In un secolo di storia, qualche decennio di più del cosiddetto “secolo breve”, gli inglesi hanno rifilato tre ceffoni drammatici ai tedeschi. Dopo i “sonnambuli” del 1913, la Gran Bretagna, insieme ai francesi e poi con gli americani, oltre agli italiani che avevano avuto qualche tentennamento, spedirono in esilio il bellicoso e invadente Kaiser Guglielmo II, una volta vinta la prima guerra mondiale.
Nel 1939 i tedeschi avevano ancora in mente un disegno egemonico: l’Europa tedesca. Nel luglio del 1940, quando cadde la Francia, Adolf Hitler sembrava il vincitore finale. Era alleato con Iosif Stalin (un ricordo indimenticabile per i vecchi comunisti europei dell’Occidente), riceveva offerte di pace dal re di Svezia e persino dal Papa dell’epoca. Aveva di fronte, dopo la rotta di Dunquerque, solo l’Inghilterra di Winston Churchill. A cui Hitler offriva un compromesso di pace.
Il vecchio “leone inglese” respinse ogni offerta e mandò l’ultimo bombardiere che aveva in quel momento a disposizione su Berlino. Poi si rivolse via radio al Furher in questi termini: “Se invaderete l’Inghilterra, noi ci difenderemo anche con i coltelli da cucina, casa per casa”. Alla fine il “caporale austriaco” finì tra le fiamme nel bunker, mentre Churchill vinse in seguito anche un premio Nobel per la letteratura con la sua storia della seconda guerra mondiale.
Dopo questa nuova tragedia planetaria ci fu una generazione di europei, anche tedeschi, come Konrad Adenauer, che insieme a un francese come Robert Schuman e a un italiano come Alcide De Gasperi, cominciarono a gettare le basi per la realizzazione di un’idea grandiosa: l’unità dell’Europa, che molti avevano immaginato, come Altiero Spinelli e altri politici.
Quando nel 1989 cadde il Muro di Berlino e implose il comunismo, pareva che l’unità europea fosse a portata di mano. Anche se provati dalla lunga guerra fredda, i paesi occidentali avevano classi dirigenti di tutto rispetto e il Cancelliere tedesco Helmut Kohl sfidò i tecnocrati dell’epoca realizzando contro il loro parere la riunificazione tedesca.
Ma, dopo quel 1989, cominciò a capitare di tutto e di più. Un ribaltamento di classi dirigenti in diversi Paesi, tra cui l’Italia e la Spagna, passando anche per la Francia, per motivi non chiarissimi. Facendo letteralmente “pugnalare” alle spalle lo stesso Kohl in Germania per una questione di “tangenti” (forse la storia la conosce, sin troppo bene, la signora Merkel). A poco a poco si realizzò un’Europa senza anima, basata sulla moneta unica, dove la finanza e le banche, a cultura “Spa” ma che non possono fallire, diventavano dei pilastri intoccabili. L’euro fu valutato in Italia oltre 1900 lire. Furono aggiustati i bilanci pubblici con qualche “quintale” di derivati e il liberismo, anzi il privatismo, che arrivava dall’America di Milton Friedman e dell’emigrante Von Hayek, divenne una “bibbia” intoccabile.
Come molti avevano previsto, la crisi del 2007 mandò per aria quel castello di carte, basato solo sulla monta unica, con un’Europa refrattaria persino a riconoscere le sue radici giudaico cristiane. Intanto tutti gli Stati, Germania compresa, violavano i patti concordati e, tanto per cambiare, la Germania, tra surplus commerciale e influenza economica, riscopriva la sua vocazione a diventare la potenza egemone in Europa.
Lo ricordava qualche anno fa, quando era ancora vivo, il vecchio cancelliere socialdemocratico tedesco Helmut Schmidt, quello che aveva denunciato i sovietici per gli SS20 (altro ricordo indimenticabile per i comunisti italiani e la generazione di Comiso). Di fatto, Schmidt rimproverava a Angela Merkel di non essere in grado di fare la leader di una Germania europea. E forse, solo per carità di patria, non la accusava, come fa l’inglese Boris Johnson, di perseguire come Hitler, con altri mezzi, un’Europa tedesca, riprendendo la vecchia distinzione fatta da Thomas Mann.
Sorda, minimalista, di spessore politico limitato, la signora Merkel, nonostante gli epinici di alcuni analisti nostrani, è una sorta di “casalinga” di Lipsia, figlia di un pastore luterano e cresciuta sotto il regime comunista di Ulbricht e di Honecker. Alta scuola di democrazia! E’ circondata da “portavoce”, come il lussemburghese Jean-Claude Juncker, patetico personaggio noto per aver creato un “paradiso fiscale”, e dagli ordocapitalisti tedeschi come il duro Wolfgang Schäuble (adesso metta i dazi sulle Bmw agli inglesi, così le macchine le venderà ai suoi zii o al Polo Artico).
Questa classe dirigente che predica austerità, ordine, ripensamenti sul welfare, ha portato 27 milioni di disoccupati nella zona più ricca del mondo, ha moltiplicato le povertà, ha acuito i contrasti sociali con uno impressionante squilibrio di ricchezza tra pochi ricchi e molti che si impoveriscono continuamente, ha condannato alla deflazione e a una crescita irrisoria tutta l’eurozona.
Forse anche la Merkel, dopo il voto inglese, ha finalmente scoperto come il “furbissimo” Matteo Renzi che le periferie non ci sono solo in Francia e in Italia ma in tutta l’Europa? Oppure ascolta solo le litanie cerimoniose degli “inviati da spiaggia” di Corriere e Repubblica, che parlano di “generazione Erasmus”, di giovani che viaggiano con Ryanair, della Londra e della Parigi cosmopolita?
Alla fine, tra l’incapacità di una leadership, gli imbrogli commerciali, la burocrazia che opprime tutto (l’ultima decisione della Comunità europea riguarda il rosmarino, il basilico e i risotti), gli inglesi hanno inferto un altro sonoro ceffone a tutta l’impalcatura europea a trazione tedesca, votando a favore della Brexit, uscendo del tutto da questa scombiccherata Comunità europea.
E’ una tragedia non tanto per le Borse, nel panico, che scendono (come diceva il vecchio Aldo Ravelli la linea sui mercati viene dettata da alcuni, gli altri sono solo “parco buoi” che non capiscono nulla di politica), ma è una tragedia politica per la diffidenza che ritorna dopo 70 anni di pace in Europa, per la possibilità che, a questo punto, tutto l’euroscetticismo, che è stato “liquidato” sbrigativamente come populismo antisistema, si trasformi in un inevitabile big-bang che riporta indietro l’orologio della storia. Domenica si vota in Spagna, la Francia è in ebollizione e persino in Portogallo che ci chiede un referendum contro l’austerità.
Forse è meglio che anche il presidente americano Barack Obama si risparmi nelle sue dichiarazioni, se non altro per scaramanzia. Quando è andato al Cairo per predicare la “primavera araba” è riuscito a destabilizzare tutto il Medio Oriente dall’Iraq al Magreb, quando è andato in Inghilterra, forse non si ricordava più di che pasta sono fatti gli inglesi: ha suggerito di votare “in” a un popolo che non ama suggerimenti da nessun altro se non dalla sua libera scelta.
Che cosa significa tutto questo per l’Italia? Il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, è stato autore di qualche passo falso nei confronti di David Cameron, per quello che si può chiamare l’affare di Federica Mogherini, perché per quest’ultima ha chiuso gli occhi sulla candidatura di Juncker, tradendo di fatto l’inglese che aveva posto un veto sul lussemburghese. Renzi ha messo al momento il “lanciafiamme” nel ripostiglio e ha posticipato di una settimana la resa dei conti in direzione, tra l’altro, sui “casi Orfini e Serracchiani”. Intendiamoci, senza creare alcun sgomento in Europa!
Poi il premier ha subito convocato un vertice d’urgenza con Carlo Padoan, Ignazio Visco (Governatore della Banca d’Italia), Paolo Gentiloni, Carlo Calenda, Marco Minniti. Poi la dichiarazione: “Sono qui per dirvi che l’Italia farà la sua parte nel percorso che si apre. Il governo e le istituzioni europee sono nelle condizioni di garantire con ogni mezzo stabilità finanziaria e la sicurezza dei consumatori”. E’ mancato questa volta un accenno alla “ripartenza” dell’Italia e alla crescita. Ma arriverà presto. Poi con grande intensità, ha aggiunto, “l’Europa è la nostra casa, la casa nostra, dei nostri figli e nipoti”. Per un fiorentino, è una dichiarazione più in stile “Mike Bongiorno”, con tutto il rispetto, che in stile Machiavelli o Guicciardini.
Ma domani sera, le cose si dovrebbero chiarire, perché sarà a una “cena informale” con François Hollande e Angela Merkel. Qualche anima ironica e incazzata ha pensato a una riunione del vecchio Trio Lescano che cantava “Tuli, tuli, tulipan”.
Ma intanto si guardava a Londra, all’autentico vincitore di queste elezioni: Boris Johnson, non Nigel Farage, il sodale dei grillini in Europa. Non a caso Johnson citava nei suoi comizi Churchill che alla democrazia diretta di Farage e di Grillo non presterebbe la minima attenzione e si metterebbe a ridere.
Ci si chiede infine sempre se Boris Johnson ripensi alla sua profezia sulla Merkel, novello Arminio, il traditore di Teutoburgo, che sconfisse Varo e ammutolì Augusto. Arminio forse deve restare lì, tra i Cherusci, vicino all’Elba, vicino alle paludi e lontano dalla civiltà latina.