Non si sono mai amati troppo ma per i due volti imprescindibili della storia del Partito Democratico l’analisi su Renzi e il voto delle Amministrative è molto simile. Massimo D’Alema questa mattina ha tuonato sulle colonne del Corriere della Sera (come potete vedere meglio qui sotto) mentre Romano Prodi lo ha seguito, con toni più pacati, su Repubblica; l’intento è lo stesso, delegittimare Renzi o quantomeno la sua modalità di governo e provare ad arrivare preparati alla direzione del Pd di venerdì. I toni sono più moderati ma per il padre fondatore dem, la politica “personale” di Renzi non convince; «due anni bastano per logorasi, occorre ora cambiare politica, non solo politici. Se non cambia questo, il politico cambiato si logora anche in fretta, dopo due anni», con evidente riferimento al premier-segretario. Renzi iene lodato in quanto ha saputo reagire alla crisi del paese come del partito, ma ora serve altro: «Di fronte alla crisi la prima risposta è sempre quella della forte personalizzazione, sia da parte dei governi che dei populismi. Ma dura poco, perché la realtà la mette alla prova dei fatti. La gente vota i politici perché spera che cambino le cose, la personalizzazione è un riflesso. Infatti in queste elezioni hanno vinto dei volti sconosciuti. La personalizzazione non regge se non cambia le cose, o non dà almeno la speranza concreta di poterle cambiare».
È inutile dirlo ma per il Partito Democratico, Massimo D’Alema è il vero leader della minoranza: il Pd che si appresta alla Direzione venerdì prossimo, viene di nuovo “investito” dalle parole di D’Alema che prende coraggio e attacca il premier e segretario Matteo Renzi, giusto pochi giorni dopo la polemica sulle elezioni amministrative perse dal Pd. Teatro dell’attacco le colonne del Corriere della Sera, con l’intervista di stamattina che vede le considerazioni di “Massimino” sul voto alle Comunali: «La sconfitta va molto al di là di specifici eventi locali. È una tendenza generalizzata: perdiamo Torino, Trieste, Pordenone, Grosseto, Novara, Benevento, eccetera. Poi ci sono situazioni come Roma, dove la sconfitta assume dimensioni di disastro. Qui, come a Napoli, ha pesato una vera e propria disgregazione del partito». Secondo D’Alema serve un nuovo segretario che non sia Renzi, una figura che si occupi del Pd a tempo pieno e che non sia tutto puntato sul leader e basta: «Renzi non convoca la segreteria, che pure è un organo totalmente omogeneo. Si riunisce solo con un gruppo di suoi amici». Attacco totale al premier, dal fatto che ha perso “totale sintonia con la base e con il Paese”, al fatto che con le sue Direzione del Partito “non si fa nulla, non servono a niente e non si può discutere”: volete anche la chiusura perfetta finale? Eccola, ovviamente sul referendum, facendo presagire come la Direzione di venerdì avrà toni molto più che bollenti: «Voterò no. Troverò il modo di spiegare le ragioni di merito. Non sono molto diverse da quelle per cui votai no, nel 2006, alla riforma di Berlusconi. Che per certi aspetti era fatta meglio. Anche quella prevedeva il superamento del bicameralismo perfetto e la riduzione dei parlamentari. Ma riduceva anche i deputati. E stabiliva l’elezione diretta dei senatori; non faceva del Senato un dopolavoro. Sarebbe stato meglio abolirlo».
Venerdì la direzione Pd dirà molto sul prossimo futuro del Partito Democratico, sul suo segretario Matteo Renzi ma anche delle logiche interne e le forze di potere: il motivo? Ovviamente la sconfitta elettorale nelle Amministrative pesa, nonostante la vittoria di Sala e Merola a Milano e Bologna che hanno reso meno amara la campagna delle elezioni comunali 2016. Nella riunione convocata in anticipo da Renzi, si discuterà e tanto sulle dinamiche intere e sulle prossime scadenze importanti, su tutte il referendum di ottobre costituzionale da dentro o fuori per il giovane Presidente del Consiglio nonché segretario del Partito. Proprio il doppio incarico è avversato dalla minoranza dem che chiede un cambio di passo deciso e magari un nuovo segretario. Questo quasi sicuramente non avverrà, ma Renzi sembra orientato a cambiare qualche nome nella segreteria per provare a venire incontro alle esigenze dei dem, non solo la minoranza Bersani-Speranza-Cuperlo (con D’Alema ovviamente come uomo-ombra) ma anche gli altri renziani “non della prima ora” che ora con il premier che scricchiola provano a far sentire anche la loro voce. Secondo l’agenzia Adnkronos che raccoglie voci di corridoio, Renzi starebbe pensando a qualche cambio, magari con l’uscita di Debora Serracchiani, Ernesto Carbone e Sabrina Capozzolo, con l’ingresso di nomi importanti magari tra i governatori. E allora si fanno i nomi di Nicola Zingaretti (presidente Lazio) o Enrico Rossi, presidente della Toscana: si fanno i nomi anche di Luca Lotti, già sottosegretario alla presidenza del Consiglio e uomo di fiducia di Renzi, ma ance qualcosa sindaco del sud, come Antonio Decaro di Bari. Il vero nome a sorpresa potrebbe essere però un altro, proprio dopo il fallimento (non tanto per colpa sua) alle Amministrative: Piero Fassino potrebbe entrare in segreteria e mettere qualche punto di raccordo con la minoranza dem. Pier Luigi Bersani ha intanto dato il suo personale giudizio sulla situazione attuale del Pd, definita “preoccupante”: «Le amministrative le ha perse il Pd, a me non piace caricare addosso a una persona sola. Certo, chi guida deve avere l’umiltà di riflettere. Abbiamo perso perché non abbiamo più il contatto con la realtà, che non è quella che Renzi ci sta raccontando. E non è quella che ci raccontano i troppi amici, ci son troppi applausi in giro», racconta a Rai News24. Ecco, la direzione Pd di venerdì si prospetta dai toni “leggermente” intensi…