Che la lettera dei sei Paesi definita da Alfano “un’alleanza contro l’Italia” rappresenti un grave punto di debolezza per il governo è indubbio. A meno di un anno dalla celebrazione dei trattati di Roma del 1957 che istituirono la Comunità Europea, gli altri Stati fondatori (Francia, Germania e Belgio) ci isolano e costruiscono una sorta di “muro di Berlino” alle nostre spalle.
Ma il premier è uscito vincitore dalla prova di forza sul voto del 17 aprile. Nella campagna referendaria era infatti sceso in campo un circo mediatico-giudiziario che puntava a un voto di sfiducia del governo.
I magistrati meritoriamente dal Lazio alla Campania, dalla Lombardia alla Basilicata danno la caccia ai fuorilegge, ma gli inquisiti — a differenza del ’92-’93 — sono figure politiche minori. E’ l’uso mediatico delle indagini che cerca di creare un clima di assedio intorno ai vertici nazionali e in particolare del governo. E’ così che il referendum no triv, il cui fallimento nei mesi scorsi sembrava scontato era invece diventato nelle ultime settimane di esito incerto.
Si è cominciato con il Congresso di Bari che ha visto l’Associazione nazionale magistrati schierarsi contro il governo. Le successive esternazioni del presidente Davigo contro i politici confermavano il messaggio del raduno barese. Da lì è decollato l’attacco del governatore della Puglia al premier, con Emiliano che assumeva la guida della mobilitazione per il raggiungimento del quorum. Quindi l’opposizione interna al Pd — da D’Alema a Prodi e Bersani — annunciava il voto. A questo punto il fronte del premier ha dato segni di fragilità con i candidati sindaco più renziani, Giacchetti e Sala, che si aggiungevano ai votanti.
La spinta a votare ha visto persino in campo il presidente della Corte costituzionale che con un’ingerenza senza precedenti bollava come non “buoni cittadini” il presidente del Consiglio Matteo Renzi e il presidente emerito della Repubblica Giorgio Napolitano che avevano annunciato il non voto. La campagna per il voto è stata quindi un crescendo con il Corriere della Sera che pubblicava un sondaggio secondo cui il 70 per cento degli italiani sarebbe andato alle urne (45% “sicuramente”, 25% “probabilmente”). Il raggiungimento del quorum come vittoria grillina era poi evidente da come molti media hanno tentato di trasformare il funerale di Roberto Casaleggio in una riedizione di quello di Enrico Berlinguer alla vigilia del voto che nell’84 vide il Pci primo partito.
Il quorum come bandiera della sinistra anti-Renzi ha fatto sì che Silvio Berlusconi ne prendesse le distanze e il candidato sindaco di Milano, Stefano Parisi, si schierasse per il non voto.
Il risultato (esattamente all’opposto del sondaggio del Corriere) ha voluto dire che il chiassoso circo mediatico-giudiziario ha in realtà suscitato più spavento che consenso. Alla base del giustizialismo ’92-’93 vi era un diffuso desiderio di voltare pagina e la generale condanna di come si finanziavano i partiti. Oggi la campagna a favore del movimento inventato dalla “Casaleggio Associati” deve fare i conti con un elettorato desideroso di sicurezza e non di sperimentare l’ignoto.
E’ inoltre significativo come Matteo Salvini si sia ritagliato un ruolo in questa mobilitazione: in modo speculare all’antirenzismo grillino ha puntato a scalzare Berlusconi. Il leader della Lega è stato molto attivo nel ricercare un’intesa-catenaccio con i grillini con ripetute proposte ai 5 Stelle di accordi anche elettorali. In effetti toni e contenuti di Salvini si possono scambiare con Di Maio e i due elettorati sembrano potersi sovrapporre.
Da parte sua Silvio Berlusconi ha reagito al tentativo di Salvini di assumere la guida del centro-destra puntando a recuperare una posizione di centro e di netta distanza dagli estremismi. Prima il rilancio del rapporto con il Partito popolare europeo incontrando il presidente Manfred Weber e poi la scelta di appoggiare Marchini a Roma si legano alla via intrapresa con Parisi a Milano nel tentativo di far confluire movimento cattolico e area liberalsocialista.
Le prossime elezioni comunali serviranno quindi a capire se il duo Di Maio-Salvini è in grado o meno di rottamare il duo Renzi-Berlusconi.