L’attacco è diretto e sul tema del referendum costituzionale d’ottobre: Renato Brunetta, capogruppo di Forza Italia alla Camera, va dritto contro il premier Renzi dopo le ultime dichiarazioni che rilanciano la partita della riforma Boschi come un “aut aut”, una battaglia che se si perde “vado a casa, non come gli altri prima di me”. Ecco dunque che Brunetta prova a cogliere in fallo lo stesso Renzi pubblicando sui social una frase dell’allora giovane presidente della Provincia di Firenze, nel 2006. «Un No ad una riforma che stravolge la nostra Costituzione, riscrivono ben 53 articoli. Un No per fermare il progetto che conferisce al premier poteri che nessuno stato democratico prevede e lo rende sostanzialmente inamovibile». Il riferimento è alla proposta di Riforma Costituzionale che fece il Governo Berlusconi ma che si arenò per problemi interni e per la mancanza di voti in Parlamento. Ma è chiaro il riferimento che Brunetta fa alla doppia concezione di Renzi rispetto alla sua riforma di oggi, da molti attaccata di essere molto simile a quanto lo stesso Renzi contestava nel passato. Un referendum d’ottobre che si preannuncia sempre più caldo.



Interviene a tutto campo sul referendum costituzionale di ottobre il presidente emerito della Repubblica, Giorgio Napolitano e lo fa dalle pagine del Corriere della Sera con una lunga intervista pubblicata questa mattina. Concetto chiave che aumenta ancora di più la “personalizzazione” di questo voto referendario: «se vince il no per le riforme è finita per Renzi e per il governo». Una “bomba” sul presidente del Consiglio? In realtà non è nient’altro che l’estremizzazione di quanto continua a dire lo stesso Renzi: il governo si basa su questa riforma costituzionale della ministra Boschi e il referendum confermativo di ottobre darà una sorta di responso popolare. Duro l’attacco però ai costituzionalisti che stanno alzando barricate sulla possibilità di cambiare la Costituzione: «la dottrina “perfezionista” è una posizione insostenibile, perché il No comporterebbe la paralisi definitiva, la sepoltura dell’idea di revisione della Costituzione». Allo stesso tempo Napolitano spinge anche per non tacciare di “ostruzionista” chi ha delle riserve sulla riforma costituzionale: «una volta confermata la legge bisognerà mettersi al lavoro per costruire davvero questo nuovo Senato e tratte dall’esperienza ogni possibile conseguenza». Secondo Napolitano la prima parte della nostra Carta è intoccabile mentre la seconda, sull’ordinamento della Repubblica, ha presentato da subito “gravissime fragilità”: «Renzi non avrebbe dovuto dare questa accentuazione politica personale, ma solo un ipocrita può dire che se ci fosse un rigetto su una questione così importante, sui cui il Governo si è tanto impegnato in parlamento, non si porrebbe un problema per le sue sorti. Se vince il Sì vince la riforma non Renzi».



La battaglia è lanciata: sul referendum costituzionale d’ottobre 2016 Matteo Renzi è sceso ufficialmente in campo in quella che è la riforma per eccellenza del su mandato incentrato sulle “riforme”, come va ripetendo a mo’ di mantra da ormai due anni. Il ddl Boschi che sarà davanti ai cittadini in autunno porta varie modifiche alla Costituzione sulle quali Renzi è ritornato ieri a Firenze per il lancio della campagna per il Sì: regioni e Senato, i temi forti sottolineati dal premier. «La riforma del Titolo V del 2001 era più “federalista” perché Prodi era beccato dalla Lega, perciò impugno la bandiera del federalismo. Per molti aspetti è stato utile per altri un po’ meno, quando ad esempio hai regioni con un potere persino superiore da quello previsto dal costituente». L’autonomia per Renzi, accusato in questo caso di essere statalista, non è un bene a priori: «siamo stati l’unico paese a non spendere i fondi europei. Se il sindaco di Napoli si dimentica di bagnoli, ce lo ricordiamo noi». Scopo della riforma Boschi è quello di riattribuire alcune competenze dalle Regioni allo stato centrale in settori come il turismo e l’energia. Attacco forte poi contro i “gufi” che lo ostacolerebbero: «Io non sarei mai arrivato a Palazzo Chigi se non avessi avuto una straordinaria esperienza di popolo, ora però ho bisogno di vincere la partita più grande, che non è quella del referendum di ottobre, ma quella di tornare ad una Italia che dice sì». Il premier ha poi lanciato, in vista del referendum di ottobre, la nascita di 10mila comitati, dalle 10 alle 50 persone per ogni singolo comitato del Sì; «una gigantesca campagna porta a porta per chiedere se si vuole riportare l’Italia e due anni fa o andare a testa alta verso il futuro».

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