Il referendum “no triv” che si terrà il 17 aprile si sta caricando di significati molto diversi da quelli che dovrebbe avere, come capita solitamente a causa dell’endemico clima arroventato della politica nostrana. La tesi è quella di fermare le concessioni anche quando i giacimenti siano ancora attivi. Ma in molti ambienti politici sono forti le spinte a usare il referendum come arma anti-Renzi, essendosi esplicitamente  pronunciato contro ulteriori penalizzazioni per la ricerca, la coltivazione, l’estrazione degli idrocarburi. Ma c’è anche il tentativo a che la consultazione popolare si percepisca come un pronunciamento a favore o contro l’ambiente.



In questo clima è stato singolare l’intervento del Presidente della Corte Costituzionale, che si è lasciato andare ad affermazioni discutibili sul diritto-dovere a non disertare le urne. Ha equiparato il voto per le elezioni dei rappresentanti delle istituzioni ai referendum: che come si sa sono promossi da una piccola porzione di cittadini, e possono essere validi con il raggiungimento del quorum del 50% più un un voto. L’elettore, nel caso del referendum, può esprimere il proprio dissenso rispetto ai temi posti anche disertando le urne: è nel proprio diritto costituzionale.



Purtroppo, per molti soggetti impegnati nella competizione, sembra essersi perso ogni contatto con il merito delle problematiche sollevate; ognuno insegue un suo obiettivo politico che obbedisce solo al criterio di posizionarsi al contrario del proprio avversario. C’è da chiedersi: chi insegue il benessere generale del Paese?

Siamo il secondo Paese industriale d’Europa e il settimo del mondo. La nostra capacità competitiva dipende grandemente dai costi della energia, ma pare che questa verità interessi ben pochi italiani, che pur si lagnano della depressione economica in cui siamo caduti e della scarsità grave di posti di lavoro. Penso che molti hanno smarrito il senso della realtà in cui viviamo. L’energia è un bene sempre più strategico nella società moderna; per noi ha un’importanza vitale per la forza competitiva necessaria, per conservare il nostro posto nei mercati internazionali. Va ricordato che gli italiani sono riusciti a conquistarlo in epoche in cui essi spingevano con tutte le loro forze per raggiungere il benessere, che tutto sommato ancora oggi tra mille difficoltà mantengono.



Tempo fa un altro referendum ha detto di no all’energia nucleare che costa molto meno delle altre energie, ma i nostri concorrenti, anche alle porte dell’Italia come la Francia, ne fanno grande uso, guadagnando così un vantaggio competitivo rilevante nei nostri confronti.

Pazienza dissero i perplessi di fronte al responso elettorale, organizzeremo le provviste energetiche in altro modo. Ma alla perplessità si è  aggiunto presto lo sconcerto per i ripetuti rifiuti che qui e lì si sono espressi anche sul carbone pulito, sull’energia prodotta da fotovoltaico ed eolico. In tale caos non si è mai definito un vero piano energetico nazionale. Ma intanto la bolletta energetica italiana è risultata sempre più  salata per gli usi civili e industriali, grandemente affidati ai rifornimenti di idrocarburi.

Procedendo così disordinatamente con le politiche di settore, difficilmente sapremo supplire rapidamente come si dovrebbe, con nuove fonti di approvvigionamento, ricorrendo alla moltiplicazione dell’energia rinnovabile. È poi significativo dello sbandamento italico il fatto, che al contrario di anni fa, quando si scoprono giacimenti di gas e petrolio nei nostri territori e mari, si nota indifferenza, quando non il senso della sventura in una consistente fetta dell’opinione pubblica. L’ambiente va certamente rispettato, e si vuol credere che finora le tante estrazioni avvenute l’hanno in ogni caso salvaguardato. Occorrerà senza dubbio essere ancora più attenti nel futuro; ma la cautela dovrà riguardare anche come riusciremo a procurarci da vivere nella nuova divisione del lavoro internazionale. 

L’occupazione, il benessere economico dipenderanno da come gli italiani sapranno conciliare le loro esigenze di salvaguardare il loro ambiente naturale, coniugandolo con le esigenze dell’economia e delle vocazioni produttive finora tutelate, pur di guadagnarsi il proprio sostentamento. Gli elettori dovranno considerare bene, in occasione del referendum, l’utilizzo del voto o dell’astensione. Da questo evento si potrà rendere più sicuro il proprio avvenire, o renderlo più difficile in uno scenario internazionale economico in forte trasformazione, peraltro in una lotta tra potenze, anche cruenta, per accaparrarsi fonti energetiche sempre più copiose e a buon mercato.