Diciamo la verità. Sarà sempre meglio che lavorare in miniera, ma di questi tempi fare il costituzionalista è davvero imbarazzante. A parte le scocciature che ti toccano durante la settimana, il sabato mattina, quando vorresti dormire o semplicemente farti i fatti tuoi, ti trovi a ricevere telefonate da colleghi, più o meno simpatici e autorevoli, che, tutto d’un tratto, ti chiamano e ti chiedono a bruciapelo, tra un caffè, uno sbadiglio, ed altri più importanti riti del mattino, che cosa pensi di questa riforma. “Sai, abbiamo tanti giovani, ma i vecchi sono tutti schierati da un’altra parte. Tu non hai firmato nessun appello, ma sarebbe bello che… vorremmo mandare un appello ai giornali… facciamo un incontro pubblico a…Quelli là hanno esagerato… Noi vorremmo che …”.



A parte il fatto che, di fronte ad una frase del genere, più a che pensare da che parte stai, ti chiedi se stamattina sei vecchio o sei giovane (si è sempre troppo vecchi o troppo giovani per qualcosa), capisci subito che, rispondendo al cellulare, ti sei messo in una situazione orrenda. Ma te lo meriti. Sapevi quello che stavi facendo quando hai risposto. Non è possibile che un collega, cui notoriamente piace stare in mezzo alle cose, che non senti da anni e che da anni non senti il bisogno di sentire, ti telefoni per caso il sabato mattina, dando per scontato che tu sia un’allodola e che tu abbia voglia di spendere una mattina di primavera con lui.



Delle due l’una: o gli dici in una battuta quello che ne pensi veramente e te ne torni ai Riti del Mattino. Ma allora sei schierato e lapidario. Oppure la prendi larga. Cominci a dirgli che questa riforma è semplicemente il modo per far scegliere meglio e più facilmente il Gauleiter a chi comanda davvero questo paese. Il collega si inalbera: cos’è un Gauleiter? Non sa bene cosa sia, ma siccome ha un suono inquietante pensa che, in qualche modo, stai dando del dittatore al Grande Capo. Spieghi al collega che non sa il tedesco, ma che da decenni cita autori tedeschi nelle sue pubblicazioni, che, appena prima di quella costituzione di cui parliamo adesso, il Gauleiter è stato il governatore locale in una certa fase storica del Nord Italia, ovverosia in quella terra dove, con grande meraviglia dei tedeschi, fioriscono eternamente i limoni. Gli spieghi che il Gauleiter è, per così dire, il leader locale. Che ce ne è stato uno per il Tirolo e il Brennero, uno per la Carinzia e il Tarvisio e persino uno per il Lago di Garda. In fondo Leiter e leader sono la stessa parola. E se dici leader e usi i termini della comunicazione commerciale sai che capisce e hai ristabilito il contatto emotivo nella conversazione. Glissi sulle consonanze etimologiche tra inglese e tedesco, perché il caffè è finito e bisogna rifarlo. Ed è impegnativo riempire la caffettiera mentre parli di queste cose. 



Mentre fai il caffè, gli spieghi che no, non pensi affatto che in questa nuova costituzione ci siano rischi di dittatura, come dicono certi vecchi estremisti da isolare. In realtà li chiami così per compiacere l’interlocutore e prenderlo un po’ in giro. Ti senti un po’ ipocrita, ma ci vuole diplomazia. Questi vecchi estremisti si limitano a dire oggi quello che dicevano dieci anni fa, ai tempi della Ultima Grande Riforma mancata. Solo che allora avevano dietro i giornali della Costituzione Più Bella del Mondo e spontanee manifestazioni di piazza. Oggi, che le manifestazioni spontanee non ci sono più, e che quei giornali patrocinano il Nuovo che avanza, a restare uguali si diventa vecchi e snob. 

Il collega che ti chiama, invece, è una specie di vieux garçon più furbo che intelligente. L’ha capito, ed infatti ti chiama nel nome della Riforma. E’ contento del tuo tono. Forse ha una trovato una firma in più per il suo appello. Continui dicendo che un dittatore, secondo la vulgata, è uno che decide davvero e fa quello che vuole fregandosene degli altri. Questo, poverino, è solo stato messo lì a fare quello che Monti e Letta non hanno saputo fare, e si è preso il problema lui. E’ uno volonteroso. E così sarà quello che verrà dopo di lui. Andiamo, mica questo è un dittatore. E neanche vuole esserlo. Semplicemente è uno che vuole spicciarsi a fare quello che gli è stato detto di fare per poi occuparsi d’altro. Chissà? Per un attimo pensi di citargli il Rienzi di Wagner e pensi a come è finito Cola di Rienzo. In fondo il mio interlocutore è di Roma, è di cultura alta e lo dovrebbe sapere. Ma pensi che questo gli darebbe fastidio: siccome continua a non sapere il tedesco, perché quando è cresciuto lui il tedesco era la lingua dei cattivi, parlargli di Wagner lo metterebbe in imbarazzo. E lasci perdere. 

Per farla più giuridica gli spieghi che secondo te questa riforma non serve a riscrivere una Costituzione, ma semplicemente a scrivere uno statuto regionale per attuare prima e senza troppi problemi ciò che viene deciso altrove. Senti, dai tempi della conversazione, che il tuo interlocutore sta pensando. E’ incuriosito dall’idea. E del resto — continui — dal loro punto di vista, dal punto di vista di chi comanda davvero, non gli si può dare torto. Pensiamoci un attimo: a che servirebbero due Consigli alla Regione Toscana per gestire la sanità e qualche trenino locale? Ma c’è davvero bisogno di tutto questo apparato di politici locali per far funzionare le cose in questo Paese? Insomma, dal loro punto di vista hanno ragione e sono persino coerenti. Lo farei anch’io al posto loro. Che ce ne facciamo di due Camere quando, in fondo, quel che c’è da fare è continuare a fare avanzi di bilancio per mandare soldi all’estero, privatizzare quel che resta delle imprese pubbliche e deindustrializzare definitivamente il paese nel nome della teoria dei vantaggi comparati? Si fa tutto prima con una sola Camera.  

Il collega annuisce. Senti che è d’accordo e puoi continuare. Lasci perdere il fatto che, in realtà, questo è un discorso da Promessi Sposi e da Francia o Spagna, ma tanto sai che oltre un certo punto non puoi andare. Lui è qualcosa tra Don Abbondio e l’Azzeccagarbugli. Sente istintivamente dove andrà il vento e si ripara, magari cercando di guadagnare qualcosa, rivendendosi la tua firma all’appello.

Quello che la gente non capisce — gli dici — è che questa riforma è soltanto la fase finale di qualcosa che è stato fatto cominciare molto tempo fa, con Tangentopoli, e che non è stato ancora portato a termine. Sentivo dire qualche giorno fa che, in fondo, questa riforma non tocca la Prima parte della Costituzione e serve solo a modernizzare il Paese. Sono gli stessi discorsi che sentivamo dieci anni fa, ai tempi della riforma di Berlusconi, tali e quali. 

Ti accendi una sigaretta mentre continui e ti siedi sul balcone in accappatoio, se no tua moglie si lamenta del fumo. Gli oleandri del balcone sono belli, non fa freddo e un po’ di diritto costituzionale fa bene anche ai vicini. Tu capirai, gli dici, che nel frattempo qualcosa è successo. La differenza tra oggi e dieci anni fa è che, di fatto, la Prima parte della Costituzione, quella di sanità, istruzione, previdenza etc., l’hanno già smontata riscrivendo l’articolo 81, e facendo funzionare il vincolo di bilancio nel modo che sappiamo. E la cosa divertente è che l’articolo 81 l’hanno riscritto in cinque mesi, alla faccia del bicameralismo che non funziona e allunga i tempi. Ma mi dici a che serve non toccare una riga di quello che si dice di libertà e diritti sociali, se poi, per essere virtuoso, devi ricevere l’autorizzazione a spendere da un consigliere comunale finlandese o da un sindaco lettone, messo lì da non si sa chi? Finlandia e Lettonia sono dei bei posti. Li ho visitati tempo fa, ne ho apprezzato molte cose e ho portato a casa molti struggenti ricordi, fatti di fiordi e insenature boscose in mezz’ombra. Però non credo che abbiano una classe politica capace di esprimere statisti continentali, o che, più modestamente, capiscano come funziona l’Italia. Per non parlare del piccolo particolare che questi signori, a dirci cosa dobbiamo fare, non li abbiamo messi lì noi. E dovremmo chiederci chi ha mandato per anni in giro per l’Europa un calciatore finlandese a parlare di economie di paesi molto più complicati del suo. E di cui non sa nulla. Tanto è vero che anche il suo paesino adesso è nelle più nere. E mica per la Nokia che ha chiuso.

Capisci che il collega pensa ai viaggi e ai convegni internazionali e non sa cosa dire. Forse pensa ai vantaggi del costituzionalismo globale e al prossimo convegno all’estero con una relazione in francese. Ma si risolleva ed assesta il colpo. Ti dice: “Sì, ma l’articolo 81 non può fare tutto. Bisogna finire il lavoro”. 

Adesso sei tu a fermarti. Non riesci a crederci. Forse è una risposta data a caso. In fondo il collega è di lungo corso. E’ abituato al colloquio accademico ed ha buona frequentazione degli ambienti politici che sono sopravvissuti al Psi, al berlusconismo, al Pd vecchio e nuovo, e ora hanno da adattarsi al nuovo che arriva. Sa che ci si può trarre d’impaccio con una frase apparentemente senza senso. 

Oppure sa benissimo quello che sta facendo. Sa benissimo a cosa serve questa riforma, e per una firma in più, gli è toccato ascoltare un discorso che non avrebbe voluto sentire, perché, vieux garçon o no, a sentirlo si vergogna un po’ anche lui. 

Il punto è che ormai ti sei scoperto e tanto vale andare avanti. Gli spieghi che è molto strano che nel Def ci sia una parte dedicata a spiegare alla Commissione lo stato di avanzamento delle riforme economiche, e che tra le riforme economiche ci sia sempre una scheda dedicata a legge elettorale e riforme costituzionali in Italia. Gli spieghi che, ormai, persino i costituzionalisti, nei loro articoli e nei loro convegni, parlano correntemente di reports di banche internazionali che vedono nelle costituzioni sociali del Sud Europa un ostacolo all’attuazione di certi obiettivi di market building. Gli spieghi che è ridicolo parlare di riforme costituzionali, e di questa in particolare, senza considerare la posizione dell’Italia nel contesto europeo, e i rapporti egemonici all’interno di quella cosa che si chiama Unione Europea. E qualche altra cosetta.

Ci salutiamo stemperando il discorso. Ha capito che non avrei firmato, ma che non gli avrei fatto una predica su quanto male fosse scritta quella riforma. Non aveva senso. Mi sono limitato a dirgli “tutto lavoro per gli avvocati”, senza strologare di maggioritari, conflitti tra camera e senato e di presidenti della repubblica eletti dai due terzi dei presenti. Sicché se si è in dieci in aula ne bastano sei per fare un presidente della repubblica. 

Sono convinto che queste cose le sapesse già tutte. E comunque non gli interessassero poi tanto.

Ho messo giù il telefono chiedendomi, in fondo, che senso avesse dire di essere per il Sì o per il No. Ho guardato gli alberi, ho ripensato ai gufi e alle allodole e sono tornato ai Riti del Mattino. Quelli urgenti e importanti.

Dopo qualche giorno ho trovato online un documento firmato da oltre 200 tra dottorandi e ricercatori a tempo definito di diritto amministrativo, internazionale, comunitario a sostegno della riforma. E, fra i 200, persino qualche ordinario di diritto costituzionale, non si capisce se vecchio o se eternamente giovane. 

Dopo qualche giorno ancora, mi è stato inviato il link a un video di Youtube dove si riprendeva un convegno di studiosi pensosamente schierati per il Sì. L’ho ascoltato un po’ e poi ho chiuso. 

Dopo tre settimane un senatore a vita, ex presidente della repubblica, dall’alto della sua nuova carica di Presidente Emerito, creata ad hoc dalla stampa schierata per il Sì, ha schedato e stigmatizzato le posizioni di quei costituzionalisti che hanno osato dire che in questa riforma qualcosa non va e che sarebbe meglio votare No. E’ gente che o non è d’accordo con se stessa, o è  contraria ad ogni riforma quale che sia, oppure vuole solo male a Renzi, è stato il messaggio ex-presidenziale. 

L’importante è nascondere il fatto che è una riforma del tutto inutile. Tranne che per qualcuno.

Personalmente sono stato contento di non aver firmato nessun appello, né per il Si, né per il No. E di aver schivato diverse altre conversazioni del genere. Mi mette al riparo dall’accusa di avere posizioni preconcette quando faccio il mio mestiere. E non mi fa incorrere negli strali del Presidente Emerito. 

Penso con rimpianto ai tempi in cui gli ex presidenti avevano la cortesia— si chiamava galateo istituzionale — di avere un atteggiamento riservato nella vita pubblica, per il semplice fatto di sapere che, a carica lasciata, non avrebbero dovuto interferire con le funzioni di chi stava al posto loro. E anche perché, nei tempi oscuri e lontani della Prima Repubblica, sapevano di non rappresentare più nessuno e facevano meglio a star zitti e godersi quel che gli restava del giorno. Quando, venticinque anni fa, c’erano presidenti che, pur essendo in carica, parlavano troppo, si scrivevano instant books su psicanalisi e politica, insinuando che fossero un po’ toccati. Oggi abbiamo in giro un senatore a vita — per la verità sono almeno un paio, ma sembrano uno solo — che non si sa chi rappresenti, e che rilascia interviste che cominciano con un lamento contro i tribalismi nazionali e si chiudono con il dovere di favorire le riforme nel nome dell’interesse nazionale. Evidentemente — contro i tribalismi nazionali, e però nell’interesse nazionale — sente di rappresentare ancora qualcuno. Vorrei capire chi, ma forse preferisco non saperlo. Devono essere quelli che hanno messo in Costituzione la nuova carica di Presidente Emerito, senza che nessuno se ne accorgesse.

E’ come se Benedetto XVI rilasciasse interviste al Corriere sul cambiamento nella Chiesa, in virtù del patrimonio di esperienze maturato durante il suo Pontificato. E facesse capire che chi è contro il cambiamento merita la scomunica.

Ho avuto l’impressione di vivere in un incubo. E mi sono chiesto tra quanti anni dovrò fare un’assicurazione sanitaria e se avrò i soldi per pagarmela, visto quello che ci stanno preparando.  

Intanto aspetto i volantini per il Sì nella cassetta della posta. Saranno mesi difficili. 

E’ già arrivata, sempre di mattina, una intervista ad un Presidente Emerito della Corte costituzionale. 

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