Se son rose fioriranno. Ma se fioriranno, nel campo del centrodestra, si capirà solamente dopo il 5 giugno. Per ora c’è la rottura di Roma (Marchini contro Meloni) e il grande gelo conseguente. Mai Forza Italia è stata tanto distante dalla Lega (e da Fratelli d’Italia), forse neppure all’epoca del ribaltone del 1994/5. In prospettiva questo può essere un regalo clamoroso alla sinistra (e ai 5 Stelle), tenendo i due tronconi fuori dal ballottaggio dell’Italicum. Un regalo che Silvio Berlusconi non vuole fare, assolutamente. 



Berlusconi usa mezzi singolari: non un semplice ramoscello d’ulivo offerto a Salvini a Meloni, ma molto di più: l’annuncio che il centrodestra alle prossime elezioni politiche si presenterà unito. Anzi, che già è pronto il programma. Addirittura che è stata già definita la composizione del futuro governo: tre ministri a Forza Italia, tre alla Lega, due a Fratelli d’Italia e ben dodici esponenti della “vita vera”, secondo le parole dello stesso leader azzurro.



Troppo esagerata questa dichiarazione per non indurre a perplessità e sospetti. E infatti a frenare sono soprattutto gli altri due interessati, cioè Matteo Salvini e Giorgia Meloni. Il leader del Carroccio stronca in primo luogo la presunta spartizione di poltrone, definita prematura, ma non solo. Nel suo primo libro (Secondo Matteo, appena uscito) si candida a essere lui il nuovo leader del centrodestra, cosa che proprio non va giù a Berlusconi. Il quale ad abdicare non ci pensa proprio, almeno per il momento. Certo, c’è apprezzamento per alcune delle indicazioni programmatiche dell’ex Cavaliere (abolizione legge Fornero e studi di settore, calo delle tasse e blocco dell’immigrazione clandestina), ma non basta. Almeno per ora. E Salvini è anche pronto ad aprire le porte a nuovi transfughi da Forza Italia, dopo le amministrative di giugno, se dovessero esserci quegli ulteriori smottamenti interni di cui le voci di corridoio continuano a parlare. Prima indiziata di avere le valigie pronte è un pezzo da novanta come Daniela Santanchè. Anche i fittiani, dopo il voto, potrebbero guardare al Carroccio con occhi nuovi.



Ancora più diffidente Giorgia Meloni, che per discutere di un’intesa chiede a Berlusconi di abbandonare subito Alfio Marchini al suo destino. E lo accusa di avere un patto segreto con Renzi per fare vincere Giachetti a Roma. Un’ennesima riedizione del patto del Nazareno, insomma. 

In buona sostanza, l’idea di un riavvicinamento nessuno la esclude, ma al momento alberga quasi esclusivamente nei pensieri di Berlusconi. Il suo incubo è il ripetersi del 1996, anno in cui il centrodestra diviso consegno la vittoria elettorale all’Ulivo di Prodi in virtù delle sue divisioni. La Lega raggiunse il suo massimo storico del consenso, quasi quattro milioni di voti, superando il 10%, senza però poter incidere in alcun modo sul governo. E ci vollero quattro anni, sino alle regionali del 2000, per tessere la tela di una nuova alleanza. Dunque, nulla è scontato, e l’ipotesi di un centrodestra diviso non può essere assolutamente esclusa a priori.

Forse la parola più saggia la pronuncia il governatore ligure Giovanni Toti, che con la Lega ci governa, e intende continuare a farlo. L’occasione per ricostruire l’alleanza — a suo giudizio — verrà offerta dalla campagna per il no al referendum costituzionale. Al netto di pochissimi azzurri favorevoli, solo chi metterà il massimo impegno nel bocciare la riforma targata Renzi-Boschi potrà sedere al tavolo dove si deciderà se il centrodestra avrà la forza per rinascere dalle proprie ceneri. Troppi gruppuscoli dentro Forza Italia, hanno però sinora impedito un’incisiva azione politica. 

Per dialogare con Salvini, però, potrebbe non bastare neppure una convinta campagna per il no al referendum, perché i leghisti stanno premendo sui forzisti per indurli a mollare a livello europeo il Ppe egemonizzato dalla Merkel che predica rigore economico e accoglienza per i migranti. E su questo divorzio ciò che resta della balena azzurra è profondamente diviso, con Berlusconi che non fa affatto i salti di gioia a farsi schiacciare a destra. 

La merce che però scarseggia di più nel centrodestra è la fiducia reciproca fra i leaders. Il patto d’acciaio fra Berlusconi e Bossi che ha retto dal 2000 al 2013 è solo un pallido ricordo. Oggi Salvini si spinge a dire di auspicare persino la vendita al più presto del Milan. E incrocia la sciabola con la compagna di Berlusconi, Francesca Pascale, in un duello verbale acceso e aspro, che l’ex Cavaliere non ha fatto nulla per far cessare. Senza fiducia nessun edificio politico può durare a lungo.

Resta poi il problema dei problemi, la scelta del leader da contrapporre a Renzi e Di Maio. A fine settembre Berlusconi compirà 80 anni. E la legge Severino continua a impedirgli di candidarsi per Palazzo Chigi. Prima o poi dovrà arrendersi all’idea, e cedere il passo. Solo che a livello nazionale lo schema Parisi sarà impossibile da replicare, e frenare la corsa di Salvini non sarà affatto facile.