A poche ore dalla fine del voto sulle trivelle, ci si continua ad interrogare su come, quando e dove si vota per gli ultimi elettori che hanno deciso di andare a votare nelle ultime ore disponibili; soprattutto ci si interroga se il quorum del voto verrà raggiunto, con la prima affluenza ferma all’8.35% che preoccupa i sostenitori del Sì e che potrebbe scoraggiare qualcuno l’andare alle urne dato la bassa frequenza di affluenza. Le somme si tireranno dopo le 23 e dopo lo spoglio generale ma per comprendere al meglio quale sarà la situazione dopo i secondi dati che il Viminale darà alle ore 19 la ricetta è semplice. Con un rapido calcolo dovuto anche alle esperienze di referendum passati, alle 19 sarà necessario che il quorum abbia raggiunto una cifra molto vicina al 30% per poter sperare di crescere ancora e superare quota 50% prima della chiusura dei seggi.



Aperti i seggi questa mattina e torna di routine la domanda su come, quando e dove si vota per il referendum in questione, ovvero le trivelle e le concessioni per le trivellazioni nel Mediteranno. Per tutte le info specifiche potere vedere qui sotto i vari dettagli, ma ora affrontiamo meglio la situazione degli italiani all’estero: sul territorio nazionale son chiamati al voto 46.887.562 elettori, mentre all’estero sono 3.898.778 che risiedono stabilmente. Secondo le indicazioni del ministero degli Esteri, gli italiani all’estero hanno ricevuto come da norma il plico elettorale al proprio domicilio; chi invece, essendo residente stabilmente all’estero, intende votare in Italia, ha dovuto far pervenire al consolato competente per residenza un’apposita dichiarazione su carta libera che riporti tutti i dati anagrafici e la richiesta entro lo scorso 26 febbraio. Per chi invece è all’estero sono temporaneamente, per motivi di studio, lavoro o cure mediche, si può votare lo stesso per corrispondenza organizzato dagli uffici consolari italiani. Il modulo scaricato negli scorsi giorni è possibile inviarlo via telefax, per posta elettronica anche non certificata, oppure a mano al comune anche da persona diversa dall’interessato ma con delega.



Oggi è la giornata dedicata al referendum “17 aprile” sulla trivellazione in mare. Oggi infatti si potrà finalmente votare, ma che cosa fare in caso di smarrimento della tessera elettorale? Nelle città maggiori sono previste aperture straordinarie degli uffici comunali che ne emetteranno una copia. Negli stessi uffici sarà possibile inoltre ritirare una copia della carta d’identità. Per esempio a L’Aquila, gli uffici di via Roma 207/a saranno aperti oggi dalle 7 alle 23 per le tessere elettorali e dalle 8:30 alle 13:30 e dalle 15:30 alle 20:30 per quanto riguarda le carte d’identità, ma così in tutti i comuni italiani gli uffici saranno aperti. Anche le persone affette da disabilità potranno esercitare il proprio diritto di voto e ricorrere a leggi apposite che permettono la possibilità di ricorrere ad un accompagnatore, votare anche durante un ricovero ospedaliero oppure cambiare la sezione elettorale. Nel caso di pazienti ospedalieri o residenti in case di cura, la legge prevede la possibilità di votare direttamente dal luogo in cui ci si trova. In questi casi occorre presentare una dichiarazione al Sindaco della propria città o paese e allegare l’attestazione sanitaria idonea del luogo di ricovero. La dichiarazione deve pervenire almeno 3 giorni prima al giorno della votazione. Tutte le persone con difficoltà deambulatoria potranno chiedere di essere accompagnati. I seggi speciali sono usufruibili anche dai disabili intellettivi o da chi è affetto da autismo. 



La bagarre attorno al referendum trivelle in questi ultimi giorni non interessa solo le due fazioni del Sì e del No. A fare scalpore è stato l’invito del Premier Matteo Renzi di astenersi dal voto. La palla al balzo è stata colta dal M5S che ha già annunciato la volontà di ricorrere a denunce nei confronti di Renzi. Secondo la normativa sulle elezioni politiche del 1957 e quella specifica sul referendum del 1970, sarebbe reato punibile dalla legge chiunque ricopra una carica politica ed induca gli elettori ad astenersi dal voto. In passato la Corte di Cassazione si espresse ulteriormente su questo punto e convalidò la legge. Era il 1987 ed all’epoca il capo del governo Bettino Craxi aveva suggerito pubblicamente agli italiani di non andare a votare e di andare piuttosto al mare. Riporta Il Fatto Quotidiano che qualche giorno dopo il leader di Democrazia Proletaria, Mario Capanna, presentò denuncia formale contro Craxi. Anni dopo la stessa situazione si ripresentò anche con Silvio Berlusconi, in occasione del referendum su acqua pubblica e nucleare. Anche quella volta Berlusconi invitò gli elettori a non votare e gli italiani risposero accorrendo in massa ai seggi, decretando la fine politica del premier.

Domani i cittadini italiani sono chiamati a votare sul referendum delle trivelle in mare e queste ultime ore che precedono il sì o il no sono utili per scendere in campo con le proprie idee. I social sono di certo uno dei luoghi più frequentati per mettere al confronto le opinioni politiche, grazie a quella grande piazza virtuale che offre il web. Come riporta La Stampa, Twitter si riconferma campione per svolgere questo ardito compito, grazie a diversi tipi di hashtag, da #StopTrivelle a #IoNonVoto. Che si intenda partecipare al voto oppure no, non ha importanza perché ogni cittadino ha avuto occasione di intervenire nelle svariate discussioni virtuali. In base all’analisi dei tweet, si mette in luce una propensione maggiore verso gli hashtag neutrali, pari al 60% delle conversazioni totali. Il 32,24% pende invece a favore del sì, lasciandosi alle spalle un 4% di chi invece è sicuro del proprio voto contrario o di consegnare carta bianca. In generale, è bene considerare anche che chi è a favore del Sì appare maggiormente interessato verso l’innesco dei dibattiti, mentre chi è favorevole al No dimostra una scarsa presenza sui social proprio per un basso interesse nei confronti del referendum in generale. 

Per poter votare in maniera consapevole in questo referendum sulle trivelle è molto importante avere ben chiaro il quesito a cui viene chiesto di rispondere. Per la precisione rispondendo sì gli elettori si esprimono in favore della soppressione delle trivelle presenti entro le 12 miglia nautiche, al termine delle concessioni. Votando no, invece, si concede agli stessi impianti di continuare ad estrarre gas e petrolio dai fondali del nostro mare, fino all’esaurimento totale delle scorte. Se dovesse vincere il sì la norma non si applicherà alle trivelle presenti sulla terraferma, o a quelle attive oltre le 12 miglia nautiche. Contrariamente a quel che si pensa il referendum non riguarda la possibilità di creare nuovi impianti nelle aree limitrofe alle coste, dal momento che la loro costruzione è già soggetta al divieto della legge. Attualmente lo Stato concede ben ventuno concessioni a tempo indeterminato, e il referendum ha come scopo quelle di limitarne l’esistenza o di riconfermarne l’indeterminatezza.

Tramite referendum sulle trivelle domani, 17 aprile 2016, il popolo italiano è chiamato ad esprimere la propria volontà su questo quesito. Si potrà votare dalle ore 7:00 alle ore 23:00, e lo scrutinio inizierà subito dopo la chiusura dei seggi. Possono partecipare al voto sul referendum trivelle anche gli italiani residenti all’estero, i quali potranno esprimere la loro preferenza per corrispondenza. Come sancito dalla legge la validità del voto referendario è inscindibilmente legata alla partecipazione dei cittadini. Se, infatti, non si dovesse raggiungere il quorum del 50% il referendum sulle trivelle dovrebbe essere considerato nullo. Ma quali sono le ragioni che hanno spinto i consigli regionali di ben nove regioni (quelle più sensibili alla problematica proposta), ad avvalersi dell’articolo 75 della nostra Costituzione? Tecnicamente si vota per abrogare il comma 17 dell’articolo 6 del decreto legislativo numero 152 del 3 aprile 2006. Nello specifico si tratta di un decreto che consente le trivellazioni in mare, alla ricerca di idrocarburi senza limite alcuno e fino ad esaurimento delle materie prime presenti nei nostri mari.

Come sempre accade anche nei casi di precedenti referendum a cui i cittadini italiani sono stati chiamati alle urne, sebbene il quesito appaia abbastanza semplice nella forma, le conseguenze che deriveranno dal voto referendario potranno avere un forte impatto sulla vita dei cittadini. Dalla parte del sì si sono schierate ovviamente Greenpeace insieme a tutte le associazioni ambientaliste. Concedere agli impianti di estrazione, infatti, di trivellare a così poca distanza dalle coste significa compromettere in maniera irreversibile la salute dei nostri mari. In un Paese come il nostro, in cui le bellezze naturali rappresentano una fortissima propulsione al turismo, inquinare i mari significa ridurre notevolmente l’afflusso dei visitatori e mettere in crisi un intero settore. Per non parlare dei danni ambientali che potrebbero ripercuotersi sulla nostra salute: inquinare ancora di più i mari significa avvelenare ancora di più il pesce che mangiamo. Infine, bisogna considerare che gli idrocarburi sono in ogni caso destinati a finire prima o poi, e continuare ad estrarli in maniera forsennata significa danneggiare l’ambiente senza avere vantaggi duraturi. Le associazioni ambientaliste dunque si esprimono in favore di investimenti massicci per incentivare la produzione di energia pulita e rinnovabile. Insomma ha molto più senso puntare sul nostro futuro.

Dalla parte del no si è invece schierato il Comitato degli Ottimisti e Razionali, che ha stilato un decalogo Pro-Triv con il quale intende spiegare agli elettori perché votare no, o meglio, perché non andare a votare. Tra le ragioni del comitato spicca l’affermazione secondo la quale le trivelle non inquinano per niente dal momento che nulla viene riversato in mare. Inoltre gli ottimisti sottolineano il fatto che un impianto per l’estrazione produce un numero davvero ridotto di rifiuti, e che costituisce quasi un’oasi di ripopolamento ittico dal momento che nelle aree limitrofe alle trivelle è vietato pescare. Tra le ragioni del no emerge prepotentemente anche quella economica, dal momento che il comitato ci tiene a sottolineare che il fatturato annuo per le attività di estrazione supera i venti miliardi.