Nell’Eurozona della deflazione e nell’Italia della crescita che non arriva mai, dove tutto deve essere rivisto al ribasso, sta andando in onda il triste festival del putiferio politico. Il cammino perverso di imboccare la strada della deflazione deve essere messo sul conto di questi leader europei, spacciati come grandi statisti, a cominciare dalla figlia del pastore protestante di Lipsia (ai tempi del “democratico” Ulbricht e poi del “progressista” Honecker), la signora Angela Merkel, da un apparato mediatico che, soprattutto in Italia, sta raggiungendo livelli grotteschi.
Nel Belpaese ieri la notizia trainante era rappresentata dal libro-verità del “marziano” di Roma, Ignazio Marino. Un autentico delirio di generale incapacità politica, che Benedetto Croce definirebbe “inintelligente” e quindi non etica. Oggi sono seguite altre amenità da baraccone da fiera: il ministro dell’Interno Alfano che rispolvera (ma chi se lo ricordava ?) il ponte di Messina e propone come data per il voto amministrativo il 5 giugno, ferie permettendo. Poi spunta la ministra Guidi, sorpresa al telefono con il suo “compagno” (chissà se si può ancora dire fidanzato) noto “trivellatore” petrolifero della Total, che viene rassicurato su un emendamento ad hoc nella legge di stabilità, tanto che sarebbe intervenuta anche “Maria Elena”, cioè il (o la?) ministro Boschi.
A questo punto ci si chiede, rispettando il pianeta che tanto amava Schiaparelli, se ci si trova di fronte non a un “marziano” chirurgo, sindaco dimissionato da un notaio a Roma, ma a una tribù di “marziani”, con il suo capo attualmente in trasferta in America, dove dovrebbe (il condizionale sembra d’obbligo) incontrare il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, per spiegargli quale atteggiamento l’Italia intende tenere sull’esplosiva situazione della Libia.
La “fuga americana” di Renzi è incominciata male, con le parole dell’ambasciatore italiano Armando Varricchio che gli ha spiegato l’irritazione di Obama per l’accordo con la Turchia sui migranti e l’ondivago, ogni tanto annunciato ogni tanto ritirato, impegno dell’Italia in Libia.
Parallelamente alla “fuga in America” è già sparita dalle prime pagine dell'”orchestra mediatica” italiana la tragedia del giovane Giulio Regeni, il giovane italiano, ricercatore di Cambridge, ucciso sotto tortura in Egitto, con tutta probabilità da una “squadra” dei servizi segreti del Cairo, che opera, come si diceva un tempo, “sul campo”, senza dover rispondere a nessuno e con licenza di uccidere.
Mentre il premier inaugurava centrali e scuole negli States, Paola e Claudio Regeni, i genitori di Giulio, affrontavano la stampa nella Sala Nassiriya di Palazzo Madama al Senato e chiedevano, con tono fermo ma straziante per chi li ascoltava con un poco di cuore, di conoscere la verità sulla fine del loro ragazzo. Una verità che non può essere bloccata dalla “ragion di Stato” o dal business internazionale. Il “coraggio della verità” è nelle democrazie il “coraggio della ragione”, perché sono le Costituzioni democratiche, scritte e non scritte, ad anteporre le persone e gli individui allo Stato nell’interesse della convivenza civile.
Ora, è vero che l’Italia è il Paese dove, quando Aldo Moro scriveva le sue lettere dal carcere delle Brigate rosse, c’era un battaglione di intellettuali e politici che sostenevano che “quelle lettere non erano ascrivibili moralmente a Moro” e che bisognava schierarsi a difesa dello Stato.
Ma sulla tragedia di questo ragazzo ci sarà pure qualcuno che avrà il fegato di separare affari internazionali e crudeltà poliziesche, per stabilire verità senza compromettere le intese comuni in politica estera.
A ben vedere, il groviglio libico e il dramma di Regeni è intrecciato da una situazione geopolitica infernale. I due fatti non si dovevano parzialmente schivare o evitare, come è stato fatto all’inizio, neppure prolungare e rinviare nel tempo, come ha fatto invece il nostro primo ministro giovanilista e il suo apparato. Veloce e rapido ai computer, ma lento come la fame in scelte politiche rilevanti.
Durante la famosa “notte di Sigonella” del 1984, il premier italiano dell’epoca, Bettino Craxi, respinse il diktat del colonnello Oliver North inviato da Ronald Reagan, facendo circondare la squadra dei soldati americani dai carabinieri italiani. Ma mai e poi mai quel premier mise in discussione l’alleanza con gli Stati Uniti.
E’ possibile che oggi l’inquilino di Palazzo Chigi dica e non dica, prometta e non prometta? Faccia intendere che l’Italia sarà la capofila nell’operazione libica e poi si accodi ai “suggerimenti” di Paolo Mieli, il vecchio stratega e suggeritore degli ex poteri forti italiani oggi in agonia? E la sortita di Mieli martedì sul Corriere è stata un’anticipazione per aiutare Renzi o un avvertimento che arriva da altre parti, dove l’impareggiabile Mieli si è accasato?
Resta il fatto che l’imbarazzo di Renzi rivela una mancanza di volontà politica, di decisione nell’affrontare i problemi in termini reali. O si dice chiaramente che la nuova dottrina Obama, il subappalto di una leadership regionale anche militare, non viene accettata, oppure si affronta la realtà per quella che è, con una valutazione complessiva che tiene conto dei limiti di movimento dell’Italia per questioni di opinione pubblica o di tenuta di governo. Il resto è solo indecisione cronica, che alla fine si trasformerà in boomerang.
Non esistono molte variazioni sul tema, suggerimenti correttivi, come il solo governo della Tripolitania proposto, sempre sul Corriere della Sera, dall’ex amministratore dell’Eni Paolo Scaroni. Un federalismo libico sembra un po’ azzardato. Forse neppure Umberto Bossi avrebbe osato immaginarlo.
Intrecciato, come si diceva, c’è poi il caso Regeni. Su cui si nota già un generale accordo mediatico: la verità non si saprà mai. Purtroppo può darsi che sia così. Ma si può mostrare una volontà più marcata che non le consuete dichiarazioni di prammatica?
Si può cercare la verità sulla fine del giovane Giulio Regeni anche se l’Egitto è impegnato militarmente nella questione libica? In fin dei conti conviene anche al generale Al Sisi combattere contro il caos libico e bisognerebbe ricordarglielo con una certa fermezza. Così come bisognerebbe ricordargli che il giacimento egiziano di Zohr, serve più agli egiziani che agli italiani e, in tutti i casi, non può sostituire la verità su un delitto odioso.
Aspettiamo con ansia che il ministro Boschi dia seguito alla sua dichiarazione. Che cioè non si accontenta di “verità di comodo”. Lo speriamo, perché altrimenti si dovrebbe dire che l’Italia non merita un personale politico che non sappia neppure difenderla sui principi fondamentali.