Va avanti la campagna elettorale del governo in vista del referendum costituzionale d’ottobre 2016. Il ministro per le riforme Maria Elena Boschi ha partecipato oggi a Parma a un incontro organizzato all’Unione degli Industriali. Il ministro a proposito della consultazione ha dichiarato, come riporta La Repubblica: “Siamo di fronte all’ultima chiamata per il Paese, se dovessimo perdere questa occasione non so quando se ne ripresenterà un’altra”. E ha aggiunto che il referendum costituzionale d’ottobre 2016 è “una scelta di grande responsabilità che riguarda anche chi verrà dopo di noi, non più rinviabile, perché dopo trent’anni di discussioni su questi temi credo che se dovessimo perdere questa occasione che ci sarà a portata di mano tra pochi mesi, difficilmente se ne potrà creare un’altra breve”. Poi l’appello rivolto agli industriali: “Vi chiedo di impegnarvi in prima persona per far capire l’importanza di questo snodo cruciale per la nostra democrazia. Perché è in gioco anche una solida ripresa economica”.



L’ex presidente del Senato si esprime sul referendum costituzionale di ottobre che il governo Renzi ha proposto dopo il passaggio in Parlamento della legge Boschi: Marcello Pera interviene con un’editoriale su Italia Oggi e parla del “suo” senato come di tutti gli altri punti della riforma costituzionale così al centro di numerose polemiche su tutti l’arco istituzionale politico. «Se la riforma fosse bocciata, Avremo una crisi politica permanente: non si potrà votare perché manca la legge elettorale, oppure si dovrà votare con una legge proporzionale imposta dalla Corte costituzionale,ripudiata da tutti e per di più incapace di garantire una maggioranza stabile di governo. Che cosa accadrebbe in tal caso?», scrive Pera sul suo editoriale. Secondo l’ex presidente del Senato del Governo Berlusconi, una paralisi politica senza sbocchi avverrebbe nel caso di vittoria del No, «Avremo una crisi di governo irrisolvibile: senza Renzi, nell’attuale parlamento non ci sono alternative». Se non il concetto del “male minore”, una cosa molto simile è il giudizio finale che traiamo di Pera sul referendum costituzionale di ottobre.



È ancora guerra nel Pd sul referendum costituzionale di ottobre 2016: il caso politico si allarga con la minoranza dem che in questi ultimi giorni è particolarmente scatenata e orientata a fare qualche sgambetto al proprio segretario, il quale dal Giappone risponde tonante: «la legge elettorale non si discute, dà la certezza a chi arriva primo di governare. È una legge molto semplice, che dice che chi vince le elezioni può governare, elimina il rischio degli inciuci permanenti. Si capisce che non piace a chi preferisce gli accordi personali al voto legittimamente espresso dai cittadini», dice il premier in conferenza stampa al termine del G7 in Giappone. Secondo Renzi, che tenta l’ennesima spallata alle manifestazioni polemiche della minoranza del Partito Democratico, non può e non deve esserci alcun collegamento tra legge elettorale e referendum costituzionale: «sulla modalità dell’indicazione dei senatori abbiamo chiuso un accordo. Se la riforma sarà approvata volentieri lasceremo al Parlamento subito dopo il referendum, le modalità d’indicazione dei senatori».



Le amministrative si avvicinano ma è il referendum costituzionale di ottobre 2016 che paradossalmente sta tenendo bloccata la politica con la quasi totalità di temi discussi dentro e fuori la maggioranza: la legge Boschi che andrà sotto voto referendario confermativo in autunno sta di fatto creando una spaccatura a livello politico che si esprime nell’ormai facile personalizzazione della campagna, pro o contro Matteo Renzi. Seppur pieno di smentite sotto questo punto, è lo stesso premier che ribadendo la sfida decisiva del proprio esecutivo su questo referendum costituzionale ha di fatto avvallato la tendenza a considerare il voto di ottobre come un Renzi dentro-fuori. La minoranza dem in queste ore è scatenata nel tentativo di provare a dare uno scossone alla segreteria del partito con mosse e sotterfugi anche su altri punti politici: l’aver rimesso in discussione l’Italicum oggi è un chiaro esempio, e non solo opera di Bersani ma anche di altri all’interno della compagine dem.

Dopo le parole dell’ex segretario Pd su Facebook, prima Guerini gli ha replicato che la legge elettorale non è all’ordine del giorno del Governo e poi diretta è andata anche Debora Serracchiani, vicesegretario dem. «Noi abbiamo detto che la legge elettorale è già stata fatta e approvata. Adesso stiamo parlando di un referendum sulla riforma costituzionale, chiederemo agli italiani se sono d’accordo, e io mi auguro davvero di sì, per avere un’Italia più semplice, più efficiente e anche più competitiva rispetto alle sfide che stiamo affrontando», sono le parole ai cronisti a margine della Conferenza delle Regioni. Molti analisti sono convinti che la virata sull’Italicum è in realtà un tentativo neanche troppo nascosto di tirare la giacchetta al giovane premier “avvisandolo” che se non vengono fatte particolari misure richieste dalla minoranza dem nei prossimi mesi potrebbe non essere sicuro l’appoggio al voto di ottobre. Da registrare il commento amaro del ministro della Cultura, Dario Franceschini: «Mi fa tanta tristezza vedere tante persone in tutti i partiti, anche nel mio, che dopo aver chiesto per anni questa riforma oggi per ragioni solo personali e di lotta politica sono diventati improvvisamente contrari».