“L’Europa concede a Renzi la flessibilità anche se sa che i soldi servono ai bonus elettorali e non a ridurre il debito pubblico, ma in cambio il nostro Paese è costretto a cedere i gioielli di famiglia. Le privatizzazioni del resto finora non sono mai servite a diminuire il debito pubblico, ma ad altro”. E’ l’analisi di Ugo Finetti, analista politico e direttore di Critica Sociale, secondo cui il nostro governo non è riuscito a essere incisivo nelle sue politiche per un errore strategico fondamentale: “Renzi ha pugnalato alle spalle il premier inglese Cameron appoggiando la Merkel sull’elezione di Juncker, il tutto per avere un risultato di immagine come la nomina di Federica Mogherini quale Alto Rappresentante per gli Affari Esteri”.



Quali sono i nodi politici che Renzi si trova ad affrontare in questo momento?

Ci sono nodi politici, ma gli attacchi personali sono sbagliati e, anzi, depistano. Renzi è arrogante? E chi non lo sarebbe al suo posto? A 39 anni è diventato capo del più grande partito italiano, capo del governo e ha vinto le elezioni con il 41 per cento. Renzi autoritario? Ma il decisionismo e l’accentramento di potere sono esigenze che le stesse sentenze della Corte costituzionale ormai valutano necessarie e congrue. E la riforma del Titolo V della Costituzione che – per far concorrenza alla Lega di Bossi – varò il governo Prodi delegando poteri alle Regioni e sopprimendo controlli, fu uno sbaglio.



Che ne è stato del decentramento?

La democrazia post-’68 – tutta decentramento e partecipazione – è una stagione ormai del passato. Nella globalizzazione con una sfrenata concorrenza basata sulle aree metropolitane più competitive ragionare sulle “acque pugliesi” come pretende Emiliano o sull’autogestione locale di de Magistris dei principali investimenti nazionali non ha senso. Anche a livello europeo, se ci si vuol salvare come Unione, occorre che i governi locali (in questo caso nazionali) debbano cedere sovranità.

Su quali temi ritiene che il nostro premier si trovi più impacciato?



I problemi che Renzi ha di fronte e che lo vedono un po’ impacciato sono appunto il decisionismo a livello nazionale e l’integrazione a livello europeo. Renzi ha concentrato su di sé un enorme cumulo di poteri che non ha precedenti nell’Italia repubblicana. A ciò si aggiunge il ricorso ai voti di fiducia (persino su legge elettorale, riforma della Costituzione e diritti civili) e le ampie deleghe al governo a legiferare esautorando il Parlamento come potere legislativo finale.

Vada avanti.

Ora il rafforzamento della figura del premier (il presidenzialismo) è una necessità non contestabile. I problemi nascono però dal fatto che il governo non è uno “stato maggiore”, ma sostanzialmente uno staff personale. Renzi cioè deve fare tutto lui senza nemmeno personalità di rilievo che lo assistano. Questo accentramento personale con intorno solo esecutori crea un po’ di affanno e di disordine.

Ritiene che ciò sia una conseguenza della rottamazione?

Certamente è positiva la “rottamazione”, un gruppo dirigente giovane ha una indubbia forza propulsiva, ma il rischio lo abbiamo davanti agli occhi. Gente giovane e anche idealista che però viene dal nulla, sostanzialmente inesperta, cerca di radicarsi in modo frettoloso e imprudente. Sotto Renzi registriamo una moltiplicazione di gruppetti di potere che però rischiano di essere imbrogliati da lobby interne ai ministeri e assediati da lobby esterne.

 

Il nostro premier come sta gestendo i rapporti con l’Europa?

A livello europeo ci sono seri rischi di disintegrazione. L’allarme di Draghi vede una reazione del governo di Renzi inadeguata, di sostanziale sottovalutazione. Renzi all’indomani della grande vittoria nelle elezioni europee poteva svolgere un ruolo importante come primo partito nel Parlamento europeo. Invece ha pensato solo a un successo mediatico, a una esibizione muscolare: imporre la Mogherini come Alto commissario.

 

Invece che cosa avrebbe dovuto fare?

Doveva puntare a ridimensionare la Merkel. Mantenere il posto italiano uscente alle Attività produttive sarebbe stato molto più utile e non sarebbe costato nulla. Avendo in mente solo la Mogherini ha pugnalato nella schiena Cameron che si opponeva alla nomina di Juncker e ha scompaginato il fronte dei partiti socialisti precipitandosi a un’intesa a quattr’occhi con la Cancelliera. Anziché ridimensionare la Merkel, la si è incoronata con la Commissione più di destra della storia dell’Unione Europea.

 

Quali sono state le conseguenze?

I guai che vediamo. L’uscita della Gran Bretagna non è frutto di populismo e xenofobia. Questa lettura è sbagliata. L’antieuropeismo che cresce tra gli inglesi dipende dal fatto che per loro è inaccettabile l’Europa a guida tedesca. Renzi e gli italiani possono anche non farci caso, ma per i cittadini Oltremanica ci sono di mezzo due guerre mondiali che hanno vinto contro la Germania. Pensare che Londra prenda ordini da Berlino è una follia. L’Europa a guida tedesca significa la fine.

 

Fa bene Renzi a battere i pugni sul tavolo per avere maggiore flessibilità?

La crisi dell’euro richiede, come insiste Draghi – inascoltato da Roma – una maggiore integrazione. Parlare di flessibilità e cioè concentrarsi sul potere di spendere come singolo Paese in vista delle scadenze elettorali non è sufficiente. Renzi vede che le “riforme” (come il Jobs Act) in realtà hanno il fiato corto e quindi punta tutto sui bonus (prima gli 80 euro, poi i 500 ai nuovi elettori, ora altri 80 euro ai pensionati). Può anche avere ragione sul singolo provvedimento, ma l’Italia deve reagire con un’offensiva europea.

 

Che cosa rischiamo in questo momento?

Abbiamo due pericoli concreti. Il primo è che si vada verso un’Europa a due velocità che ci mette in serie B; l’altro è che si soggiaccia a un regime di ricatti. E cioè ti do la flessibilità anche se so che i soldi servono ai “bonus” elettorali e non a ridurre il debito pubblico, ma in cambio mi dai un po’ di “gioielli di famiglia”. Le privatizzazioni finora non sono mai servite a diminuire il debito pubblico, ma ad altro. In concreto, il pericolo è di essere in campo nella globalizzazione solo come venditori e non anche come acquirenti. Noi ci consoliamo dicendo che aumentano gli “investimenti esteri”, ma se non ci sono anche “acquisizioni italiane” l’Italia rischia di essere solo un negozio.

 

(Pietro Vernizzi)