“Meglio nascere fortunati che ricchi”, dice un vecchio proverbio, che nel caso di Matteo Renzi calza a pennello. La battaglia del referendum l’ha vinta con sorprendente facilità, ma non si tratta che del primo ostacolo, il meno impegnativo, di un percorso che lo porterà alla madre di tutte le battaglie, il referendum confermativo della riforma costituzionale, previsto per ottobre. Chi ben comincia, dice un altro proverbio, è già a metà dell’opera.



Il gioco si farà progressivamente più duro, ma per il momento lo detta Renzi, che non ha atteso neppure un minuto per ripartire all’attacco. Ha convocato le telecamere a Palazzo Chigi un minuto dopo la chiusura delle urne (mai successo in passato), ed ha rilanciato.

Ha puntato il dito contro i propri avversari dentro al Pd, accusando senza citarlo Michele Emiliano — governatore della Puglia — di aver promosso la consultazione per pure esigenze di conta interna. Ne tengano conto anche i Bersani, i Cuperlo, i D’Alema e gli Speranza. Una sberla che riguarda però anche Zaia e Toti, campioni di un centrodestra troppo sfilacciato per costituire un serio ostacolo. I promotori sono stati bollati come autoreferenziali e demagogici. 



I presidenti di regione hanno persino ricevuto l’accusa di aver fatto sprecare 300 milioni di euro che sarebbero stati più efficacemente spesi per l’acquisto di nuovi treni per i pendolari e di non essere capaci di spendere i fondi europei per fare i depuratori. Irresponsabili, quindi, tutto il contrario di un premier che lancia un appello a “prendersi per mano” (parole sue) e a mettere da parte le polemiche per il bene dell’Italia da qui alle scadenza naturale della legislatura, nel 2018.

Se l’appello cadrà nel vuoto, oppositori interni ed esterni sono avvisati. Le prove tecniche di grande coalizione antirenziana (centrodestra, grillini, Sinistra Italiana, e minoranza dem) sono miseramente fallite, almeno stavolta, e dovranno dimostrare di saper fare meglio.  



Il primo ostacolo è costituito dalla mozione di sfiducia al governo, fissata per martedì, che al premier farà poco più che il solletico, anche se registrerà una inedita saldatura in parlamento delle opposizioni, dopo quella del referendum anti trivelle. Per la prima volta centrodestra e grillini voteranno le rispettive mozioni. La sfiducia non passerà, dal momento che la maggioranza non presenta crepe, ma il dato politico della convergenza tattica delle differenti opposizioni gli strateghi renziani farebbero bene a non sottovalutarlo in chiave futura. 

Ben più aspra e densa d’incognite si presenta la tornata elettorale amministrativa di giugno. Lì si avrà una misurazione assai più attendibile del gradimento del governo, anche se si tratta di una sfida parcellizzata in quasi 1400 sfide locali. Ma se i candidati democratici andassero a picco contemporaneamente a Roma, a Milano e a Napoli, suonerebbe per il governo una sinistra campana a morto.

Il colpo di grazia però potrebbe venire solamente da una vittoria dei no al referendum di ottobre. Lì Renzi non potrà contare sull’alleanza con l’astensione, sfruttata sulle trivelle. Il quorum non esiste, e si andrà alla conta fra i favorevoli e contrari. E di fatto sarà un referendum pro o contro il premier. La legittimazione piena che sinora è mancata a Renzi. Sulla carta i sì partono in vantaggio, ma manca molto tempo, e nulla può essere dato per scontato.

Per vincere la sfida dell’uno contro tutti, il premier segretario studia mosse a sorpresa in chiave economica. Gli annunci potrebbero arrivare a ridosso del voto amministrativo, sulla scia degli 80 euro elargiti due anni fa alla vigilia delle elezioni europee. Un annuncio che contribuì a far raggiungere al Pd uno storico 40,8%. 

Renzi ha lasciato intravedere le sue idee nelle ultime interviste: “Pensavamo di intervenire sull’Ires nel 2017 — ha detto al QN — e sulle famiglie nel 2018, ma tutti, anche gli imprenditori, mi dicono che è urgente mettere più soldi nelle mani delle famiglie”. Probabilmente le misure verrano definite con la prossima legge di stabilità, vista la loro complessità, ma nulla vieta di anticiparne l’annuncio per incassarne i benefici subito. Puntellando candidati spesso costretti a inseguire, come Giachetti a Roma. E non a caso per il 16 giugno (cioè alla vigilia dei ballottaggi) Renzi ha annunciato una “Festa dell’Imu”, per celebrare la cancellazione di un’imposta giudicata tra le più impopolari in assoluto.

Elementi collaterali di disturbo che il quartiere generale democratico farebbe bene a non sottovalutare sono però le tantissime questioni aperte, dal decreto banche a favore dei risparmiatori truffati (che sembra un Godot che non arriva mai), alle crisi aziendali aperte, alle inchieste della magistratura. La questione morale si è portata via in un lampo il ministro Guidi, e potrebbe non fermarsi lì. E alcuni aspetti di arroganza, come il “ciaone” con cui il renzianissimo Carbone ha irriso a urne aperte i promotori dei referendum, potrebbero rivelarsi insidiosissime bucce di banana.