Quasi tutti i sondaggisti hanno diffuso dati molto simili per le comunali del 5 giugno. A Milano Giuseppe Sala e Stefano Parisi da più di un mese sono dati in parità. A Roma è in testa Virginia Raggi, ma poi gli altri tre principali candidati seguono tutti a circa il 20%: Giorgia Meloni, Roberto Giachetti e Alfio Marchini. Sarà vero? “Le cifre dei sondaggisti non sono mai la somma delle telefonate fatte, bensì un mix di statistica e intuizione. Ecco perché ogni società ha paura a dare numeri molto diversi da quelli della concorrenza”. E’ il commento di Gianfranco Rotondi, deputato di Forza Italia ed ex ministro per l’Attuazione del programma.



Onorevole Rotondi, è possibile che i numeri dei sondaggisti siano piegati a fini politici?

Nei sondaggi l’unica cifra che conta è quella della fattura.

Quindi i sondaggi sono fatti nell’interesse del committente?

Tutto sommato sì.

Perché allora sulle prossime comunali tutti i sondaggisti ci dicono la stessa cosa?



Perché nessuno vuole sbagliare e sono tutti concordi nella valutazione prudenziale che non espone la società di sondaggio a una brutta figura.

Significa che i numeri sono manipolati?

No, non vuol dire che i numeri sono manipolati. Vuol dire che le società di sondaggio hanno una grandissima esperienza di quelle che sono le tendenze dell’elettorato. Quindi accanto ai sondaggi, alle telefonate e alle rilevazioni c’è un occhio ai risultati precedenti, ai risultati storici, al modo in cui l’elettorato di quella città si atteggia. La cifra quindi non è mai la somma delle telefonate fatte, ma un mix di statistica e intuizione. Ecco perché ogni società ha paura a dare numeri molto diversi da quelli della concorrenza. Come nell’economia c’è la finanza creativa, così esiste anche la statistica creativa, che è quella delle società di sondaggi.



Lei ha un’esperienza personale di un uso distorto dei sondaggi?

Distorto no, ma posso dire che nelle politiche del 2006, quando ci presentammo con la Democrazia Cristiana di nuovo dopo tanti anni, i sondaggi ci davano il 2,2% fisso. Questo perché lo scudocrociato in un’elezione europea precedente aveva preso da solo il 2,2%. Curiosamente tutte le società di sondaggi ci davano quel dato. Poi prendemmo invece meno dell’1%. Questo vuol dire che o gli elettori avevano cambiato idea o molto più probabilmente i sondaggi erano stati molto “addomesticati” dalla razionalità.

Allora nel caso delle comunali di Roma le cose secondo lei come stanno?

Non saprei perché c’è una città messa in ginocchio dalle inchieste e il voto sarà in parte di protesta e in parte di attenzione: molta gente non andrà affatto a votare. Questo falserà molto le previsioni.

 

Quindi quale potrebbe essere il risultato?

Quello che meno ci si immagina. Magari sarà molto diverso da quello che si profila. Ci saranno meno elettori alle urne e di conseguenza la vittoria sarà di chi è più bravo a portare i suoi elettori al voto.

 

A Milano invece come stanno le cose?

Io avevo offerto la mia lista a Parisi, ma lui me l’ha rifiutata. Vuole dire che è sazio dei sondaggi: beato lui. Ma la mia impressione è molto diversa.

 

E qual è?

La mia impressione è che prevarrà il voto di struttura.

 

Che cosa significa?

Significa che anche a Milano c’è disaffezione, ma M5s non fa il pieno. Chi in questi anni ha seminato con il rapporto diretto con gli elettori raccoglierà dunque consensi.

 

Secondo lei chi ha seminato di più?

Questo lo diranno i milanesi, è difficile prevederlo. Io appoggio Mardegan, candidato sindaco della lista “Noi per Milano”, che è un giovane che sta tra la gente e non frequenta i salotti buoni di Sala e Parisi.

 

Come andrà a Milano M5s?

Non mi sembra che ci sia un fenomeno Cinque Stelle a Milano, e questo fa ben sperare per l’Italia. Quello che oggi pensa Milano domani lo pensa l’Italia, e Milano sta dando un bel colpo di freno all’entusiasmo per M5s.

 

(Pietro Vernizzi)