Federica Guidi rilascia la sua deposizione ai procuratori di Potenza e diventa, nel giro di tre ore, “parte offesa”. Solamente ieri, c’era chi scommetteva che dovesse passare sotto autentiche “forche caudine” per trasformarsi in “indagata”. In pochi giorni, Federica Guidi è ritornata “signorina”, dopo aver scoperto i “maneggi imprenditoriali” dell’ex convivente Gianluca Gemelli, ed è ritornata “confindustriale” a tutti gli effetti.



Federica Guidi non è un’aquila politica. E’ diventata ministro per garantire un ponte tra Renzi e gli interessi di altri protagonisti dell’economia italiana, magari interpretati anche da Silvio Berlusconi. Ha attraversato una sorta di incubo, non deve nemmeno avere compreso bene quello che è avvenuto, pur cercando di districarsi tra presunti “lupi” che si muovono nel governo. Soprattutto non ha avvertito la complessità della partita che si sta giocando tra i resti dei poteri italiani nell’attuale passaggio storico, che prelude al possibile fine-corsa di questo governo Renzi. Perché ormai di questo si tratta, questo è il vero nocciolo della questione.



In effetti, se la Guidi, titolare del dicastero interessato, è stata promossa a “parte offesa”, si può sapere dove stava il cosiddetto conflitto di interessi palese, che è stato sostenuto fin dall’inizio e poi ripreso e amplificato in “trivellopoli” da parte dei pentastellati grillini e da molti altri irriducibili antirenziani? Occorre ripetere ancora una volta: dove sta il reato dell’ex ministro dello Sviluppo economico? Se c’era conflitto di interessi la Guidi non dovrebbe essere “parte offesa” dell’ex fidanzato, ma anche del presidente del Consiglio che si è assunto la paternità dell’emendamento.



La procura di Potenza può e deve certamente indagare sulla possibilità di un “disastro ecologico”. Ma tutto il resto che vi è legato, a partire dall’emendamento che favorisce la Total (con il petrolio, il gasdotto e tutto il resto) è un polverone dove ci sono tanti interpreti interessati a mettere in crisi il governo di Matteo Renzi.

Spiega un attento conoscitore di cose italiane: “Tanto rumore per nulla”. E invita a guardare con attenzione prima all’irritazione e poi all’attivismo frenetico del presidente della Puglia, Michele Emiliano, che, al di là delle dichiarazioni di lealtà al partito, delle interviste e della “volontà dialettica” dimostrata nella direzione del Pd, è fuori dalla grazia di Dio per un pacco di royalties sfumate a vantaggio della Basilicata.

Si invita ancora a riflettere sul ruolo della magistratura, che ha bisogno di far sentire il suo peso in un prevedibile vuoto di potere che si sta profilando all’orizzonte nei prossimi mesi, magari sponsorizzando la sponda della protesta del Movimento 5 Stelle. Infine, c’è pure chi non trascura il fatto di tagliare qualsiasi eventuale collegamento per un possibile accordo italo-francese in campo europeo, anche nella correzione di questa politica europea dettata dai funamboli dell’austerity di Berlino. Magari qualcuno ha detto: è intervenuta “Vivendi” per Telecom e Mediaset, non ostacolate Total, per favore.

Il fatto è che Matteo Renzi e il suo governo stanno pagando una sequenza di scelte sbagliate e di annunci irrealistici, irrealizzabili. Il fatto è però che la speranza che Renzi aveva suscitato nel Paese era di tale portata, che non si poteva liquidare come è stato fatto con Enrico Letta. L’operazione della necessità di un nuovo cambiamento di governo deve passare necessariamente attraverso una grande sceneggiata. Magari è necessario che debba appoggiarsi su un grande scandalo, che se poi ha riflessi internazionali è ancora più devastante. L’occasione è arrivata puntualmente, andando a ripescare questioni che si dovevano decidere molto tempo fa.

Si può vedere come sia cambiato il clima intorno a Renzi. Ieri persino uno dei commentatori “principe” del Corriere della Sera si dichiarava “deluso” dal giovane premier “rottamatore”. Oggi si sono già scatenati i famosi “giornalisti d’inchiesta”, cioè quelli che riescono a interpretare (chissà come?) il pensiero dei magistrati. Sono già saltati fuori i “quartierini d’influenza” e tutta la fila degli economisti, ministro Padoan compreso, sono finiti nel tritacarne del pettegolezzo, con intercettazioni di ogni tipo. Senza contare gli sfoghi nei salotti televisivi di anti-renziani storici. Dopo la frase di Gianni Cuperlo in direzione Pd, il ritratto fatto di Renzi da Massimo D’Alema è stato quello di un quasi “golpista” del Partito democratico. In più, è arrivato anche il sindaco Masaniello-de Magistris a “organizzare” una manifestazione che da il senso di quello che sta maturando nel Paese. E ancora la magistratura, che piazza al vertice del suo sindacato Piercamillo Davigo e probabilmente, alla Procura di Milano, Francesco Greco, due “eroi” di mani pulite. Magari come monito perché nessuno dimentichi.

E’ indubbiamente difficile difendere un’esperienza di governo come quella di Matteo Renzi, una serie di annunci e carenze palesi. Ma si può anche aggiungere che in questo Paese sembra che non ci sia veramente limite al peggio.