Certo che se anche un dirigente politico stimato come Stefano Graziano finisce sui giornali perché sospettato di essere in combutta con la camorra — vera o falsa che si rivelerà quest’accusa — vuol dire che siamo al capolinea. Che il margine tra lecito e illecito, tra il normale svolgimento della propria attività e la commissione di un reato, si è fatto così labile, specie in alcune zone della Campania come questa del Casertano dove imperversano i casalesi, che la sola buona volontà non basta a tenersi fuori dei guai giudiziari e del conseguente tritacarne mediatico.
Graziano — gli inquirenti avrebbero raccolto intercettazioni e altre prove documentali in tal senso — si sarebbe rivolto a un imprenditore del luogo che si chiama Alessandro Zagaria, e che si assume espressione dell’omonimo clan criminale, chiedendo voti per l’allora imminente battaglia elettorale in Regione e promettendo in cambio i propri uffici per facilitare i rapporti con il mondo amministrativo locale. Di qui l’ipotesi tanto odiosa quanto vaga di concorso esterno in associazione mafiosa appioppata all’agire dell’esponente del Pd: non uno qualsiasi ma addirittura il presidente regionale del partito.
Affermatosi nell’era di Enrico Letta presidente del Consiglio, come l’attuale inquilino di Palazzo Chigi Matteo Renzi si è affrettato a puntualizzare, il sospettato si è prontamente sospeso dall’incarico esprimendo la formula di rito che lo vuole sereno e poi fiducioso nei magistrati che lo dovranno giudicare. Molte le espressioni di solidarietà nei suoi confronti ma anche critiche forti come quella della giornalista e parlamentare Rosaria Capacchione che punta il dito contro il “vizio” del Partito democratico di premiare i portatori di consensi a danno di chi invece s’impegna a combattere il malaffare.
Insomma, tirata la solita linea che divide i buoni dai cattivi è cominciato l’esercizio di collocare e collocarsi tra gli uni o gli altri a seconda del sentimento, delle convinzioni e delle convenienze. L’inchiesta, almeno la parte pubblica venuta da poco allo scoperto, è alle prime battute e si dovranno attendere i tre gradi di giudizio per sapere con sufficiente precisione se il misfatto c’è stato o meno e di quale intensità. Ma quel poco che finora è trapelato sulla stampa basta e avanza per suscitare la riprovazione sociale. Bruciare Graziano, come una volta le streghe, sarà facile. Così come verrà naturale mettere all’indice, una volta di più, un’intera classe dirigente che non sa resistere alle tentazioni e pur di vincere si consegna al nemico.
La realtà, comunque si risolverà quest’ennesimo caso di presunta connivenza, è che il rischio ambientale in certe zone del nostro Paese — ma pare che il fenomeno si stia allargando a macchia d’olio — è diventato così alto che fare politica, sfidare l’esito delle urne sollecitando il voto, finisce per diventare un’attività pericolosa per definizione. L’insidia è dietro ciascuno dei tanti angoli che la competizione comporta. Andarvi a sbattere, considerata la frequenza dell’errore, è così semplice e doloroso che si accentuerà la selezione avversa lasciando il campo ai più spregiudicati. Contro un sistema che si corrompe non può che esservi una risposta di sistema.