La frase del giorno è: “Il governo è in prima fila con i giudici, e contro la criminalità”. Ha molte facce la controffensiva renziana che parte dal Sud. Ma la chiave di lettura della questione morale è la più rilevante. Non è solo una questione di consenso, che pure è importante e che il premer segretario risolve a colpi di fondi promessi, di inaugurazioni (un viadotto mai crollato e il museo dei Bronzi di Riace) e di assicurazioni sulla riapertura di Termini Imerese. E’ una partita assai più delicata e pericolosa.



A Palazzo Chigi l’allarme rosso si è acceso da tempo. E l’intemerata sulla politica corrotta pronunciata da Piercamillo Davigo, un minuto dopo essere stato eletto presidente dei magistrati italiani, è apparsa come una conferma incontrovertibile del grande gelo sceso fra il governo e le toghe. Una distanza seconda solo a quella dei governi Berlusconi. E il rosario di inchieste giudiziarie che continuano a vedere coinvolti esponenti democratici (ultima quella del presidente del Pd campano, Graziano) fanno temere il peggio. Il fosco scenario delineato da più di un commentatore è quello di un attacco in grande stile al governo alla vigilia del referendum costituzionale sulla riforma Boschi. Uno scenario che comincia a essere giudicato plausibile, e non di fantapolitica complottarda. Adesso saremmo quindi solamente alle prove generali.



Meglio correre ai ripari, quindi. La necessità di offrire un ramoscello d’ulivo ai magistrati è quindi diventata un’emergenza. E Renzi ha scelto di farlo nella giornata in cui ha toccato Reggio Calabria, Catania e Palermo. Di più: non fermarsi al “governo a fianco dei giudici”, ma spingersi anche a un appello a fare fronte comune contro la mafia, scandendo che rimane una priorità per tutti gli italiani. 

Se il segnale verrà raccolto dalla magistratura, abbassando una tensione che preoccupa non poco il Quirinale, si vedrà solo nelle prossime settimane. Per Renzi è essenziale per recuperare consensi, con le amministrative alle porte. La questione morale è il terreno più scivoloso per il partito che domina il governo e gran parte degli enti locali italiani. Sul tema il quartiere generale del Nazareno è sotto il fuoco incrociato dei 5 Stelle e della minoranza dem. L’aver ricevuto in pompa magna Denis Verdini, ormai quasi alleato di governo in nome dei numeri risicati in Senato, ha scatenato una polemica feroce, interna ed esterna, perché il leader di Ala non viene giudicato proprio un campione della legalità.



La controffensiva renziana, però, non può limitarsi a dichiararsi paladini della magistratura. Da qui al 5 giugno è in programma un crescendo di uscite, nonostante in parallelo stiano aumentando le manifestazioni di protesta, indice che molte delle attese sollevate dal renzismo sono andate deluse. Gli incidenti intorno all’Internet day a Pisa sono stati talmente virulenti da consigliare al premier segretario di rimanere a Roma. Una sconfitta d’immagine tamponata con l’uso delle nuove tecnologie. 

Renzi ha perfettamente compreso che non sarà facile riaccendere speranze, ma che la via è obbligata. Il veloce tour fra Calabria e Sicilia è paradigmatico della campagna elettorale che intende mettere in campo per risalire la china del consenso. Un mix di impegni con gli enti locali e di gesti simbolici, come l’inaugurazione di strutture nuove (o seminuove), come il museo di Reggio, o il viadotto Imera. Cultura, infrastrutture, legalità. Forse — ma non subito — persino il ponte sullo Stretto di Messina. Il mondo del no contro il mondo del sì, guerra dichiarata ai “professionisti della negazione”. Basta scandali come le strade interrotte, come i lavori infiniti, ha assicurato il premier nei suoi interventi pubblici. 

L’estremo sud della penisola, visti gli altissimi tassi di astensione che ci sono da queste parti, rappresenta il terreno ideale per tentare di lanciare la corsa verso il referendum di autunno, che è la vera incognita sulla via del consolidamento della leadership dell’attuale capo dello governo. E’ Renzi ad aver detto di giocarsi tutto in quel voto, con parole che potrebbero rivelarsi incaute. E lo schema del nuovo contro il vecchio, degli innovatori contro i frenatori, a oggi gli appare come il più semplice e, insieme, più promettente. Ma l’attacco non si limiterà al Sud, perché è destinato a coinvolgere tutte le regioni. In più non è esclusa qualche sorpresa in materia fiscale, se i conti pubblici lo consentiranno. 

La sostanziale assenza di alternative non può costituire un vantaggio per un tempo indefinito. E Renzi lo sa. Per di più, se malauguratamente le cose a ottobre dovessero andare male, una qualche alternativa il sistema sarebbe costretto a inventarla, mentre lui verrebbe costretto dai fatti a un passo indietro. Nulla, quindi, verrà lasciato d’intentato. Sempre che la magistratura non metta troppo i bastoni fra le ruote.