Il fattore scandalo in Basilicata ha giocato ruolo importante per il referendum trivelle: il voto e i risultati hanno visto la vittoria netta dell’astensione, con il quorum non raggiunto e con l’affluenza che è stata bassa, portando alle urne solo 15 milioni di elettori. due giorni dopo i risultati del voto del 17 aprile 2016 si diffondono le mappe del voto città per città, paese per paese e le scoperte sono interessanti. Proprio qui la Basilicata con Matera si sono aggiudicate le palme di unica regione e unica città a superare quota 50% di affluenza alle urne, molto probabilmente spinte dallo scandalo di Tempa Rossa. Da sud a nord, se Matera vince, Sondrio arriva ultima nelle classifiche di affluenza, con l’astensione che qui ha regnato con un solo cittadino di Sondrio su 5 che si è recato a votare per il nodo trivelle. Ma gli scandali ultimi sul petrolio non sempre hanno coinciso con cittadini che si sono riversati al voto: in Basilicata sì, ma ad esempio a Viaggiano, dove si trova il centro Oli dell’Eni al centro delle inchieste che hanno portato alle dimissioni di Federica Guidi, non si è andati oltre il 37% di affluenza. E le grandi città? Per Milano accoglienza fredda al referendum trivelle attorno al 30%, stesso discorso per Roma che si stanza con il 33% degli elettori alle urne.



Le reazioni dopo il voto sul referendum trivelle del 17 aprile 2016 sono molteplici e a livello politico incidono molto più di trivelle sì o trivelle no, ma inquadrano una situazione per prima cosa di crisi del Partito Democratico, se possibile ancora più diviso dopo i risultati e il quorum non raggiunto e in secondo luogo complicano la corsa a comunali e referendum costituzionale che ora assume sempre di più un voto da dentro o fuori sulla persona di Renzi. Interviene sulla vicenda, incendiando ancora di più il dibattito, il ministro per le Riforme, Maria Elena Boschi, che in una intervista al Corriere della Sera va a ruota libera sul referendum trivelle. «Quello sulle trivellazioni in mare è stato un referendum sbagliato che evidentemente non interessava gli italiani e che comunque ha comportato un impegno e un costo per tutti». La ministra difende dunque la scelta dell’astensione e tra le righe risponde anche alle parole di fuoco del presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano, capofila del comitato promotore. «Capisco che chi perde un appuntamento elettorale o come in questo caso un referendum cerchi mille spiegazioni e interpretazioni per dimostrare che non ha perso. Vedo che Emiliano sta impiegando tutta la sua fantasia però onestamente la verità dei fatti è questa: si è votato per un argomento che evidentemente non interessava la maggioranza degli italiani. Spiace, ma Emiliano ha perso e se ne deve fare una ragione».



Il giorno successivo al referendum sulle trivelle, come c’era da attendersi è stato interamente dedicato ai commenti da parte degli esponenti politici. A dire la sua è stato anche Paolo Menis del Movimento Cinque Stelle, nonché candidato sindaco della città di Trieste, che ha posto l’accento proprio sul quorum non raggiunto (fermo al 31%). “Il risultato del referendum sulle trivelle è il frutto di una campagna fatta ad hoc per impedire ai cittadini di decidere direttamente su temi che li riguardano”, ha commentato l’esponente M5S su TriestePrima.it, il quale ha ritenuto gravissimo l’atteggiamento adottato dal premier Renzi, insieme al Presidente della Repubblica Napolitano ed al presidente della Regione Friuli Venezia Giulia Serracchiani, di spingere per l’astensione. A sua detta, il loro atteggiamento avrebbe contribuito solo ad “affossare l’unico vero strumento di democrazia diretta che abbiamo in Italia e per fare i propri interessi e gli interessi dei petrolieri”. Proprio sulla democrazia diretta e sulla partecipazione dei cittadini alla vita politica si è sempre battuto il M5S di cui Menis fa parte, come dallo stesso sottolineato nel suo intervento, annunciando a tal fine l’eliminazione del quorum. “Il MoVimento 5 Stelle pensa per il futuro di Trieste all’introduzione del referendum propositivo senza quorum: uno strumento indispensabile per dare sostanza al principio della partecipazione attiva dei cittadini alle decisioni della politica”, ha chiosato.



Clamoroso da Lecce il giorno dopo il referendum trivelle 17 aprile: dopo la vittoria dell’astensione e il quorum rimasto troppo basso, l’esito potrebbe costare qualche piccolo grattacapo per Renzi e Napolitano. Un imprenditore 60enne leccese ha sporto denuncia contro il premier e l’ex capo di Stato per aver abusato, a suo parere, della loro posizione. Day after di fuoco per il voto sulle trivelle: «Abusando della loro funzione hanno esortato pubblicamente il popolo italiano, attraverso televisione e stampa nazionale, all’astensione dal referendum del 17 aprile», sono le parole dell’esposto di Francesco Santantonio, pubblicate oggi sul Fatto Quotidiano versione online. Una controffensiva nel Salento dove, dopo le province di Matera e Potenza, si è registrato la più alta percentuale di affluenza alle urne. L’imprenditore chiede una “severa punizione dei colpevoli con la Procura competente che mi deve rincuorare nell’assoluto rigore nell’applicazione della legge“, con riferimento all’articolo 98 di una legge del 1957 sulle leggi elettorali per la Camera e che disciplina i referendum. Come andrà a finire non si sa, di certo fa discutere anche l’accusa, oltre che molto datata, ma anche nei termini della questione: ricordare che per costituzione è legale esprimere il proprio parere contrario al voto con l’astensione va considerato come qualcosa di illegale?

È l’astensione ad essere sotto accusa il giorno dopo il referendum trivelle 2016: i risultati parlano della vittoria per chi si è astenuto, con il quorum non raggiunto che è rimasto al 31% degli elettori al voto. La polemica politica impazza, con il primo round referendario che è andato al Premier Renzi, ma che probabilmente se ne fa “ben poco” se non riuscisse a mettere le mani nel ben più importante a livello politico voto costituzionale ad ottobre. Su quello il segretario Pd ci ha messo la faccia dichiarando il successo o fallimento del suo operato di governo: le accuse però non si placano con le opposizioni che gridano allo scandalo per un’opera di “sabotaggio” del armiere e di parte della maggioranza. «Renzi dovrebbe vergognare per avere incitato gli italiani ad astenersi da un referendum, questo è il ruolo che, secondo i nostri politici o politicanti, devono avere i cittadini», ha commentato la candidata sindaco a Roma per il Movimento 5 Stelle, Virginia Raggi mentre oggi usciva dalla Casaleggio Associati di Milano. Tensione alle stelle e nei prossimi giorno Renzi dovrà inventarsi qualche carta jolly per spegnere il fuoco almeno per un po’: con la campagna elettorale delle Amministrative che però entra nel vivo, sarà ben difficile estrarre dal mazzo la carta giusta.

Nel giorno dei bilanci e dei confronti ma anche delle polemiche e delle delusioni in merito al referendum sulle trivelle che si è svolto ieri 17 aprile, l’unica Regione che può registrare un vero successo con il raggiungimento del quorum (sebbene per soli sedici centesimi di punto) è stata la Basilicata. Tra le due province è stata Matera la terra nella quale si è registrato il vero successo dei No-Triv, mentre nel Potentino il quorum non è stato raggiunto attestandosi 49.02%. Roberto Cifarelli, capogruppo Pd al Consiglio regionale nonché sostenitore dei Sì, a Repubblica ha spiegato all’indomani del referendum sulle trivellazioni in mare: “Il segnale che arriva dalla Basilicata è importante per la Basilicata stessa. Al di là del merito del referendum, il segnale che arriva dai cittadini è che rispetto al tema energetico devono esserci più garanzie di trasparenza e correttezza dai politici e dalle imprese, che il tema dell’ambiente è al primo posto, assieme a quello del lavoro”.

La domanda è venuta a molti ieri dopo le parole di Renzi sul referendum trivelle 2016, con il voto finito da pochi minuti e la vittoria dell’astensione (quorum fermo al 31%): ma per il giovane Premier potrebbe questa essere la classifica “vittoria di Pirro”? Secondo i No-Triv il premier dovrà tenere conto dei 13 milioni di Sì arrivati ieri, identico commento per Emiliano che ricorda come “il successo delle Europee per Renzi vide molto meno elettori dei 13milioni di ieri”. Di una “vittoria di Pirro” per il premier-segretario ha parlato anche Renato Brunetta, Forza Italia che lancia la sfida al prossimo referendum costituzionale di ottobre 2016: «Guardando al 2006, coloro che avevano detto no alla riforma costituzionale di Berlusconi erano 20mila in meno dei musi 16 milioni andati alle urne quest’anno, e quindi se si riuscisse a portare al referendum confermativo di ottobre tutti quelli che hanno votato alle trivelle, vincerebbe il No alla “schiforma” Renzi-Boschi, come successe 10 anni fa». Ormai il punto politico chiaro sembra proprio il prossimo referendum, quello chiave per il governo Renzi e che con la vittoria di ieri il buon Renzi potrebbe essersi giocato qualche “jolly” per l’immediato futuro. 

All’indomani dal referendum sulle trivelle, oltre all’analisi sui dati e sull’affluenza è stato il momento dei primi commenti più o meno a caldo, dopo il mancato raggiungimento del quorum. Per le associazioni del Comitato del Sì la partita non sarebbe ancora chiusa, come riporta Quotidiano.net, in quanto avrebbero già annunciato un ricorso da presentare al Ministero dello Sviluppo Economico al fine di chiedere il blocco delle cinque concessioni estrattive entro le 12 miglia. L’annunciato ricorso, come fa sapere il Comitato, sarà presentato in quanto già da anni alcune concessioni sarebbero scadute. Enzo Di Salvatore, estensore dei quesiti referendari, in merito ha spiegato: “La norma prevede che siano prorogate le concessioni vigenti, non quelle scadute. Di conseguenza le aziende petrolifere stanno continuando ad estrarre senza autorizzazione”. Un punto caldo, quello delle concessioni scadute, in merito al quale l’europarlamentare Barbara Spinelli avrebbe presentato una interrogazione alla Commissione Europea al fine di chiedere se sia o meno opportuno aprire una procedura di infrazione per violazione delle regole sulla concorrenza relativamente all’estensione delle concessioni.

Il giorno dopo l’esito delle votazioni sul referendum trivelle 17 aprile 2016 è ovviamente dedicato non solo all’analisi dei risultati ma alle reazioni politiche che mai come questo voto ha innalzato i toni dello scontro istituzionale. Opposizioni interne ed esterne al Pd renziano sulle barricate, l’attacco dopo il commento di Renzi dopo lo spoglio e la scoperta del quorum non raggiunto che ha in sostanza detto “ha perso chi ha puntato sulla demagogia e sulla conta personale dei voti contro il Governo”. Scoppia la polemica sul senso ultimo del quorum in sé: va tolto, abolito o mantenuto? Secondo il Movimento 5 Stelle, come scrive sul suo blog, è tempo ormai di “promuovere l’abolizione del quorum nel referendum perché negli strumenti di democrazia diretta solo chi partecipa deve contare e decidere”. In sostanza, conta solo chi partecipa attivamente: di altro avviso, ma sempre con il medesimo obiettivo di indebolire Renzi, le parole di Eugenio Scalfari sul consueto domenicale di Repubblica. «È evidente che esistono delle connessioni senz’altro improprie tra il referendum trivelle e quello prossimo ad ottobre sulla Costituzione. Segnalo a questo proposito che il referendum costituzionale non prevede alcun quorum. Una ipotesi provocatoria ma legittima è che ad un referendum senza quorum potrebbero partecipare in 20 con una maggioranza di 11 persone che impongono il risultato a tutti gli altri. Perché non inserire dunque il quorum anche in quello?». Due strade diverse, un unico obiettivo: Matteo Renzi.

Di sicuro i risultati al referendum trivelle del 17 aprile 2016 hanno non solo lasciato le concessioni per la trivellazioni in mare a 12 miglia dalla costa per le piattaforme già esistenti e operanti, ma portando con sé e con l’esito annunciato ieri sera dal Viminale un carico di reazione politiche per un voto che, specie nelle ultime settimane, è stato reso più politico che energetico. Il governatore Emiliano, il vero “sconfitto” del voto e punzecchiato dal premier Renzi, ha voluto rilanciare la sua battaglia: ”noi esigeremo dal governo che controlli tutte le piattaforme non eroganti e pretendiamo che vengano smontate. Costringeremo i potenti a stare a sentire e chiederemo una legge sulle lobby. Renzi deve accettare l’idea che non basta che lui prenda una decisione, deve imparare ad ascoltare gli italiani”. Reagisce anche il leader M5s Beppe Grillo che sul suo blog ha ringraziato i 15 milioni di cittadini che hanno detto Sì al voto referendario: «Questi cittadini hanno detto sì alla democrazia, ad un futuro con mari puliti ed energie rinnovabili. Battaglia da eroi per un monco pulito contro le lobby del petrolio di Trivellopoli». Soddisfatto invece il governo con il Ministro per le Riforme, Maria Elena Boschi, che su Twitter ha scritto: «questo governo è più forte dei sondaggi, dei talk e delle polemiche».

Il voto sul referendum trivelle avrà strascichi per molto giorni, con i risultati che parlano chiari: quorum non raggiunto, concessioni alle trivelle a 12 miglia dalla costa che rimangono attive fino all’esaurimento della piattaforma. Lo sforzo dei comitati promotori per il Sì al voto del 17 aprile non ha pagato, eppure i No-Triv considerano lo stesso un grande successo di voto aver portato alle urne 15 milioni di italiani. «Un risultato comunque straordinario, su un tema così difficile e con poco tempo concesso per far dibattere il paese, il risultato non è assolutamente negativo. Va anche considerato che anche in passato si è votato su due giorni e solo una volta in aprile, in questa occasione invece è stata una campagna breve e organizzarsi difficile, ma quella che abbiamo fatto in due mesi e mezzo è stato strepitoso», sono le parole dell’autore dei quesiti referendari Enzo Di Salvatore, in una intervista all’Ansa. Lite nel Pd tra Emiliano e Renzi con relative correnti, polemiche sulle parole post voto del premier ieri, e ulteriori strascichi politici. Come spesso capita dopo una voto “hanno vinto tutti”, ma i fatti parlano in maniera differente.

Sono solo due le località in Italia dove il referendum sulle trivelle ha raggiunto e superato il quorum fissato per legge al 50% più uno degli aventi diritto al voto: l’affluenza ha dunque sbancato solo in Basilicata e alle Isole Tremiti e i motivi sono presto che detto. Entrambe le realtà infatti sono state toccare da vicino dalla questione trivelle per il voto del 17 aprile e non da pochi mesi: se da un lato la vicenda Tempa Rossa e le conseguenti dimissioni del ministro Guidi ha di fatto portato i lucani ha votare per togliere le trivelle ma hanno di fatto perso la battaglia, sulle Isole Tremiti il pericolo sembra scongiurato vista la recente rinuncia della società Petroceltic, si legge sul Fatto Quotidiano, che avrebbe dovuto estrarre idrocarburi al largo di San Domino. Prosegue invece la polemica nel territorio potentino con il Centro Oli di Viaggiano ancora nell’occhio del ciclone per l’inchiesta petrolio tutt’ora sotto indagine. Da nessun altra parte è stato superato il quorum, neanche in Puglia con la sconfitta del comitato promotore che appare a livello nazionale evidente, quantomeno in termini di numeri,

Ha vinto l’astensione con il referendum che vede tra i risultati l’esultanza contenuta di Renzi e la rabbia e le polemiche per i vari comitati del Sì. Le trivelle rimangono per finire i giacimenti che già sono in corso di trivellazione, al voto si sono mossi in 15 milioni di italiani ma non sono bastati per il fatidico 50% più uno degli aventi diritto al voto. Il quorum infatti è rimasto al 32% (31% si si tiene conto anche degli italiani all’estero) e non è stato raggiunto ma andiamo a vedere nel dettaglio tutti i dati definitivi e ufficiali diffusi dal Viminale dopo la lunga giornata di referendum ieri, 17 aprile 2016. Dei 15 milioni e 806.788 elettori che si sono recati alle urne, l’85,8% ha votato per il Sì abrogativo, mentre il 14,2% ha espresso parere contrario con il No; 104mila schede bianche, 168mila schede nulle e 663 schede contestate, con il quorum che ha chiuso ufficialmente al 31,2%. A livello di regioni, solo la Basilicata ha superato la soglia minima del 50%, segno che l’inchiesta sul petrolio ha pesato nelle decisioni degli elettori, anche se ad esempio in un’altra zona coinvolta dallo scandalo che ha coinvolto il ministro Guidi, a Ravenna, l’affluenza è stata bassa con il 28%. Tutte le più alte cariche dello stato, se si escluse il presidente del Consiglio Renzi, hanno votato, mentre tra le opposizioni sono andati tutti alle urne i “big” tranne Silvio Berlusconi.

Il risultato del referendum è un nulla di fatto. Vince l’astensione, vince il Governo e vince Renzi: il referendum sulle trivelle del 17 aprile 2016 si è concluso senza neanche far partire lo spoglio visto che il quorum non è stato raggiunto. Si chiude con il 32% degli elettori andati alle urne, ovvero circa 10 milioni di italiani hanno votato “contro Renzi” e hanno scelto di esercitare diritto del voto (ma ugual diritto avevano quelli che non hanno votato) per cercare di fermare la norma attuale in vigore sulle trivellazioni a 12 miglia dalla costa nel Mediterraneo. Dopo questo voto dunque non cambia nulla, si potrà ancora continuare nell’attività di estrazione già in atto fino all’esaurimento del giacimento sia gas che petrolio per le varie piattaforme in suo nell’Adriatico e nel Tirreno. La soglia non viene raggiunta e sicuramente per il Premier Renzi e gran parte del Partito Democratico si può dire che sia una vittoria, un braccio di ferro vinto sulla fronda interna capeggiata da Michele Emiliano, governatore della Puglia – unica regione a superare al momento il quorum – e sulla minoranza dem. Sentite il premier nell’immediata conferenza stampa post voto di ieri sera: «Non vince il governo ma vincono gli ingegneri e gli operai che da domani possono tornare a sognare un futuro e un lavoro che non se ne va. Ho sofferto la scelta di non andare a votare, non per dubbi costituzionali (il quorum permette di esprimere un dissenso anche con la non part». Durissimo poi nel commentare le strumentalizzazioni politiche avvenute in alcune regioni – la frecciatina a Zaia ed Emiliano appaiono evidenti – e con alcuni consiglieri comunali che a suo dire, «hanno usato il voto per fini personali». Stoccata anche sui commenti che hanno infastidito Renzi per le accuse ricevute di non voler mantenere il mare pulito e di voler rovinare la bellezza dell’ambiente: «È ipocrita difendere il mare mettendo in difficoltà chi produce gas naturale, è ipocrita che le regioni fino all’altro ieri si sono disinteressate ai veri problemi dei nostri mari, ovvero i depuratori. Non hanno speso soldi europei per farlo, hanno continuato a far deturpare la nostra costa e poi vengono a parlare delle trivelle che salvano posti di lavoro ed estraggono gas naturale?».