Ormai la sceneggiata sta diventando quasi uno spettacolo pirotecnico. Anche se desolante per tutto il Paese. Matteo Renzi, con il suo governo, è nel mirino e si sta scatenando una sorta di gara per impossessarsi del suo scalpo, non solo da parte del M5s e della destra, che non si riesce a comprendere bene dove stia.

E’ abbastanza strano che tutto si sia accelerato con il ritorno di Renzi dal suo viaggio-flop negli Stati Uniti.



Appena sbarcato dall’aereo, Renzi si è catapultato alla Rai per essere intervistato da Lucia Annunziata, dimostrando di non subire influenze dal jet-lag. Era infastidito per il caso del ministro Federica Guidi, ma ancora combattivo come un giocatore d’azzardo, assumendosi in prima persona la paternità dell’emendamento pro-Total.



Poi si è preparato alla riunione della direzione del Pd al Nazareno e in quella sede deve aver scoperto un “nuovo mondo”, che risente dell’America ma non è l’America.

Proviamo a fare un sintetico resoconto di quanto è avvenuto dalla crisi della coppia di fatto Guidi-Gemelli (l’ex ministro e l’ex fidanzato), fino alle aule della Procura di Potenza. La piccola minoranza interna del Pd, dopo le dimissioni del ministro, sembrava tarantolata, coraggiosa come mai in passato e durissima nei giudizi.

Il mite Gianni Cuperlo, solitamente corretto e politicamente ancora più corretto (sempre con il viso di un vecchio ragazzo della Fgci), ha tirato fuori le unghie rivolgendosi direttamente al segretario del partito e al premier del governo: non hai la statura del leader, ma coltivi l’arroganza del capo.



La sera dopo, Massimo D’Alema, ospite nel salotto televisivo di una signora ormai cinquantanovenne ma sempre fascinosa, aveva i baffetti grigi in tensione e dipingeva Renzi come un leader che non aspetta altro che criticare la storia del Pd, tutto il passato della sinistra italiana (quella sua) e che ha soprattutto “l’arte” di dividere, non quella di unire. Ieri mattina, alle sette, si poteva leggere sul Corriere della Sera l’ex segretario del Pd, Pier Luigi Bersani. In un’intervista spiegava che Renzi “ha desertificato il Pd” e, probabilmente con cadenza piacentina, si lanciava anche in inglese: “ha creato una serie di yes men e yes women”. Bersani, scatenato, citava con solennità la delusione di Galli della Loggia e infine sentenziava: “Scoperchiato il vaso di Pandora, i ministeri sono ormai espropriati”. Da chi? Ma dalle lobbies, of course.

Questo avveniva alle sette, perché alle otto, su una rete televisiva, cominciava una trasmissione con Michele Emiliano, ex magistrato e ora governatore della Puglia, autentico Pd dalla fondazione, che sembrava danzasse in tutù nel “Ballo Excelsior” per sentenziare che ormai, anche se non si raggiunge il quorum al referendum sulle trivelle, per le Regioni che l’hanno promosso è già una grande vittoria e quindi per Renzi una sconfitta.

E’ incredibile come questi attempati compagni, uniti sin dai tempi del vecchio “compagno Breznev”, siano stati folgorati dal “viaggio americano” di Renzi e forse, come in una visione, abbiano saputo che le famose credenziali internazionali del premier sono franate, immolate a nuove alleanze geo-strategiche e probabilmente alle stesse incertezze disastrose dimostrate dal “rottamatore”.

Insomma, hanno scoperto tutto in una settimana? Dopo che Federica Guidi ha mandato a quel paese (eufemismo) persino il “compagno” Gianluca Gemelli? Prima di allora non sapeva nulla nessuno?

Naturalmente, nel rispetto dell’indagine, della riservatezza delle intercettazioni, del lavoro discreto dei magistrati sono ritornati tutti i “pistard” delle procure, quelli che, secondo il vecchio presidente Francesco Cossiga, approfittavano dell’amore tra il gatto della portinaia della procura e la gatta della portineria di alcuni giornali. In questo modo, su alcuni quotidiani grandinano indiscrezioni, dossier di fotografie, dichiarazioni di tutti i tipi, testi di intercettazioni telefoniche, rapporti velenosi tra ministri, voci incontrollate, un linguaggio da taverna e un nuovo “spaccato” della politica che mette i brividi alla schiena.

Questa è la sequenza della grande sceneggiata. La realtà è forse più semplice, anche se ovviamente ci sono complicazioni ben diverse per comprendere in pieno quello che sta avvenendo. Al suo arrivo in America, Renzi era stato avvisato dal nostro ambasciatore a Washington che Barack Obama era irritato, deluso dall’incertezza del premier italiano sulla Libia.

Ci sono poi stati una serie di “improvvisatori”, da Gentiloni alla Pinotti, alla Mogherini, che non devono aver avuto un impatto felice e convincente con gli americani. Il problema libico, in più, si è incrociato con la tragica fine del giovane Giulio Regeni, che è stato vissuto come uno sfregio dall’Italia, ma che non deve affatto essere piaciuto al nuovo rais del Cairo, Al Sisi. La vicenda appare come un gioco di specchi, legata ai servizi segreti egiziani. Ma quali esattamente? Qualche servizio estero è entrato direttamente o indirettamente nella confusione/spaccatura del regime egiziano per incrinare i rapporti tra Italia ed Egitto? E’ difficile muoversi in un puzzle drammatico come questo. Sinora l’Italia non ha brillato, se non per dichiarazioni di principio.

Poi c’è il problema di Vladimir Putin. Il confronto tra l’America di Obama e la Russia di Putin resta sempre aperto. Difficile stare a mediare tra due superpotenze e due personaggi di questo tipo. Forse Renzi non ha mediato con la cadenza giusta e — a questo punto — gli americani si sono irritati ancora di più e l’hanno messo sul conto.

Mettiamoci, infine, la maggioranza che sorregge il governo Renzi. Con tutta probabilità, l’opinione pubblica americana non sa neppure chi sia Denis Verdini, ma gli “specialisti” sanno benissimo che il premier ha bisogno di questo personaggio, dai contorni stravaganti, per mantenere in sicurezza il suo governo al Senato. Fatti due conti, magari in modo sbrigativo ma anche pragmatico, gli americani hanno pensato bene che il ruolo che poteva occupare l’Italia nel Mediterraneo e in Libia, lo potrebbe occupare meglio la vecchia alleata Gran Bretagna, che alla Libia è sempre interessata.

Non è strano che Maria Elena Boschi abbia detto ai pm di Potenza che l’unica sollecitazione sul famoso emendamento l’abbia avuto dall’ambasciatore inglese a Roma?

A questo punto, molti osservatori e analisti danno Renzi non solo in difficoltà, ma quasi al termine della sua corsa. Magari non sarà questione di giorni o di settimane, magari ci vorrà qualche mese, ma il “rottamatore” affabulatore sembra avare la sorte segnata.

C’è già chi è in lista per sostituirlo. Si parla di un ritorno di Enrico Letta a Palazzo Chigi, ma c’è anche chi fa trapelare il nome di Raffaele Cantone. Un magistrato che però non piace all’Associazione nazionale magistrati, che in Italia conta quasi come il Vaticano.

Ma al punto a cui si è arrivati, tutti gli accordi sono possibili e aperti. Naturalmente nello sfarinamento generale del sistema politico, istituzionale, sociale ed economico italiano. Ma per chi ha giocato al massacro per oltre venti anni, che problema c’è a scendere in serie “B”?