Renzi l’aveva detto: non andate a votare. E il quorum non è stato raggiunto. Una vittoria politica, per il capo del governo. Eppure anche il suo antagonista, Michele Emiliano, governatore della Puglia, dice di avere vinto. Per Stelio Mangiameli, costituzionalista, “in democrazia chi vince ha il dovere di ricomporre il rapporto con chi ha perso e, soprattutto, di dare la certezza a chi ha perso che può affidarsi alla protezione del vincitore”. Il che non è avvenuto. Non solo. “Dopo aver fatto campagna per l’astensione, delegittimando l’istituto referendario, ora dovrà essere lui — Renzi — a portare al voto gli italiani nel referendum costituzionale”. E potrebbe non essere così semplice.



Professore, chi ha ragione tra Renzi ed Emiliano?
Oltre 15 milioni e mezzo di cittadini si sono recati al voto, pari al 31,2% degli elettori e di questi oltre l’85% ha detto sì all’abrogazione della norma che concede i pozzi sine die e senza controlli alle compagnie petrolifere: il quorum previsto dalla costituzione è mancato, ma il risultato non è stato di certo irrilevante e, siccome al referendum parla il popolo, sarebbe bene aprire una riflessione più pacata di quella che sin qui vi è stata. Aggiungo solo che il risultato, in altri ordinamenti più evoluti del nostro, sarebbe stato anche sufficiente a determinare l’abrogazione.   



Emiliano ha detto che i votanti sono “più di quanto ha preso il Pd alle europee”. Non le sembra che così si voglia fare confusione, politicizzando un voto sul quale se mai la vera questione era di merito, non di schieramento?
Credo che il confronto tra Renzi ed Emiliano nei termini in cui è stato visto dai cittadini ieri sera in televisione lasci perplessi, perché la via migliore sarebbe stata un confronto, prima del referendum, tra il governo e le Regioni. E dopo il risultato avrebbero fatto bene a darsi un appuntamento, tanto il governo, quanto le Regioni, per comprendere come collaborare per migliorare la politica energetica. 



Perché secondi lei Renzi è andato in tv? Qual è stato il senso di quella conferenza stampa?
Purtroppo il tono di Renzi non è stato quello del vincitore e non è stato neppure appropriato a chi ricopre la carica di presidente del Consiglio. Rabbia, rancore e promessa di vendetta è stata la linea seguita. Non è stata una risposta democratica, sembrava il capitolo di una faida. In democrazia chi vince ha il dovere di ricomporre il rapporto con chi ha perso, di offrire una via d’uscita onorevole e, soprattutto, ha il dovere di dare la certezza a chi ha perso che può affidarsi alla protezione del vincitore. 

Perché?

Ma perché solo in questo modo vi può essere la certezza che la competizione politica non degeneri in “una guerra civile totale”, per riprendere un’espressione schmittiana che sembra si stia realizzando con la nostra uscita dal sistema democratico.

Prendiamo ancora i 15 milioni di votanti. Secondo lei condizionano in qualche modo la prossima campagna referendaria di Renzi, quando il quorum non ci sarà?
Non dovrebbero condizionare in alcun modo il referendum costituzionale, che ha regole ed effetti diversi rispetto a quello abrogativo. Il referendum di ottobre è sulla riforma costituzionale, la quale suscita ben altri problemi. L’unico legame che riesco a vedere è la posizione contraddittoria del premier, dal momento che al referendum del 17 aprile Renzi ha detto ai cittadini di non partecipare, mentre al referendum sulla riforma costituzionale dovrà essere lui a portare al voto gli italiani.

Che differenza c’è tra legittimità dell’astensione e invito esplicito a non votare, come quello che è venuto da Renzi e Napolitano?
Adesso che il referendum si è svolto e che l’esito è incontestabile, si può dire con chiarezza che l’interpretazione della Costituzione non può essere un fatto di convenienza — ora sì, ora no — come altre volte è già accaduto. La regola del dovere del voto è scritta nell’articolo 48 e vale senza eccezioni; altro è che ai fini dell’abrogazione è previsto un quorum di partecipazione, oltre che quello del risultato. Questo quorum non abilita a dire che il dovere di votare viene meno, tanto più che si tratta di un dovere ormai non sanzionato. 

Quindi?
Aveva pertanto ragione il presidente Grossi, nel ritenere sussistente il dovere di votare, perché il referendum è per i cittadini. Non condanno Renzi per la sua campagna astensionistica, anche se non ha fatto una bella figura essendo il premier e avendo bisogno ora di spingere i cittadini a votare nel referendum costituzionale. Mi sembra che l’intervento meno opportuno sia stato quello del senatore Napolitano, che come presidente emerito della Repubblica si è, di fatto, contrapposto al presidente Mattarella il quale aveva fatto sapere che sarebbe andato a votare. 

Può un capo del governo — e non solo leader di partito — fare appello politico alla “diserzione” rispetto a uno strumento della democrazia costituzionalmente previsto?
Il governo nel momento elettorale dovrebbe assicurare la sua neutralità e agire in modo lineare, perché il suo comportamento può comportare una manipolazione del risultato elettorale. Ma la manipolazione del popolo accadeva già nell’agorà ateniese, come mostra la vicenda di Socrate. Non è escluso che non si ripeta ai giorni nostri in cui la democrazia sembra ormai alle nostre spalle. Il nostro è sempre più un sistema post-democratico. 

Mattarella, Boldrini, Grasso hanno votato senza fiatare. Come giudica la loro scelta? 

Sono sicuro che almeno due di loro hanno votato no al referendum, ma almeno hanno mostrato un certo stile istituzionale.

Sulla spesa di 300 milioni per la consultazione, Renzi ha detto: “non avremmo potuto accorpare alle amministrative perché una legge ce lo impedisce”. Vero o falso?
In via di principio ciò è esatto, perché la decisione sui quesiti referendari è bene che abbia la sua autonomia e non sia influenzata da valutazioni inerenti a elezioni politiche…

Ma?
Ma non è questa la vera ragione per cui non sono stati accoppiati il referendum e le amministrative. Renzi pensava di colpire chi aveva osato sfidarlo con un quesito referendario e, per non dargli un vantaggio, ha fissato la prima domenica utile, in modo da non avere il tempo di spiegare le ragioni del quesito. Ha terrorizzato i consiglieri regionali, contro i quali ha tuonato anche domenica sera, e ha aggredito pure i media e anche il web che non gli sono stati amici in questa vicenda. Peccato, per uno cui sinora piaceva tanto cinguettare.

(Federico Ferraù)