Ha suscitato polemiche l’intervista di Bruno Vespa a Salvo Riina (condannato per mafia a 8 anni e 10 mesi, scontati), figlio di Totò Riina, ex capo di Cosa nostra, nel corso dell’ultima puntata di Porta a Porta. Il direttore generale della Rai, Antonio Campo Dall’Orto, e il presidente, Monica Maggioni, hanno partecipato alla riunione della Commissione Antimafia per discutere delle conseguenze della scelta editoriale di Vespa. Il presidente Maggioni ha sottolineato che “nella storia della Rai non c’è nessun negazionismo, da giornalista capisco l’attrazione per questa storia ma c’è il contenuto e ci sono anche le responsabilità. Nel Paese la ferita della mafia non è una ferita del passato, ma di oggi”. Abbiamo chiesto un commento a Calogero Mannino, siciliano, ex ministro dei Trasporti, dell’Agricoltura, della Marina mercantile e degli Interventi straordinari per il Mezzogiorno.
Che cosa ne pensa della scelta di Vespa di intervistare Salvo Riina?
Bruno Vespa è stato alquanto ardito. Sapeva bene che ci sarebbe stata un’opinione pubblica “corretta” che avrebbe certamente reagito. Il gusto per il suo mestiere lo ha portato a questa scelta. Trovo che anche il figlio di Riina abbia il diritto di dire quello che pensa e che tutti abbiamo il diritto di replicare.
Come valuta il dibattito che è emerso da questa vicenda?
Anche il figlio di Riina ha diritto all’affetto per suo padre. Il Paese però deve ragionare, non attribuendo al figlio di Riina le colpe che sono del padre, né sulle colpe del padre ci deve essere alcuna attenuante. Riina, Provenzano e il terzo capo di Cosa nostra, ancora oggi non identificato, hanno inflitto all’Italia una pagina assai dolorosa con vittime innocenti e con una lacerazione profonda nella storia del Paese. Quindi nessuna attenuante.
Questa storia ha dei precedenti?
Di volta in volta in televisione sono apparsi tanti collaboranti e pentiti di Riina. Tra questi c’è anche il figlio di Ciancimino, il quale ha diritto a difendersi, anche se magari non a offendere. Va quindi trovata una regola, in base a cui tutti coloro che sono colpevoli dei fatti criminali di Cosa nostra sono interdetti e non devono parlare in pubblico, neanche se sono pentiti. Anzi, proprio in quanto pentiti devono dire al giudice le cose che sanno, quelle che sono sicure e verificabili, e non hanno diritto a fare degli show che a mio modo di vedere ci sono stati. In questa vicenda si sta piuttosto riflettendo un altro problema.
Quale?
E’ arrivato al dunque il momento dell’antimafia, e i due articoli di Paolo Mieli sul Corriere della Sera lo documentano. L’ultimo si intitola significativamente: “Antimafia la profezia di Sciascia”. Nel 1987 Sciascia aveva detto che per molti anni l’opinione pubblica siciliana era stata restia a dichiararsi apertamente contro la mafia. Una parte dell’opinione pubblica, fino ai limiti dei ceti dirigenti, delle forze politiche e delle istituzioni anche religiose hanno dichiarato a lungo che la mafia non esiste.
Quindi che cosa è successo?
Dopo il maxiprocesso nell’opinione pubblica siciliana le cose non sono rimaste com’erano, perché si è formata una consapevolezza di dovere civico. Solo che questa è diventata una professione. Sotto lo scudo di questa professione si sono perpetrati anche atti molto discutibili, quando non illeciti penali sui quali non intendo entrare. Adesso tutti i vecchi militanti dell’antimafia reagiscono e prendono a pretesto, perdendo il senso delle proporzioni, questa trasmissione.
Perché ritiene che chi critica Vespa abbia perso il senso delle proporzioni?
Perché la puntata di Porta a Porta non va giudicata inopportuna di principio, ma piuttosto nel caso in cui Vespa avesse assecondato l’intervistato… Io non ho visto l’intervista, ma non credo minimamente che Vespa abbia fatto questo errore. Anzi conoscendo Vespa da antica data immagino che a ogni passo, anziché prendere le distanze in termini di ipocrisia formale, abbia sottolineato quanto ancora l’educazione di questo giovane sia distante dall’avere assimilato compiutamente che accanto al dovere di amare il padre comunque, c’è il dovere di dare un giudizio di tutta la vicenda criminale di Cosa nostra.
Salvo Riina dice nell’intervista: “Mio padre era un uomo tutto di un pezzo e mia madre si innamorò di lui per l’integrità dei suoi valori morali”. Come valuta questa affermazione?
E’ proprio questo il punto sul quale il distacco deve maturare. Il giovane Riina ha diritto ad amare i propri genitori. Nel confronto pubblico però ha anche il dovere di introdurre delle distinzioni che partano dal riconoscimento che l’essere tutto di un pezzo nell’uccidere tante persone non è un valore morale.
Vespa si è difeso dicendo che per combattere la mafia dobbiamo conoscerla. E’ un ragionamento sensato?
Non è scorretto. Quello dell’informazione è un dovere a 360 gradi. Se hai portato in televisione il figlio di Tizio, puoi portare il figlio di Caio. Sui fatti devi avere però una linea che il telespettatore sappia cogliere. Una linea di giudizio e di differenza. Nessuna pregiudiziale, nessuna preclusione nei confronti di chiunque, neanche dei figli dei mafiosi se non si sono resi colpevoli di reati e non hanno delle responsabilità. Però la loro subcultura non può essere propagandata.
(Pietro Vernizzi)