“A Napoli c’erano file lunghe così, ai seggi per le primarie del Pd: neanche regalassero i soldi. Anzi, sì, li regalavano”. Un epitaffio satirico definitivo quello inchiodato da Maurizio Crozza sulla lapide della grande pantomima delle primarie che Matteo Renzi, imperterrito, ha perpetuato per il voto amministrativo, in giro per l’Italia, indifferente allo sfregio inferto a questo giovane e malaticcio istituto privato dalle consultazioni-farsa dello scorso anno a Genova.



Dunque a Napoli alcuni videomaker amatoriali hanno immortalato dei consiglieri comunali piddini (di osservanza renziana? Ah, saperlo!) che, fuori dai seggi, intercettavano potenziali elettori pagandogli da uno a dieci euro – poca roba – per il disturbo di entrare, mettere la croce sul nome giusto, quello di Valeria Valente, la candidata sostenuta dal segretario-premier e andarsene in pace. La quale Valente, quando la forza informativa immediata dei video ha fatto saltare la fase del sospetto per arrivare immediatamente a quella dell’indagine penale sui brogli, è stata la prima a invocare trasparenza, come se fosse logico pensare – poi, per carità, tutto è possibile – che il beneficiario di un broglio non ne sappia niente. Eletto a sua insaputa dai voti comprati dei galoppini renziani, gli ascari del Capo.



Attenzione, perservare diabolicum: la denuncia di Sergio Cofferati, lo scorso anno in Liguria, contro la capillare organizzazione delle primarie che pilotò la vittoria de La Paita non ha evidentemente insegnato nulla. E nulla ha insegnato la ridicola rarefazione dei votanti a Roma.

Quel che offende di più non è soltanto il broglio in sé, ma il broglio applicato a un’iniziativa volontaria, libera – non prescrittiva – assunta allo scopo opposto di quello che qualcuno persegue poi con i brogli, cioè allo scopo di praticare e sfoggiare la massima democraticità nelle scelte “dal basso” dei futuri rappresentanti del popolo. Un po’ come se Dracula si facesse vedere seduto al tavolo di un ristorante vegetariano.



Ed è appunto questo snodo – la deturpante deviazione di un istituto di trasparenza – che dovrebbe imbarazzare Renzi, o comunque il segretario di ogni partito al cui interno si manifestasse il problema. Perché? Semplice. Le primarie ci sono state presentate – anzi, propinate – come il metodo migliore e più moderno per superare le antiche logiche burocratiche e lobbistiche che generavano le designazioni politiche. Il leader autocrate – oggi Renzi, ma invece di lui avrebbe potuto essere Berlusconi se avesse apprezzato il “genere” primarie – più che mai deciso a scegliere uno per uno i candidati da portare al voto finale degli elettori, simula dunque con la consultazione informale della base dei propri simpatizzanti la determinazione a innalzare sugli altari della candidatura ufficiale soltanto i designati dal basso, dal popolo.

Peccato, però, che nella fase operativa di questa specie di sondaggio d’opinione elevato a rango di elezione primaria, ritorna intatta la forza dell’apparato del partito, e ritorna per manipolare, coartare, deviare il corso naturale degli eventi. All’insaputa del beneficiario politico del broglio? All’insaputa del Capo Supremo? Tutto è possibile, per carità. Ma probabile, non lo è.

Attenzione: la furbizia e il raggiro si mescolano anche stavolta indissolubilmente con la spocchia verso gli avversari, in questo caso i grillini, tacciati di essere costretti ad accontentarsi di “pochi clic” su Internet non avendo il coraggio e la forza di misurare la propria base in vere e proprie primarie per scegliere candidati “dal basso” anziché farli individuare dall’alto, dai due capi Grillo e Casaleggio.

Il paradosso finale è che Renzi è costretto a far finta di niente, perché se dovesse sospendere il ricorso alle primarie farebbe capire che considera potenzialmente fuorviante, a suo stesso vantaggio in quanto capo supremo in carica, un metodo di preselezione democratica dei candidati alle elezioni amministrative. Lui invece non può che continuare a considerare, e far considerare, i brogli ormai acclarati come il prodotto delle solite “poche mele marce” che non inquinano però la validità dell’intero metodo.

Con questo non si deve e non si può arguire che esista, nella piena consapevolezza di Renzi o comunque col suo avallo, una strategia imperniata sui brogli e finalizzati a far prevalere sempre i candidati graditi al vertice. Bisogna lasciare il beneficio del dubbio sul fatto che terze persone, zelanti imbecilli, abbiamo armato i mestatori operativi sul territorio all’insaputa del capo. Per poi magari, dopo, a cose fatte, vantarsene col vertice. Ma allora questo sarebbe il momento, per il capo, di promuovere inchieste e ricambi. Dimostrando con i fatti di non aver bisogno di truccare le primarie per far vincere i candidati a lui cari. Ma lo farà?