Oggi su Panorama si parla di referendum d’ottobre costituzionale dopo il caso delle firme che ha portato il livello interno al Partito Democratico ai minimi storici nel rapporto tra Renzi e la minoranza dem. Sul settimanale è intervenuta la vice direttrice dell’Istituto Bruno Leoni, il think tank liberale che porta avanti da anni la battaglia del merco e della libertà di scambio: Serena Sileoni ha provato a spiegare cosa ci sta dietro al voto referendario d’ottobre. «Hanno caricato il referendum di significato politico, ed è sbagliato. Quando si tratta di costituzione la riflessione dovrebbe essere diversa. La revisione dovrebbe essere fatta un poco per volta, senza stravolgere completamente l’impianto perché il rischio è quello di lasciare delle parti incompiute». Va detto che secondo la Sileoni il problema non è tanto la possibile deriva autoritaria con le nuove regole inserite nel ddl Boschi per quanto riguardo il Senato, bensì «siamo in una fase di governo giù decisionista, ma non mi preoccupa questo aspetto, quanto la confusione di ruoli tra camera, regioni e senato, perché c’è solo un’apparente differenza di competenze. La scarsa chiarezza non porta mai nulla di buono».
Il referendum d’ottobre che si terrà sulla riforma costituzionale promossa dal ministro Boschi e passata sia in Senato che alla Camera sta trascinando il Partito Democratico in una continua e ripetuta resa dei conti: che sia quel voto davvero il limite entro cui questa resa di dovrà risolvere, in un modo o in un altro? Tra Renzi e la minoranza dem dire che non corrono buoni sentimenti in queste ultime ore è davvero un eufemismo: sentite Bersani cosa ha riferito oggi in Transatlantico, riportato da Rai News24. «Ci sono già troppe sgrammaticature per aggiungerne un’altra: io la riforma l’ho votata, quella norma è a garanzia di chi non l’ha votata. Non possiamo sgrammaticare tutti i gironi. È un peccato veniale ma è un peccato». Identico Cuperlo, sempre sulla mancata presentazione delle firme dei big della minoranza, che ha fatto andare su tutte le furie Matteo Renzi:; «non c’è un caso politico, leggendo l’articolo 138 mi pare più elegante e anche giusto che la richiesta sia depositata dalle opposizioni,, che ahimè, non hanno condiviso le riforme». Renzi non ci sta però al motivo della “galanteria” e crede sia l’ennesima ripicca dopo il voto trivelle e l’Italicum: «ormai si oppongono su tutto», ha detto dal Messico. E resa dei conti sia.
La battaglia è sul referendum costituzionale, quello che andrà in scena in ottobre e che vedrà il voto confermativo sulla riforma costituzionale, il famoso ormai ddl Boschi. Ecco, la battaglia è lì, ma il terreno di scontro è assolutamente interno al Partito Democratico, almeno in questi primi momenti in cui ancora è nell’aria il voto sulle trivelle. Quel passaggio elettorale ha fatto sì vincere di nuovo la scelta renziana rispetto alla minoranza del suo partito, ma ha inasprito se c’era ancora bisogno la posizione dei “dissidenti” della minoranza dem contro la segreteria centrale. Per quanto riguarda la presentazione delle firme a richiesta del referendum d’ottobre si è avuta un’ennesima conferma: le opposizioni portano le firme, la maggioranza Pd pure, ma la minoranza dei Bersani, Speranza e Gotor non pone la firma. Parte il giro di accuse: Renzi, «Se qualche politico,, anche nel mio partito, ha cambiato idea sulla riforma e il referendum ce ne faremo una ragione. Quel che deve essere certo è che non ci fermiamo, noi comunque andiamo avanti». Risposta di Miguel Gotor: «Io non firmo perché il referendum è uno strumento che le opposizioni hanno per contrastare una maggioranza parlamentare. L’opposizione ha già raccolto le firme, andava evitato questo sovraccarico, non va bene che la consultazione assuma carattere plebiscitario. Ed è inevitabile quando è la maggioranza che chiede un referendum su di sé». Ecco, ma dentro allo scontro sembra spuntare forse un altro elemento che probabilmente è alla base delle contestazioni di minoranze dem e simili da molto tempo ma che le opportunità politiche non avevano finora portato in luce: il momento sembra arrivato e lo si capisce dalle parole di un bersaniano di ferro come Ginefra. «Ho sottoscritto l’idea del referendum confermativo, ma vorrei che nel Pd si aprisse subito un confronto sull’Italicum». Eccolo lì, la legge elettorale torna di moda: e se fosse una sorta di “ricatto politico” quello che Speranza e Bersani starebbero per lanciare su Renzi? Ti appoggiamo sul ddl Boschi e facciamo campagna per il sSì al referendum, però poi una piccola modifichino all’Italicum magari…