La “frittata” è stata fatta e sembra pronta per essere servita a tavola. Con la sua consueta “abilità diplomatica”, l’ex pm di Tangentopoli, Piercamillo Davigo, appena nominato presidente dell’Associazione nazionale magistrati, è riuscito, con la sua intervista di venerdì al Corriere della Sera, a mettere a soqquadro i palazzi della politica e della stessa magistratura. Più che un’intervista sembrava una “dichiarazione di guerra”, ma forse è la nostra lettura faziosa che ci spinge a ragionare in questo modo.
Tuttavia sono molti gli analisti rimasti a bocca aperta per le frasi di Davigo, pensando che con la crisi perdurante, la zoppicante (eufemismo) politica europea a trazione tedesca e le contrapposizioni, con punte di furore folkloristico, nel Parlamento italiano, si poteva evitare una contrapposizione così dura, ormai endemica da 25 anni, tra politica e magistratura. “Rubano più adesso e non si pentono”, ha sentenziato Davigo.
Ma forse non tutto capita a caso.
Veniamo intanto alla cronaca e mettiamo in fila alcuni fatti. Il Presidente del Consiglio, Matteo Renzi, forse sentendosi nel mirino, ha replicato con “sospetta” misura per il suo carattere: “Serve rispetto tra politica e magistratura… Ammiro i moltissimi magistrati che cercano di fare il loro dovere. E anche i moltissimi politici che provano a fare altrettanto”. Sembra in prudente attesa il premier e intanto ascolta, tirando il fiato, le dichiarazioni di Edmondo Bruti Liberati: “Non esiste una magistratura buona contro un’Italia dei cattivi, vederla così è in linea di principio sbagliato, e inoltre si scontra con la realtà”.
Poi, a calmare il combattivo Davigo, sono scesi in campo anche il vicepresidente del Csm, Giovanni Legnini, la presidente della commissione Giustizia della Camera, Donatella Ferranti. E persino il predecessore di Davigo, Luca Palamara, aveva subito dichiarato: “Le generalizzazione a me non piacciono. Non dobbiamo cadere nella trappola del conflitto”. Alla fine lo stesso Davigo ha smorzato un po’ i toni. Prevedibile.
Ma il nocciolo della questione, che svela uno scenario politico molto ampio, non sono queste correzioni da comprimari, ma la nuova intervista che ieri ha raccolto il Corriere della Sera. Dopo Davigo, ecco il presidente dell’Autorità anticorruzione, un pezzo da novanta come Raffaele Cantone, che comunica allo stesso intervistatore di Davigo: “Mani pulite ha fallito perché le manette non bastano. La fiaba della magistratura tutta buona e della politica tutta cattiva è falsa”.
Insomma una “sassata” a chi è uscito incoronato come realizzatore della “svolta etica” del 1992. Una “sassata” in fondo anche ai supporters dell’attacco alla “casta”, grande operazione mediatica, gestita dal solito “laureato in intrigologia”, storico ed ex direttore di via Solferino, tra un paio di iniziali “Vaffa day” di grillina memoria, dopo il crollo del secondo governo Prodi.
Adesso, con un Corriere dimezzato, l’intrigologo geniale cerca di tornare protagonista in un altro delicato passaggio della politica italiana. Cerca perlomeno di descrivere e interpretare al meglio la danza della “guerra fredda” che con altri mezzi è ritornata nel mondo e particolarmente in Europa, tra altri protagonisti.
In effetti, non deve appannare la sostanza della partita questa sequenza di dichiarazioni. C’è in ballo il futuro politico ed economico italiano, il ruolo geo-strategico dell’Italia tra una Germania intollerante, gli Stati Uniti un po’ distratti dalle loro presidenziali e un poco irritati con Matteo Renzi per la questione libica ma sempre interessati all’Italia, e una “speranza” di collaborazione economica tra Francia e Italia.
Detto subito senza reticenze. Se alla fine vince la tesi di Berlino, l’Italia viene incoronata “patria di camerieri e cuochi”, “bagnini e animatori di spiaggia”, dove l’industria non c’è più e il turismo viene contrabbandato per la vera e unica industria del Belpaese.
A una simile Italia, il rigore di Davigo e la sua quasi avversione, la radicata diffidenza verso la politica vanno benissimo. Così come va bene al Movimento 5 Stelle. Se Davigo fa ballare tutti, se i pentastellati si fidano della magistratura e gestiscono gli “affari correnti”, gli investimenti fuggono del tutto dall’Italia e la Merkel si prepara a festeggiare — questa volta magari insieme a Schäuble e al presidente della Bundesbank — una lunga vacanza a Ischia, nel nome del surplus accumulato in questi anni.
Diversa la posizione di Raffaele Cantone, interprete di un’Italia che non ritorna a essere una pura espressione geografica, ma un paese di buon prestigio che ha una media e piccola industria di eccellenza, da difendere e da valorizzare, e che deve soprattutto svolgere una funzione di cerniera degli interessi europei, ma anche di quelli americani, nel sud dell’Europa. In uno scacchiere delicato del mondo come quello del Magreb e del Medio Oriente, nel cuore della grande crisi mediterranea.
Difficile immaginare, al momento, quale tipo di governo andrebbe bene agli americani. Aspettiamo il risultato delle presidenziali e vediamo quali margini di autonomia potrebbero essere riservati alla politica italiana.
C’è infine, come si diceva, una strategia francese, una sorta di “strada francese” che sta interpretando il finanziere Vincent Bolloré. E’ probabilmente una delle soluzioni più classiche e migliori per salvaguardare uno schema politico democratico in Italia e nello stesso tempo mantenere al Belpaese un ruolo produttivo di compartecipazione a uno sviluppo economico di primo piano, anche se con un preminente controllo francese.
Intorno a queste tre scelte che si delineano all’orizzonte si sta scatenando una sorta di finimondo. Diceva qualche giorno fa Rino Formica al sussidiario che “Renzi ha avvelenato i pozzi” e lo ha fatto con una superficialità incredibile. Innestando un ginepraio dove trionfano (e trionferanno) soprattutto i dossier e il gossip interessato e intercettato.
Tanto per intenderci, è da giorni che si parla con insistenza di un avviso di garanzia in arrivo a uno dei ministri più importanti del governo. Non è solo questa la notizia che mette apprensione al premier. C’è chi prevede l’uscita di un malloppo di carte, piene di intercettazioni telefoniche, che riguardano importanti personaggi, soprattutto nel momento in cui fu “rottamato” Enrico Letta. E poi c’è chi ormai si incarica di fare una “guerra senza esclusioni di colpi al governo”. Ieri Il Fatto Quotidiano ha dedicato due pagine complete all’amicizia tra il renziano Marco Carrai, il designato alla cyber security dal premier, e il vecchio “consigliere” americano Michael Leeden, accusato di simpatie piduiste e di essere un doppiogiochista spia del Mossad israeliano.
Siamo proprio in un bel clima. Non proprio “positivo” e “costruttivo”.