L’Italia è ammalata di molte cosa, ma soprattutto di una congenita perdita della memoria, che si manifesta purtroppo in quella triste malattia della vecchiaia che è l’Alzheimer. Mentre infuriava in questi giorni lo scontro tra politica e giustizia, che è sempre in agguato, nessun commentatore, analista o “specialista” di procure ha ricordato una lettera inviata da Giorgio Napolitano, emerito presidente della Repubblica, ma allora in piena funzione al Quirinale, alla famiglia Craxi nel decimo anniversario della morte del leader socialista. Era il 18 gennaio del 2010.
In quella lunga lettera Napolitano non definisce certo Bettino Craxi un latitante, come facevano la procura di Milano e altri supporters, ma ne ricorda, anche con affetto, la battaglia politica, leale e spesso conflittuale, la tensione riformista e la tragedia che lo ha investito. Napolitano ricorda il discorso alla Camera del leader del Psi il 3 luglio 1992, dove aveva descritto “senza infingimenti” una prassi di finanziamento pubblico e nascosto che andava cambiato. E che aveva conosciuto anche Enrico Berlinguer nel suo partito.
Napolitano nella lettera scrive una frase cruciale: “Era ormai in pieno sviluppo la vasta indagine già da mesi avviata dalla procura di Milano e da altre. E dall’insieme dei partiti e dei loro leader non era venuto un comune pieno riconoscimento delle storture da correggere, né una conseguente svolta innovativa sul piano delle norme, delle regole e del costume. In quel vuoto politico trovò sempre più spazio, sostegno mediatico e consenso l’azione giudiziaria, con un conseguente brusco spostamento degli equilibri nel rapporto tra politica e giustizia. L’on. Craxi, dimessosi da segretario del Psi, fu investito da molteplici contestazioni di reato. Senza mettere in questione l’esito dei procedimenti che lo riguardano, è un fatto che il peso della responsabilità per i fenomeni degenerativi ammessi e denunciati in termini generali e politici dal leader socialista era caduto con durezza senza eguali sulla sua persona. Né si può peraltro dimenticare che la Corte dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo — nell’esaminare il ricorso contro una delle sentenze definitive di condanna dell’on. Craxi — ritenne con decisione del 2002, che pur nel rispetto delle norme italiane allora vigenti, fosse stato violato il ‘diritto a un processo equo’ per uno degli aspetti indicati dalla Convenzione europea”.
La “scoperta” dei fenomeni degenerativi della giustizia italiana negli ultimi 25 anni non è limitata al discorso di Matteo Renzi in Parlamento. E’ molto più ampio il “gruppo di denuncia”. E’ costituito da giuristi italiani e di molti paesi nel mondo, da uomini di Stato, da molti osservatori. Del resto è un po’ difficile, come fa l’attuale sen. Napolitano, definire solo “indagine” l’operazione di Mani pulite, con oltre quattromila e cinquecento persone incarcerate, oltre 25mila persone avvisate di garanzia, 1300 condanne e patteggiamenti, più di 400 persone assolte in giudizio e migliaia di prosciolti.
Se nonostante tutto questo c’è stato un peggioramento, seguendo le recenti parole del presidente dell’Anm, Piercamillo Davigo e dei suoi fans, conviene dotare il paese di alcuni “campi di concentramento e rieducazione” installando, ma di questo sicuramente non c’è bisogno, “centri di ascolto” per sapere quello che si dice anche durante le telefonate per gli auguri di compleanno, perché anche lì magari si “annida il reato”.
Il vero problema è che dal 1992, con il concorso di varie forze anche esterne, si è perseguito l’obiettivo di destabilizzare questo Paese, di destabilizzare l’Italia. Mentre alcuni ex “poteri forti” si arricchivano, con vergognose plusvalenze sulle privatizzazioni, e si ritiravano definitivamente dall’economia reale (i famosi “capitani di sventura” italiani), si era scatenata un’autentica battaglia tra altri poteri, anche istituzionali, per piazzarsi nell’inevitabile futuro geopolitico italiano.
La vera colpa della politica (ecco l’attualità della lettera di Napolitano: non tutti i leader, diversamente da Craxi, colsero la necessità della verità e della necessaria correzione) fu quella non solo di non prendere l’iniziativa, ma addirittura di fare una sorta di “patto con il diavolo”. Una prassi dal respiro corto, come ci avrebbero dovuto insegnare Goethe con il suo Faust e Thomas Mann con Il dottor Faustus. Alla fine si paga sempre.
La storia è lunga. Achille Occhetto dirottò il vecchio Pci in un’entità postcomunista che era più a sinistra dello stesso vecchio Pci e con toni pure ecologici. Doveva guidare una “gloriosa macchina da guerra” e finì contro un muro che si trovò improvvisamente davanti. Naturalmente rispettava “le sentenze”, come si faceva nell’Urss che ben conosceva, e lisciava formalmente il pelo alle toghe. Sbandierando la “questione morale”, la deriva della perdente politica berlingueriana, crollata fin dal famoso Convegno dell’Eliseo.
Non si sa bene adesso dove sia finito Occhetto. Ma non è una gran notizia, perché non ne ha mai azzeccata una, da quando stava nell’Unione goliardica italiana e dirigeva la Federazione giovanile comunista.
A lisciare il pelo alle toghe c’era comunque un incredibile incrocio destra-sinistra. In un primo tempo anche le tv del cavalier Berlusconi avevano postazioni fisse sotto il Palazzo di giustizia di Milano, con cronisti e direttori di telegiornali molto vicini ai magistrati. Il cavaliere scoprirà presto il “giustizialismo”, perché il candidato su cui forse contavano i destabilizzatori e anche una parte della magistratura era a quel tempo Occhetto. A vari livelli, tanti si accorsero che il “patto con il diavolo” alla fine diventava un boomerang terribile.
In questi venticinque anni, il vulnus è stato sempre presente, ma con la crisi finanziaria del 2007 tutto è stato triturato, dando luogo a una situazione più grave che ha creato confusione e sconcerto anche nell’opinione pubblica, che un tempo plaudiva entusiasticamente ai magistrati. Si viveva sempre in un pauroso vuoto politico, ma occorreva una nuova spallata contro la vecchia politica e una nuova forza parapolitica, per salvaguardare il “cuore” dell’operazione del 1992 e giustificare quello che sta va avvenendo. Un giorno si dovrà raccontare bene la storia del debito italiano.
Guarda caso, è proprio nel biennio 2007 e 2008 che si vara la guerra a “La casta” (diventato un boom editoriale targato Rizzoli) e cominciano i “Vaffa-day” del comico Beppe Grillo, che si trasformano in movimento sotto la bandiera dell'”onestà”.
In sostanza si cambia cavallo e quello che può chiamarsi il “partito delle procure” viene rinnovato. Mentre il berlusconismo si autosilura con qualche spinta che viene dall’intero e dall’esterno, il Pd diventa meno credibile che in passato. Pier Luigi Bersani perde troppo tempo per “imbarcare” il M5s. Dopo la catastrofe dei tecnici il governo passa a un giovane sindaco fiorentino. Ma lo “spirito del ’92” preferisce guardare ai pentastellati che gridano sempre e solo “onestà”. Linea politica “interessante”, che ricorda però un vecchio detto di Pietro Nenni: “In questioni di purezza, c’è sempre uno più puro che ti epura”.
Matteo Renzi intanto si mostra precipitoso, giustizialista a giorni alterni, poco credibile nell’azione di governo sui problemi economici, sociali e anche su quelli internazionali. A volte dà l’impressione di evitare “il futuro del Paese”, ma spesso appare superficiale e sbrigativo, troppo concitato anche nelle riforme istituzionali.
Difficile pensare come il primo ministro arriverà al referendum di ottobre. Ha scritto oggi con grande lucidità Giulio Sapelli: “Il triangolo oggi è quello tra Usa, Europa e Africa. Qui si gioca il destino italiano. Bisognerebbe iniziare a prendere le misure necessarie a contrastare questo disegno che mira a ridurci in frantumi e con noi ciò che rimane dell’Europa”. Non sembra che questo governo abbia la lucidità e la forza di affrontare questi mesi cruciali.
Renzi ha “rottamato” alcuni vecchi estensori del “patto col diavolo”, ma è incastrato tra gioco internazionale che passa sopra la testa dell’Italia e poteri deboli che vogliono gestire il futuro di un Paese dimezzato e impoverito.
Forse siamo arrivati al “gran botto” finale di questi 25 anni trascorsi a cavallo del millennio. Con l’Italia che si rinchiude nelle sue vecchie corporazioni, dopo aver “espulso” un’intera classe dirigente, dopo aver smantellato e svenduto un apparato industriale di tutto rispetto, dopo aver persino chiuso alcune fabbriche per via giudiziaria. Riderà la Germania, in parte anche gli Stati Uniti.
Ma in compenso sarà salvaguardato il potere dei pm, figura quasi sacrale nell’Italia della “questione morale”. Non è un caso che l’ultimo miglio di questo grande assetto geopolitico sia stato scandito da una nuova riapertura di arresti e nuovi avvisi di garanzia, probabilmente tutti diretti contro il governo e i “moralizzatori” che non servono più. “Sarà un’estate infernale”, ha assicurato uno “storico”, ex direttore del Corriere della Sera. C’è da credergli, perché di questi affari se ne intende e riesce anche a districarsi bene nell’apprendere dal nulla testi di intercettazioni telefoniche, avvisi di garanzia e magari arresti.