“Quando Renzi ci viene a dire che se cade lui avremo un salto nel buio, mi ricorda chi diceva la stessa cosa ai tempi del referendum del 1946. Invece ha vinto la Repubblica, Re Umberto è andato in esilio e ben pochi dei dieci milioni di monarchici dell’epoca scesero in piazza a manifestare”. Lo afferma Rino Formica, ex ministro del Lavoro e per due volte ministro delle Finanze. Finora la forza di Matteo Renzi è stata quella di fare credere che, di fronte a opposizioni come quelle di Grillo e Salvini, non esiste un’alternativa credibile nel Paese. In questo senso ha deciso di giocare la partita in vista del referendum di ottobre come un plebiscito sulla sua persona. Intanto è sceso in campo anche l’ex segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, secondo cui “Renzi dovrebbe dire ‘votate sì, e vi dico anche che rispondendo ad alcune obiezioni sono disposto a riflettere sull’Italicum’”. In particolare la richiesta di Bersani è “il doppio turno di collegio. Non si può cambiare un ballottaggio con il doppio turno”.



Perché Bersani e altri esponenti della minoranza Pd criticano l’Italicum dopo averlo votato?

Adesso è inutile occuparsi di ciò che hanno fatto o non fatto, perché il voto dei gruppi parlamentari della maggioranza è stato continuamente estorto da Renzi. Io non farei una richiesta di coerenza nel voto interno del Pd fino a oggi. E’ molto più interessante il fatto che nel combinato disposto delle elezioni amministrative e del referendum costituzionale, la dissidenza del Pd ha preso forza e vigore.

Secondo lei perché?

In parte ciò avviene perché si va spegnendo la deterrenza della minaccia di scioglimento delle camere o della catastrofe che si potrebbe avere qualora ci fosse una crisi di governo. Negli ambienti politici c’è la convinzione che se il governo cade non si va alle elezioni anticipate, bensì a un altro governo. Ciò ha reso Renzi più protervo, minaccioso e isterico, e ha fatto sì che l’opposizione fosse più libera nella critica. Si è capito che quello di Renzi è un modo di fare minaccioso ma inconsistente nel tenere una linea di governo di alto prestigio.

La pistola di Renzi è davvero scarica?

Renzi ha dalla sua soltanto un blocco della paura. Non vedo queste masse osannanti all’autorevolezza del premier, e questo non soltanto nel Paese ma neanche nello stesso Pd. I gruppi parlamentari in questo momento appaiono formalmente come una squadra fedele nel difendere Renzi, tanto da sembrare i moschettieri del Duce. Eppure sono gli stessi deputati e senatori che tre anni fa erano stati scelti in maggioranza da Bersani. Non mi meraviglierei che tra qualche mese, se per Renzi c’è la scossa politica, si trasformino tutti quanti nei suoi crocifissori. All’interno dei partiti è in atto un afflosciamento. Non ci sono le quadrate legioni delle opposizioni, ma neanche quelle del governo.

Da dove nasce la debolezza di questo governo?

Nella situazione economica in cui si trova il Paese; Renzi è stato capace solo di molti annunci e di qualche elemosina. Se i media fossero più liberi, si capirebbe come alcune iniziative annunciate muoiano, poi riappaiano e scompaiano di nuovo. L’opposizione politica all’interno del Pd nasce anche dal fatto che c’è una ripresa del revisionismo politico della sinistra in tutto il mondo occidentale.

Renzi sta dando segni di cedimento?

I giornali non hanno valutato sufficientemente l’importanza dell’incontro Renzi-sindacati sulle pensioni. Il premier aveva detto che lui dei sindacati non aveva più bisogno. Improvvisamente però ha sentito il bisogno di riaprire i riti della Sala Verde di Palazzo Chigi. Siamo all’avvio di una modifica radicale dell’atteggiamento spocchioso e sprezzante di Renzi nei confronti dei sindacati.

 

Di fatto che cosa cambierà?

Nel merito rispetto alle pensioni cambierà poco, perché il governo non è nelle condizioni di fare molto, ma il solo fatto che senta il bisogno di convocare i sindacati parla chiaro. Renzi ha detto: “Se non si approva la Costituzione, torneremo all’Italia degli inciuci”. Eppure prima del referendum ha già anticipato quello che lui ha sempre considerato come un inciucio, cioè la stessa concertazione.

 

Intanto tra dieci giorni si vota nelle grandi città.

Voglio vedere ora che cosa accadrà alle amministrative, non tanto per il risultato, ma per il grado di disaffezione democratica che esprimerà il Paese. E’ una situazione in forte movimento. La reazione prolungata di piazza sul Jobs Act in Francia avrà ripercussioni in tutta l’Europa.

 

Finché però l’alternativa a Renzi sono Grillo e Salvini, che cosa deve temere il premier?

Questo è un ricatto psicologico che non regge più. In un sistema con istituzioni ancora regolate da leggi democratiche, non esiste una situazione senza alternativa. Renzi del resto lo ha capito molto bene, perché non dice più che se al referendum vincono i no andiamo alle elezioni, bensì che ci sarà un altro governo. Questo significa che l’alternativa c’è, come del resto avviene in tutte le situazioni politiche, anche le più oscure.

 

L’Italia rischia un salto nel buio?

Più volte si è paventato il salto nel buio. Lo si diceva quando c’era Mussolini, eppure il giorno dopo la sua caduta c’era già Badoglio. Nel 1946 in molti dicevano che la Repubblica era un salto nel buio, eppure appena se ne è andato Re Umberto è arrivato Enrico De Nicola. In Italia all’epoca c’erano 10 milioni di monarchici, eppure ben pochi di loro sono scesi in piazza. Se cade Renzi non ci sarà un solo renziano a manifestare, perché i renziani non ci saranno più non solo in Toscana ma neanche a Rignano sull’Arno, il suo Paese d’origine.

 

(Pietro Vernizzi)