L’Istat e altri istituti di ricerca continuano a fornire, mese dopo mese, un’immagine sempre sfuocata dell’Italia. I dati vengono presi, analizzati, disaggregati, in parte sembrano confortanti e in parte delineano la solita, identica situazione di incertezza, che ci accompagna ormai dalla grande crisi del 2007-2008, aggravatasi poi in modo più drammatico nel 2011. L’immagine sfuocata del Paese è solo la metafora della grande incertezza che ormai accompagna gli italiani nella routine quotidiana di una vita che è diventata difficile, non più semplice, anche se magari modesta, e soprattutto non più ritmata da alcune scadenze sicure, come la pensione ad esempio, o la prospettiva di un inevitabile miglioramento sociale, o la promozione sociale in base a buoni studi fatti fare ai figli.



La riprova di questa grande incertezza sta, in fondo, nella difficoltà dello stesso rilevamento dei sondaggi per le prossime elezioni amministrative che riguardano grandi città come Roma, Milano, Napoli, Torino, Bologna. Se si pensa che, nonostante alcune previsioni di successi quasi scontati o di partite aperte, nei rilevamenti il primo “partito” che trova conferma nell’analisi dei sondaggisti è sempre il partito dell’astensione, di chi non si pronuncia, di chi con tutta probabilità ha già deciso di non andare a votare o di chi è quasi prigioniero della grande incertezza dilagante.



Si dice che ormai si vive in un’epoca che si può definire quasi “post-politica”, ma in realtà si percepisce che gli italiani sembrano quasi irretiti dalla lunghezza di questa lunga crisi e forse non comprendono fino in fondo perché non si possa risolvere politicamente la crisi. Forse è per questa ragione che insistono a prendersela con la “casta”. In definitiva cercano ancora, ma raramente trovano una risposta alle domande sul futuro loro e dei loro figli.

Dire quindi che queste amministrative non avrebbero un peso politico, che non dimostrerebbero il tasso di fiducia degli italiani nelle loro istituzioni e nel governo, è una “maxiballa” che serve solo a chi vuole guadagnare tempo, a chi vuole galleggiare sino al grande appuntamento di autunno in Italia per il referendum costituzionale.



E nello stesso tempo, in questa attesa, spera messianicamente che si chiarisca un quadro europeo, e più propriamente internazionale, che non è mai stato così confuso.

A ben vedere, di fronte alle speranze e alle promesse perdute di questi anni, il ragionamento dell’elettore italiano, disorientato o ormai disincantato, è molto più razionale di quanto possa apparire. Stando alle ultime dichiarazioni che arrivano da Bruxelles e dagli organismi dell’Unione Europea, l’Italia dovrebbe permettersi una flessibilità (cioè una parentesi nella assurda politica di austerità) che viene valutata nel rapporto Pil-deficit intorno allo 0,6 per cento, circa 14 miliardi di euro di disponibilità per un anno, perché poi nel 2017 tutto deve rientrare nella normalità dei parametri fissati dai “geniali” gestori di quest’Unione Europea. Pensare che si possa battere definitivamente la crisi, la deflazione e rilanciare l’economia con una scadenza così ravvicinata è solo una “pia illusione” che nessun italiano può nemmeno immaginare. 

Nella città italiana che appare più in salute, Milano, la disoccupazione giovanile è pur sempre valutata intorno al 20 per cento. Milano ha molti numeri in attivo e prospettive migliori, ma il peso delle periferie, quello della sua proverbiale e storica accoglienza, quello appunto della disoccupazione giovanile è un problema aperto che non sembra facile affrontare con una gestione solamente manageriale. Se da Milano passiamo a esaminare la situazione di Roma o di Napoli, abbiamo di fronte problemi che appaiono insormontabili. In questo caso il dibattito sulle amministrative appare quasi banale rispetto alla gravità dei problemi locali e complessivi.

In definitiva, nonostante alcune situazioni in via di miglioramento, è l’Italia che appare sempre complessivamente ammaccata. Priva di autentiche prospettive per il suo tessuto industriale, imbrigliata da antichi mali, ma soprattutto da scelte sbagliate negli ultimi 25 anni, quando un’intera classe politica è stata liquidata e di fatto non sostituita con un’altra all’altezza della situazione.

Se infine si esamina la la realtà che gli italiani vivono nelle loro città, la realtà complessiva del Paese, la “gabbia” dei parametri di questa Unione Europea, la prospettiva di una crescita dell’1 per cento in media all’anno, si può affermare che la risalita economica e sociale è destinata (e tutto questo ormai è ben presente nella coscienza degli italiani) a ritornare tra un decennio, quando si dovrebbero riprendere i punti di Pil persi nella crisi finanziaria infinita di questi anni.

Se poi si aggiunge, a questa previsione, la possibilità che il 23 giugno prossimo arrivi la Brexit e il secondo martedì di novembre arrivi da Washington una “sorpresa”, anche queste previsioni già nere diventano quasi infernali. Non si pensi che populismo, “assenteismo” e sfiducia siano solo figli della “pancia dell’elettorato”. C’è ormai un malessere diffuso e soprattutto una sfiducia sempre più ramificata, che tocca vari settori della società italiana e che non si fida troppo neppure di organismi sovranazionali.

E’ evidente che, dopo l’exploit renziano delle elezioni europee 2014, queste amministrative di giugno diventano, a questo punto, un test significativo. In altri termini sono proprio queste consultazioni che possono misurare la “fiducia” degli italiani.

Ma il timore di questo test non è solo fornito dall’immagine sfocata di questa Italia, bensì dalla stessa politica di Matteo Renzi. Che cosa fa infatti il nostro premier, nel momento che si apre il miglio finale, gli ultimi giorni di campagna elettorale per le amministrative? Va in varie città, ieri anche a Bergamo, e apre la campagna elettorale sul referendum costituzionale, evitando il problema immediato, guadagnando tempo e impostando una campagna sia personalizzata, sia al limite del plebiscito-ultimatum: o si approva questa riforma oppure ci sarà il caos.

Giorni fa abbiamo definito questa strategia un “grande azzardo”. Un gioco spregiudicato che può provocare una ferita la Paese.

Il rischio che l’Italia si divida, questa volta, addirittura sulla norma fondamentale che dovrebbe assicurare al paese una governabilità democratica. Non è una prospettiva tranquillizzante di fronte all’incertezza economica che permane. Anzi aggiunge solo all’incertezza altra incertezza.