L’incidente in cui è incorso ieri il premier Matteo Renzi all’assemblea Confcommercio non è quello di aver rimediato qualche fischio da una platea di piccoli imprenditori, quando l’hanno sentito nuovamente vantare i meriti economico-sociali del bonus di 80 euro agli italiani lavoratori dipendenti. I manuali di politica occidentale del Novecento sono ormai obsoleti, ma ci può ancora stare che un premier (presunto, preteso) “di centrosinistra” venga contestato da elettori (presunti) “di centro-destra”: che non vorrebbero trepidare fino a fine anno per sapere se l’Iva aumenterà o no nel 2017.



Quello che invece è sembrato non tornare, dell’ennesima giornata difficile del premier, è una dinamica molto più “liquida”. Poco prima che Renzi salisse sul palco Confcommercio, erano giunti in edicola i quotidiani tappezzati della concitata correzione di rotta elettorale del leader Pd a meno di cento ore della brusca frenata impostagli dalle municipali di domenica. Al di là del rituale “non mi dimetto”, la sintesi sostanziale dell’invito a votare i candidati Pd ai ballottaggi è stata questa: “Se a Roma vincono i Cinquestelle non si faranno le Olimpiadi 2024”. Per la verità Roberto Giachetti — il contendente Pd di Virginia Raggi — è stato anche più esplicito e dettagliato. “Volete il nuovo stadio? Volete la terza linea del metrò? Volete una gestione del debito del Comune senza salti nel vuoto? Volete in Campidoglio uno che ha già gestito grandi eventi? Non votate la Raggi. E quindi non potete che votare me”. E’ mancata, ma s’intuiva comunque in Giachetti, la difesa d’ufficio degli assetti costituiti in Acea, la multiutility capitolina. Ma sta mancando anche — nel Pd-pensiero su Roma Capitale — qualsiasi impegno a mettere le mani nella melma oscura di un’Atac o di altre gestioni municipali: al termine di una lunga parentesi dominata molto più dai sindaci Pd (Rutelli, Veltroni, Marino).



Quello tratteggiato da Renzi per “Roma, Italia” appare comunque un schietto programma da “partito degli affari”, un partito senza slanci e molto legato agli status quo particolaristici. Un programma iscritto nei tradizionali circuiti dell’urbanistica comunale; oppure in quello dell’organizzazione di grandi eventi: edilizia, appalti, leggi ad hoc per pagare a piè di lista statale i disavanzi di “Roma capitale” (ma a Milano il drive del Pd non è forse l’Expo; e a Torino il Pd fassiniano in trincea non è quello delle Olimpiadi invernali 2006?) 



La venatura potrà apparire in qualche modo keynesiana: muoviamo un po’ di cemento e con loro un po’ di braccia; replichiamo il Giubileo del 2000 e quello — un po’ in sordina — del 2016. Dopo i mondiali di nuoto rimettiamo in moto la macchina super-capitolina del Coni di Giovanni Malagò, già sponsorizzato da Luca di Montezemolo. E tutte le inchieste della Procura di Roma sulle tante “terre di mezzo” su cui prospera una gigantesca economia grigia? Lasciamo perdere, prima la ripresa. 

Ma è proprio la “ripresa senza mordente” che ieri ha contestato a Renzi il presidente (milanese) di Confcommercio Carlo Sangalli. Che si è giustamente dissociato dai fischi (moderati) dei suoi associati, ma tant’è: sui mercati dell’economia come su quelli (sanamente intesi) della democrazia elettorale, agli imprenditori — soprattutto i più piccoli fra i 4 milioni censiti dall’Unioncamere — non va di essere lusingati o ricattati da Renzi sulle Olimpiadi a Roma: vorrebbero vedersi sfidati dal premier di una sinistra di mercato che garantisce loro che l’Iva non salirà, per il bene sia dei consumatori che dei commercianti. I quali non vogliono vedersi presentare il conto degli 80 euro come se avessero veramente trainato la domanda interna. La ripresa non si fa con l’idea che, nel 2024, le pizzerie romane saranno piene per due o anche per venti settimane. Né con l’occhio che strizza ai dipendenti comunali (o più universalmente “pubblici” su scala nazionale) promettendo che spending review o taglia-debito saranno sempre loro risparmiati: da un pericolante partito conservatore della sinistra novecentesca.