Il referendum che si terrà ad ottobre 2016 sulla riforma costituzionale ispirata al ddl Boschi fa parlare di sé nonostante manchino ancora circa 6 mesi al voto. Intervistato dall’Huffington Post, il candidato del centrodestra alle amministrative di Milano Stefano Parisi non ha voluto comunicare la sua intenzione di voto in vista della consultazione referendaria. Come ha ripetuto più volte lo stesso presidente del Consiglio Matteo Renzi, il referendum costituzionale d’ottobre viene visto come un banco di prova fondamentale per la sua esperienza politica: in caso di bocciatura del ddl da parte degli italiani, il premier farà un passo indietro. Alla domanda di Andrea Carugati che lo ha intervistato, Stefano Parisi però non ha dichiarato, come in molti si sarebbero aspettati visto che il centrodestra è contrario al testo approvato recentemente al Senato, il suo “No”; Parisi ha preferito semplicemente rimandare il discorso a dopo la battaglia per Palazzo Marino dicendo che dirà cosa voterà “il giorno dopo la consultazione…”. Un modo astuto per non attirarsi le antipatie dei sostenitori della riforma costituzionale o qualcosa bolle in pentola?
È scontro politico-giudiziario sul referendum d’ottobre della riforma costituzionale, il cosiddetto ddl Boschi che dopo il voto sulle trivelle prepara una battaglia politica ben più aspra. Il documento per il No presentato ieri da 56 costituzionalisti non porterà sicuramente calma nell’agone politico del voto sulla riforma renziana per eccellenza. «La riforma costituzionale che sarà sottoposta a referendum in autunno pur originato da condivisibili intenti di miglioramento della funzionalità delle nostre istituzioni, si è tradotto in una potenziale fonte di nuove disfunzioni del sistema istituzionale». Caos appunto che non è destinato ad esaurirsi nel giro di pochi giorni ma che potrebbe creare sul fronte giuristi-Renzi un contrasto non certo benevolo per il progetto di riforme dell’esecutivo. «Le testi dei 56 costituzionalisti hanno un peso devastante per la reputazione del governo Renzi. Ma quello che esce più di tutti sconfitto è il presidente emerito della Repubblica, Giorgio Napolitano, perfettamente consapevole allora nella veste di Capo dello Stato delle riforme scassaStato programmate da Renzi, e consapevole oggi che le ha votate», sono le parole di Fabio Rampelli di Fratelli d’Italia che prova ad analizzare il documento sottoscritto da 50 importanti costituzionalisti italiani tra cui scorgiamo in nomi illustri di Valerio Onida e Gustavo Zagrebelsky, ma anche Luca Antonini, Gianmaria Flick, Enzo Cheli e Fernando Santuosuosso. Per questi studiosi il ddl Boschi ha configurato un Senato estremamente indebolito ma non solo: «per superare un bicameralismo perfetto si è configurata una pluralità di procedimenti legislativi differenziati con rochi di incertezze e di conflitti con Regioni e autorità locali».