Sei mesi decisivi, in nome di una “moratoria” di scontri e polemiche nel suo partito. E un anno di tempo per verificare se riesce a operare uno svolta rischiosa, ma che potrebbe segnare un autentico e completo rimescolamento della politica italiana, sia a livello istituzionale che a livello di rappresentanza parlamentare. Matteo Renzi ci ha pensato e ha deciso il “grande azzardo” in un momento delicatissimo della stagnazione economica che riguarda, con diverse gradualità, l’intero pianeta e una serie di turbolenze politiche che possono mutare la geografia politica del mondo.



La prima sorpresa arriva da Bruxelles, mentre Renzi spiega ai “suoi” del Nazareno che bisogna concentrasi sul referendum costituzionale, che bisogna “deporre le armi” per sei mesi e realizzare una riforma storica, negando che si tratti di una personalizzazione del “Renzi contro tutti”.



La sorpresa consiste nella flessibilità concessa all’Italia di 14 miliardi di euro nel rapporto deficit-Pil per quest’anno, promettendo che nel 2017 rientrerà nei parametri già concordati. In soldoni da un 2,3 attuale a un 1,8. Roba da brividi vista la crescita e le previsioni generali.

Tuttavia Angela Merkel ha dato il via libera e nell’ultimo incontro il socialista francese Pierre Moscovici, commissario europeo per gli affari economici e monetari, ha concesso ufficialmente la cosiddetta flessibilità e ha sottolineato che nessun Paese ha avuto tanto come l’Italia. Non c’è alcuno che nasconda la ragione di questa concessione: scelta di carattere eminentemente politico, perché, nel bene o nel male, Roma resta con Berlino, l’unica capitale di uno Stato europeo che ha un governo ancora stabile, mentre tutto il resto sembra confuso, aleatorio, sotto pressione politica di gruppi che vengono schematicamente chiamati o “antisistema” o anti-europeisti o populisti o via dicendo. E anche perché c’è una questione economica, perché su 19 Stati dell’Unione, ben 13 sono tecnicamente in deflazione.



L’elenco delle criticità nell’Unione Europea è così lungo che è inutile persino ripeterlo: dal Portogallo con un’economia fuori controllo, a una Grecia stremata, a una Spagna che deve ritornare alle urne, alla Francia dove si sciopera selvaggiamente contro le scelte di riforma del lavoro fatte da un presidente socialista, forse l’ultimo per molti anni a venire. Passando per il resto dei Paesi traballanti e fermarsi in attesa di una possibile Brexit, l’uscita della Gran Bretagna per referendum con il voto del 23 giugno.

A Bruxelles, Strasburgo e anche a Berlino, in fondo, si vedono i fantasmi di un putiferio possibile e difficile da gestire. E’ in questo quadro che Renzi può fare il “grande azzardo”. Sfruttando le debolezze europee può giocare una partita di poker all’insegna del “piatto ricco mi ci ficco”, perché non tagliando troppo nel patto di stabilità, rinviando il saldo dei conti, magari elargendo qualche “bonus”, spera di essere uno dei leader capaci di sconfiggere le forze antisistema all’appuntamento elettorale decisivo, quello del referendum di autunno. Alla riduzione del debito ci penserà tra un anno, se vince il referendum, oppure a quel debito sempre più mostruoso ci penserà qualcun altro.

A questo punto, il nostro premier guarda con una certa sufficienza i risultati delle amministrative, si concentra sul referendum cercando di isolare i “no” di vario tipo, quasi demonizzando “costituzionalisti archeologi”, pentastellati, leghisti, minoranze varie, mescolandoli anche con i neofascisti di Casa Pound, come ha ricordato in una riunione della direzione la sempre sorridente Maria Elena Boschi, il braccio destro del premier.

Ma per realizzare il suo programma, Renzi si muove, eccome. Sul terreno del potere e dell’apparto del consenso.

Vediamo un po’ che cosa accade nelle stanze del potere italiano, almeno di quello che rimane con i suoi addentellati esteri. Denis Verdini, ad esempio, serve con i suoi voti in Senato? Certo. Ma forse serve anche a convincere la famiglia Angelucci (esperta in cliniche e farmaceutici) a far ammorbidire il quotidiano Libero di sua proprietà, pensionando il direttore Maurizio Belpietro, che non ha mai risparmiato nulla a Renzi, e sostituendolo con il vecchio fondatore, che può ammorbidirsi anche nella sua conclamata imprevedibilità, Vittorio Feltri.

Alla Rai, non ci devono essere troppe sfumature e quindi personaggi come Massimo Gianni e Nicola Porro è meglio che lascino il passo con le loro trasmissioni un po’ troppo “scanzonate”, che possono essere sostituite da “cose più incisive”. Siamo ai piccoli dettagli, perché poi ci sono realtà più solide e consistenti.

Ad esempio l’ops di Urbano Cairo su Rcs-Corriere della Sera, sebbene sponsorizzata da “Nane” Bazoli (che ha scoperto di votare “sì” al referendum), non va tanto bene a Matteo Renzi. Meglio l’opa dei “cinque” con Mediobanca in pole position, in modo da realizzare una sorta di “patto del Nazareno” nella finanza italiana. Come si può convincere piazzetta Cuccia ad affiancare amici come Nagel, Tronchetti Provera, Della Valle, Bonomi e Unipol Sai? E’ abbastanza semplice. Facendo balenare, per esempio a Vivendi di Vincent Bolloré, grande socio di Mediobanca, qualche problema in Telecom, appena scalata, appunto, da Vivendi.

Tutto questo spiega in fondo anche le “acrobazie” di Silvio Berlusconi. A Milano si può stare dietro a Stefano Parisi, insieme nel centro destra, ma a Roma è meglio “pasticciare” con Alfio Marchini, Guido Bertolaso, magari per fargli fare la carta di riserva a Roberto Giachetti in difficoltà. E in tutti i casi non creare troppe difficoltà al premier.

Renzi si muove con disarmante tranquillità e decisione, nonostante le oggettive difficoltà che attraversa. Ad esempio con la minoranza interna al suo partito può anche alzare un po’ la voce. Ma Unipol nella cordata per Rcs-Corriere della Sera, con Giuliano Poletti ex Legacoop, ministro del Lavoro, può avere un Pierluigi Bersani schierato fieramente contro? 

Se si fa una somma delle incertezze e delle difficoltà europee con le paure e l’inconsistenza del vecchio potere italiano, Renzi può affrontare il “grande azzardo” anche se deve affrontare le sue difficoltà.

Il premier non farà nessun passo verso una “coalizione aperta” con il centrodestra. Gli è sufficiente tenere a bada Berlusconi e tutto il resto, mantenendo una grande “zona grigia”, una sorta di cuscinetto che ammortizza tutti contraccolpi possibili.

In che cosa consiste allora questo “grande azzardo”? Il problema è che Renzi resti impantanato nei problemi economici italiani, che li aggravi rinviando le soluzioni, che prenda tempo sperando di uscire indenne dagli appuntamenti elettorali.

Nello stesso tempo, il nostro premier sembra indifferente, disattento di fronte ai players internazionali (l’inglese Boris Johnson, lo stesso Donald Trump) che magari al momento cavalcano “temi di anti-politica” per poi stemperarli una volta ottenuto un successo. In tutti i casi, sarà difficile non tenere conto di questi venti che arrivano d’Oltremanica e da Oltreatlantico. Sarebbe interessante dare un’occhiata a un commento di Martin Wolf sul Financial Times.

Che cosa resterebbe dell’Italia di Renzi, dei suoi giochi in Europa di fronte a un terremoto geopolitico di simili dimensioni?