In fondo, le “sparatorie” di Maria Elena Boschi servono solo a tenere vivo l’interesse nella confusione della politica italiana. Il ministro per le Riforme costituzionali, nel giro di pochi giorni, è riuscita per due volte di fila a comportarsi come un elefante in un negozio di maioliche. Prima ha allineato tutti i supporters del “no” al referendum sulla riforma costituzionale con i neofascisti di Casa Pound, poi ha letteralmente cercato di infrangere le “vetrine resistenziali” dell’Anpi, parlando di partigiani “veri” che voteranno “sì”. In più ha aggiunto che, come Renzi, lascerebbe in caso di sconfitta. Quasi un’ovvietà.



Scontate le precisazioni del giorno successivo, con Matteo Renzi che ha cercato di tamponare, di rappezzare una gaffe, sostenendo che quella di Maria Elena Boschi non era una gaffe. Con la signorina Boschi che precisa e minimizza, quasi con l’aria di una “Vispa Teresa” per com’è stata mal interpretata.



La giovane ministra, in verità, non ha certo i tempi e la misura per una politica di sottigliezze e magari di ponderate allusioni, ma più che mai offre l’immagine di una classe politica modesta, che pensa solo a strategie d’assalto piuttosto semplicistiche e nello stesso tempo resta in attesa di un quadro europeo e internazionale che appare sempre più complicato, pieno di imprevisti e difficile da interpretare.

C’è da aggiungere che il governo italiano è quello che appare più collegato, quasi in forzata “sintonia”, con Bruxelles. Un’ondata antieuropeista costringerebbe l’Italia e le sue forze politiche a rifare calcoli e promesse. Ma è proprio questa ondata che sta dilagando e che ieri ha lasciato molti con il fiato sospeso.



Il nuovo presidente dell’Austria, figura strettamente rappresentativa, è il verde Alexander Van der Bellen che ha battuto, coalizzando di fatto tutti i vecchi e tradizionali partiti, l’esponente dell’estrema destra Norbert Hofer per una manciata di voti: 30mila per l’esattezza. Il signor Hofer appartiene a un partito, l’Fpo, che nel 1955 cercava di nascondere e proteggere i vecchi nazisti ricercati. Con questa elezione, finita sul filo del rasoio, l’Austria è letteralmente spaccata in due.

Chissà se questo risultato, fortemente simbolico, sveglierà le tecnoburocrazie europee e renderà coscienti, anche in Italia, che tutti gli assetti sociali e politici, dopo questi anni di crisi e questa politica europea, stanno modificando completamente i comportamenti dell’opinione pubblica. Non in senso positivo.

Il primo a commentare il risultato austriaco è stato il primo ministro francese, Manuel Valls, che è alle prese con la contestazione popolare alla riforma del lavoro, e soprattutto con il Front National di Marine Le Pen, che è accreditato di un 30 per cento di voti. C’è sempre un ballottaggio a salvare la Francia, ma c’è uno scontento così profondo che costringe i partiti di governo a tenere presente le istanze di questa destra.

Ma facciamo una breve panoramica. Passiamo dalla Francia all’Olanda, dove, anche se nessuno ne parla, c’è il Pvv, il Partito per la libertà di Geert Wilders, che è valutato oggi addirittura intorno al 37 per cento. 

Anche la granitica Germania non si salva da questa “ondata anomala” e ha la sua Alternative für Deutschland, che lentamente è cresciuta fino a un significativo 11 per cento. In rapida sequenza arrivano le dolenti note dalla Spagna, dove la mappa dei partiti è mutata completamente, lasciando spazio agli alternativi di varie forme e costringendo il paese a un nuovo voto per formare un governo. E sullo sfondo ancora la Grecia, stremata dall’austerità, e tenuta insieme a stento da un governo che comincia a far nutrire nuovi dubbi in fatto di compattezza.

Infine, tra un mese esatto, il verdetto della Gran Bretagna, con la possibilità della Brexit, dopo un referendum che incombe e quindi un possibile quadro geopolitico tutto da ridisegnare con conseguenti incognite economiche tutte da valutare.

Aggiungiamo a tutto questo le novità che arrivano dagli Stati Uniti, dove il repubblicano Donald Trump, valutato all’inizio della campagna elettorale americana sul 2 per cento dei consensi dai finissimi analisti di tutto il mondo, ora è in testa nei sondaggi per la Casa Bianca, davanti a Hillary Clinton. Tutto questo dopo aver di fatto ottenuto la nomination nel Partito Repubblicano e anche ricomponendo, all’interno di quel partito, dissensi e contrasti durissimi. Che cosa penserà questo Donald Trump di un’Europa che lo ha giudicato con tanta sufficienza e ha dato l’impressione di non averlo mai preso in considerazione?

Ora in questo complesso mosaico internazionale, le beghe italiane sembrano effettivamente perdere peso. Ma in tutti i casi hanno una loro spiegazione. Sembrano schermaglie, o forse una vecchia riedizione delle mai tramontate “baruffe chiozzotte” in attesa di comprendere esattamente quello che sta accadendo nel mondo che conta e di conseguenza misurare passi e cadenze.

Matteo Renzi, con la sua “compagnia di governo”, può snobbare le amministrative e puntare tutto sul referendum costituzionale per presentare un’altra Italia, più efficiente, più decisionista ai suoi amici esteri. Può spargere le sue promesse, giocare i suoi azzardi, sfoderare i suoi bluff con l’elettorato italiano.

Silvio Berlusconi può aspettare a scegliere definitivamente. Può lanciare qualche proclama di “nuovo centro destra unito” e nello stesso tempo può mantenere le sue truppe sparse, per non infastidire troppo questo governo e concludere i suoi diversi affari. C’è intanto una “zona grigia” che lavora per un possibile nuovo patto del Nazareno.

In definitiva, apparentemente tutti si danno un gran daffare, ma in realtà aspettano di vedere quello che sta accadendo dove si decidono i nuovi equilibri del mondo. Anche questa attesa, con beghe e litigi di vario tipo, è un sintomo di un declino italiano.