Ha parlato oggi David Cameron e ha puntato tutto sul referendum Brexit che si terrà giovedì prossimo, con tutta lA Gran Bretagna e i paesi del Commonwealth alle urne per trovate la risposta finale sul rimanere o uscire dall’Europa. Se i cittadini britannici sceglieranno di uscire dall’Unione Europea si tratterà di fatto di una decisione irreversibile, ha detto il Primo Ministro inglese fuori dalla residenza storica numero 10 di Downing Street. «È meglio restare in Europa, il mio compito come capo del governo è fare la scelta giusta per proteggere la nazionale. Il regno sarà più prospero e più sicuro dentro l’Unione Europea». Addirittura ai cronisti e a tutta la nazione ammette alcune colpe, «non sempre ho preso le decisioni giuste ma in questo caso vi chiedo di seguirmi e di dire sì, votando per l’Europa e non per la Brexit. Giovedì ricordate chi siamo, la strada che abbiamo percorso e quanto avanti ancora possiamo andare». Secondo Cameron la scelta della Brexit sarà un rischio per le future generino che “potrebbero pagare il prezzo più alto in termini di commercio e posti di lavoro“.



In questo momento l’intera Gran Bretagna è divisa in due: Brexit o non Brexit, questo il dilemma (e per una volta lasciamo stare Shakespeare, seppur siamo nella sua patria). Il referendum che porterà più vicino o del tutto più lontano la Union Jack all’Europa si avvicina e giovedì tutti i cittadini inglesi sono chiamati a dire la loro semplice ma decisiva risposta. Divisi in due dicevamo, con ogni ambito e settore della vita sociale, economica e politica che si schiera con i Leave o i Remain: anche il calcio? Eh sì, nel Paese dove è nato il “soccer” e dove si disputa ora il campionato forse più bello e sicuramente più ricco del mondo, le idee sulla Brexit sono molto nette: se da un lato i giocatori inglesi impegnati ai campionati Europei (segno ironico del destino) potranno votare dalla Francia per posta, il Presidente della Federcalcio inglese prende una posizione piuttosto decisa. «Le 20 squadre della Premier League vogliono un mercato aperto per il libero scambio dei giocatori», e così anche i tifosi potrebbero avere qualche remora in più in cabina elettorale. Non sono considerazioni di margine, visto che la Premier fa girare molta dell’economia del Paese e averla in salute per i sudditi della regina non è certamente un fatto marginale…



Due giorni, la Brexit arriva nelle urne di tutto il Regno Unito e il pericolo/attesa per l’uscita dall’Europa si fa sempre più vicino: la scelta è tutta in mano degli elettori inglesi che nel referendum più importante della loro storia recente dovranno appunto mettere una croce a favore o contro la Brexit. I sondaggi danno una sfida all’ultimo voto, con i “Remain” che sono risaliti nelle quote dopo la tragica morte di Jo Cox, la deputata laburista anti-Brexit. Ma in molte parti, anche qui in Italia, si chiedono: e se invece vincessero i “Leave”, cosa succederebbe per davvero? Intanto in caso di vittoria della Brexit, prenderanno il via i negoziati per l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea, come stabilisce l’articolo 50 del Trattato sull’Ue, e Londra dopo due anni sarebbe formalmente fuori dall’Europa. Cameron ha già detto che non dimetterà nel caso di sconfitta e anzi sarà lui a gestire le trattative; proprio il premier conservatore ha voluto il referendum e si sta spendendo per dimostrare come rimanere nell’Unione sia meglio della Brexit, negoziando in prima persone le condizioni di una più favorevole membership del Regno Unito. Visione mezza catastrofica arriva però da Bruxelles, dove il presidente del Consiglio Europeo, Donald Tusk, ha annunciato «sette anni di limbo e incertezza politica» (fonte Reuters). I mercati avrebbe notevoli ripercussioni, devastanti nel breve periodo, incognite nel lungo e proprio questo dà il via ad una serie di opposte interpretazioni, positive per i Leave, negative ovviamente per i Remain.



Gli inglesi si avvicinano a grandi passi al referendum Brexit che avverrà il 23 giugno prossimo e che decreterà se il Regno Unito rimarrà nell’Unione Uropea o meno. Dopo i lunghi dibattiti dei giorni scorsi, i due diversi schieramenti sembrano giunti ora ad un clamoroso pareggio, come riferisce Gq Italia. A dare invece uno scossone a quello che appare a tutti gli effetti come uno stallo, intervengono i Vip inglesi che non si tirano indietro in materia di opinioni. In prima linea del subbuglio si trova lo scrittore John Le Carrè che si è fatto promotore di una lettera aperta in cui ha attaccato duramente la Brexit e che riporta la firma di 282 celebrities inglesi, pubblicata interamente dal quotidiano The Telegraph. Anche la politica del no al Brexit ha trovato quindi il proprio sponsor e si tratta di personalità di tutto rispetto. Fra i nomi spiccano infatti quello dello scienziato e fisico Stephen Hawking e del miliardario Richard Branson, ma anche personaggi di rilievo come Danny Boyle, sir John Hurt, Keira Knightley, Benedict Cumberbatch e colui che è considerato l’icona di X Factor, ovvero Simon Cowell. Per questo pool di cittadini golden il no alla Brexit è un atto dovuto, dato che si tratterebbe altrimenti di “un salto nel buio per milioni di persone in tutto il mondo”. Non sono solo gli oppositori ad avere i loro nomi da prima pagina su cui contare, dato che anche i favorevoli alla Brexit possono avvalersi della presenza dell’intramontabile Joan Collins e dell’attore Michael Caine, il calciatore Sol Campbell ed il miliardario Bernie Ecclestone. Anche in questo caso risalta un nome del piccolo schermo, ovvero il produttore Julian Fellowes che con la serie televisiva Downton Abbey può vantarsi di aver dato voce al Regno Unito. Uscire dall’Unione Europa sarebbe per loro come aprire le porte ad un mondo del tutto nuovo, soprattutto perché potrebbe agire senza vincoli europei su tematiche importanti come l’immigrazione. A capeggiare le loro fila si pone l’ex sindaco londinese Boris Johnson, in perfetto contrasto con il premier David Cameron che guida invece gli oppositori, oltre che al governo, la Confindustria Inglese, il partito Labourista e la Banca d’Inghilterra. Per questi organi infatti la preoccupazione è maggiore, dato che si teme che l’uscita dall’Unione Europea porti il Paese verso lo sfacelo economico.