“Renzi finirà come Bersani, che si presentò alle elezioni del 2013 pensando di avere già vinto in partenza e invece non ottenne la maggioranza. La scelta di politicizzare il referendum rischia di produrre risultati del tutto impensabili”. E’ quanto afferma Peppino Caldarola, ex direttore dell’Unità ed ex parlamentare dei Ds. Intervenendo in direzione Pd, Renzi ha chiesto una moratoria di cinque mesi sui conflitti interni al partito, per poi indire il Congresso e cercare di trovare una soluzione che vada bene a tutti. Un’apertura che stride però con le dichiarazioni del ministro per le Riforme istituzionali, Maria Elena Boschi, che ha detto che chi vota no al referendum fa come CasaPound.



Caldarola, la scelta di indire il congresso del partito è una concessione che Renzi fa alla minoranza interna al Pd?

La decisione di anticipare il congresso è un tentativo di Renzi di rabbonire le opposizioni: dà loro infatti una prospettiva molto vicina per contarsi nel partito. Renzi sa inoltre che gli conviene affrontare un congresso se al referendum dovesse vincere il Sì, mentre sarà costretto a farlo se dovesse vincere il No.



Il Pd per quanto tempo può reggere in questo clima di rissa continua?

In realtà, penso che possa reggere per sempre. L’unica cosa che al Pd non riuscirà mai più è quella di essere una formazione politica unitaria, visto che come disse a suo tempo D’Alema l’amalgama non è riuscito.

Renzi ha invitato alla mobilitazione totale fino al referendum. Ha le forze per farlo?

No. Renzi può chiedere ai parlamentari che hanno votato la riforma di sostenerla anche nel Paese, ma l’elettorato che si recherà alle urne voterà secondo diverse motivazioni. Qualcuno voterà nel merito mentre altri lo faranno sulla base di una sensazione politica. Il guaio Renzi lo ha combinato quando ha messo se stesso come posta in gioco referendaria.



Gli riuscirà di fare un passo indietro?

Ci sta provando, ma la tentazione di chiedere un voto su se stesso è sempre incombente. E’ un po’ la stessa situazione in cui si trovò Bersani nel 2013, quando affrontò una campagna elettorale che sembrava facile e già vinta e poi la pareggiò. Renzi aveva di fronte a sé un referendum facile, ma trasformandolo in oggetto di battaglia politica a questo punto può accadere di tutto.

Il ministro Boschi ha detto che chi vota no è come CasaPound. Quali effetti produrrà questa uscita?

Un’opinione pubblica di sinistra, anziché secondo argomenti di merito, a questo punto può votare secondo criteri di appartenenza. Insultando i 50 costituzionalisti che hanno obiettato alla riforma, Renzi e la Boschi spingono chi avrebbe votato volentieri sì a votare no.

La minoranza Pd continuerà a mordere il freno ancora a lungo?

La minoranza Pd è in una situazione difficile, perché si è impoverita con numerose microscissioni. Al tempo stesso sente che questa straripante maggioranza renziana si è largamente incrinata per tutte le ragioni che abbiamo detto finora, anche perché è cambiato l’umore del Paese. Sei mesi fa l’Italia sembrava più ottimista, mentre oggi lo è di meno. Anziché svoltare rispetto alla crisi economica, adesso invece arranca.

 

Che cosa vuole ottenere la minoranza interna?

L’obiettivo minimo delle minoranze Pd è avere tra le mani un partito che si comporti come tale, piuttosto che come un’organizzazione elettoralistica che serva a votare capi tribali in periferia e a sostenere il presidente del consiglio a livello centrale. Le minoranze immaginano di poter dare una svolta al congresso, rivitalizzando e rifondando il Pd. Il problema è che tutte le gestioni del partito da quando è nato fino a oggi hanno picconato questo corpo nato malato.

 

L’atteggiamento divisivo di Renzi sta cambiando il Dna al Pd?

Renzi si è presentato fin dall’inizio come un rottamatore. Il problema è che la sua rottamazione è stata rivolta non alle generazioni più anziane ma verso alcune culture della sinistra, che lui disprezza manifestamente. In questo modo ha negato alla radice l’atto di nascita del Pd, che nella mente di Romano Prodi e degli altri doveva fare convivere diversi riformismi. Quindi il riformismo di matrice post-comunista, cattolica e socialista.

 

Qual è l’atteggiamento di Renzi verso queste tre culture?

Renzi vorrebbe fondamentalmente espellere queste culture, oltre a chi le impersona. Questo carattere divisivo non fa altro che allontanare persone che viceversa all’inizio, pur non avendo simpatia per Renzi, avevano pensato che una ventata di gioventù potesse far bene al Pd.

 

In fondo è la scommessa di Renzi che è sbagliata o chiunque arriva a Palazzo Chigi affonda nella palude?

Ad affondare nella palude non è chiunque arrivi a Palazzo Chigi ma soltanto due soggetti. Il primo è il soggetto troppo pavido, che non capisce che questo Paese si riforma soprattutto con un’iniziativa dall’alto. Il premier troppo timido quindi non fa bene né a se stesso né al Paese.

 

E il secondo soggetto che affonda?

Il secondo soggetto è chi arriva a palazzo Chigi pensando di essere entrato nella stanza dei bottoni. Pigiando i bottoni si accendono luci psichedeliche che possono dare alla testa. L’impressione è che Renzi si sia preso troppo sul serio come leader plebiscitario, anziché avere un profilo da statista.

 

(Pietro Vernizzi)