila persone che hanno partecipato a questa nuova selezione delle primarie, che hanno di fatto sostituito le vecchie selezioni fatte dai partiti. Insomma, a conti fatti, si arriva al non voto di quasi il 55 per cento. Non è di certo un bel segnale. E questo può avere indubbiamente un’influenza sul risultato finale delle amministrative.



Che ipotesi si possono fare in base a queste primarie?

Insomma, il problema reale non è di certo Roberto Giachetti, ma le divisioni all’interno del partito. Le previsioni a questo punto diventano veramente difficili e problematiche. Possiamo aggiungere che si sprecano. Bisogna vedere a che punto arriva il dissenso a sinistra. Questo è il punto cruciale, a meno di non credere che questo risultato sia semplicemente un episodio che si accumula tra i tanti della vicenda romana”.

C’è chi sostiene che la lista di Stefano Fassina, insomma la sinistra del Pd, avrebbe una percentuale che si aggira in torno al 12 per cento.

Mi pare un’esagerazione. Non credo che da solo, Fassina, con la sua lista, possa raggiungere una simile percentuale. Se, come dicevo non si tratta di un semplice episodio, c’è invece da considerare il malcontento generale di una parte della sinistra che potrebbe influire. Parlo di tanti esponenti della sinistra che potrebbero in qualche modo diventare un punto di riferimento. Lei parla di Fassina, cita il commento di D’Alema, ma mi lasci aggiungere: che incognita può riservare l’ex sindaco Ignazio Marino? E’ evidente che ci troviamo di fronte a tante varianti che alla fine possono giocare contro il successo di Giachetti.

Alla fine sembra che sia proprio un grande dissenso a sinistra che può compromettere le possibilità di vittoria di Giachetti. Ma fino a che punto?

In una situazione come quella romana, con un Pd molto diviso sulla sinistra, all’eventuale ballottaggio il Movimento 5 Stelle sarebbe inevitabilmente favorito e facilitato. E’ a Roma infatti che il M5s ha un grande seguito, può contare su voti e consensi. Ma questo tipo di analisi e di previsione ha soprattutto un punto che va sottolineato.

 

Quale sarebbe, Folli, questo punto?

Vede, questi 40 o 50mila voti che sarebbero arrivati (bisognerà fare i calcoli giusti) con le primarie hanno veramente il “sapore” dell’apparato. Cioè sono voti che rappresentano la parte più legata al partito, che comunque per il partito si mobilita sempre. Ma, in una situazione come quella che ha vissuto Roma in questi mesi, ci si aspettava che arrivasse soprattutto un voto di opinione pubblica più ampio. Un voto che seguisse le indicazioni di una svolta anche per Roma, come lo stesso presidente del Consiglio e segretario del Pd vorrebbe e che lui stesso persegue a livello nazionale. Diventa persino paradossale che un uomo come Matteo Renzi, che sul contatto con le persone, sulle primarie, ha costruito sinora tutta la sua carriera politica, debba ricorrere a quel poco di struttura partitica, di apparato in parole povere, per portare a casa il risultato delle primarie. E’ più che lecito pensare che questo non sia affatto un buon segnale.

 

Si può considerare anche un’altra variante, quella di Alfio Marchini?

E perché no? In questo momento la partita è veramente aperta.

 

Sulla strada del presidente del Consiglio c’è un altro problema, che ovviamente non è solo del premier ma di tutta Italia: quello della Libia…

Per un problema tale, questo è veramente il momento dell’accortezza e della prudenza. C’è stata una tragedia, ci sono grandi difficoltà, ci sono interessi italiani da difendere che altri stanno guardando con interesse. E’ il momento di sapersi muovere senza fare colpi di testa. Sulla Libia, in questo momento, non si può parlare a vanvera.

(Gianluigi Da Rold)