La petizione per un bis del referendum Brexit che riesca a ribaltare la decisione di uscire fuori dall’Europa del Regno Unito ha superato nelle ultime ore quota 2 milioni di firme. Una cifra mastodontica, raggiunta in tempi record, che ha messo fuori gioco per alcuni minuti anche il sito del parlamento a causa dei troppi accessi. Come riportato da La Repubblica, non sono in molti a ritenere plausibile l’ipotesi di un nuovo referendum Brexit, eppure esiste qualche precedente. Si pensi ad esempio all’Irlanda, che ha prima bocciato il Trattato di Nizza e quello di Lisbona, prima di ricredersi aderendo all’Ue. Scenario simile anche per quanto riguarda Francia e Olanda, che pur dicendo “no” al Trattato di Nizza, aderirono successivamente a quello di Lisbona per via parlamentare. Ultimo esempio quello della Norvegia, che nel 1972 disse no come nel 1994 all’entrata nell’Ue: referendum bis a distanza di 22 anni con esito identico, per Brexit si tenterà una nuova consultazione lampo? E soprattutto, il risultato sarà differente?
Il referendum Brexit che ha sancito l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea rischia di creare scompiglio nei rapporti tra Uk e Ue. Ad esprimersi sulla posizione che verrà tenuta dall’Ue è stata direttamente la cancelliera tedesca Angela Merkel, che ha tenuto a sottolineare come la prima mossa in questo caso spetti alla Gran Bretagna; queste le sue parole riportate dall’Ansa:”Le trattative non possono durare in eterno ma tocca alla Gran Bretagna muovere i suoi passi. Immagino che anche la Gran Bretagna voglia mettere in pratica le decisioni del referendum. Non mi bloccherei sulla questione dei tempi brevi. L’importante è che fino a che l’accordo di uscita non viene definito, la Gran Bretagna resta membro a pieno titolo dell’Ue con tutti i diritti e i doveri. Di questo ho parlato con il premier David Cameron”. Parole chiare da parte della Merkel, che rimanda al Regno Unito la prima mossa di una partita a scacchi fino a qualche mese fa lontana anche dall’essere ipotizzata.
Il risultato del referendum Brexit che chiedeva al popolo del Regno Unito se restare o lasciare l’Ue è stato chiaro: a trionfare sono stati i Leave e a prenderne atto sono soprattutto i sostenitori del Remain. Si spiega così la decisione di Lord Hill, commissario europeo Britannico responsabile per i Servizi finanziari, che ha da poco rassegnato le sue dimissioni. Come riferito da Hill in un comunicato ripreso da eunews.it, “ciò che è fatto non può essere annullato” e l’obiettivo della Gran Bretagna deve essere “andare avanti lavorando per fare in modo che il nostro nuovo rapporto con l’Europa funzioni nel miglior modo possibile”. Lord Hill ha chiarito di essere “molto deluso per il risultato del referendum” alla pari di “molte persone nel Regno Unito”, sottolineando però che “questo è il modo in cui la democrazia funziona”. Per Lord Hill non sarebbe stato giusto “andare avanti come il Commissario britannico, come se nulla fosse accaduto”.
La frattura consumatasi tra la Gran Bretagna e l’Ue con il referendum Brexit del 23 giugno potrebbe essere sanata? È quanto si augura oltre un milione di cittadini del Regno Unito che, come fa sapere SkyTg24, ha firmato la petizione lanciata da un gruppo di parlamentari per indire un nuovo referendum Brexit. La proposta, avendo la petizione superato quota 100mila firme, verrà esaminata da una commissione ed eventualmente sarà sottoposta al giudizio del Parlamento. In queste ore però sono diversi i tentativi di smarcarsi dal Regno Unito indipendente e fuori dall’Ue: 99.800 persone, a detta di TgCom24, hanno firmato un’altra petizione affinché Londra, che ha votato in gran parte per il “Remain”, attui una secessione dall’UK. “Londra è una metropoli internazionale, vogliamo rimanere nel cuore dell’Europa ed essere membri dell’Unione europea”, recita la petizione indirizzata al primo cittadino Sadiq Khan: verrà raccolto dalle istituzioni questo accorato appello? Chi non sembra disponibile ad un passo indietro è Martin Schulz, presidente dell’Europarlamento che in un’intervista a La Stampa dichiara:””Ho parlato con Merkel, Hollande, Tusk. È stato convocato un summit a Ventisette. È un messaggio chiaro. Mostra che già da martedì il Regno Unito è fuori. Siamo in una nuova fase dell’integrazione”.
Tutti contro tutti in Gran Bretagna dopo l’esito del Referndum Brexit di giovedì scorso 23 giugno che ha sancito l’uscita del Paese dall’Unione europea. Il Regno Unito è spaccato a metà: ha vinto infatti di poco, con il 51,9%, il ‘Leave’ contro il 48,1% del ‘Remain’. Già ieri, all’indomani della vittoria del ‘Leave’ nel Referendum Brexit, un gruppo di parlamentari britannici ha lanciato una petizione per indire una nuova consultazione: in poche ore sono state raccolte 800mila firme. Avendo superato le 100mila firme, come si legge su Rainews, la petizione potrà essere presentata in Parlamento. E Change.org ha rivolto un appello per una secessione della capitale britannica, al sindaco di Londra Sadiq Khan: qui infatti i sostenitori del ‘Remain’ sono stati la maggioranza del Regno Unito. Dunque si profila per la Gran Bretagna un periodo di grande incertezza sia per quanto riguarda l’aspetto politico – ieri il primo ministro David Cameron, sostenitore del ‘Remain’, si è dimesso – sia dal punto di vista economico visto che sempre ieri è stata registrata una caduta libera della sterlina.
La decisione del popolo della Gran Bretagna di uscire dall’Unione Europea con il referendum Brexit ha dato non poco fastidio ai vertici di Bruxelles, che adesso non hanno alcuna intenzione di fare sconti al Regno Unito. Lo snodo cruciale in questo senso è l’articolo 50 del Trattato di Lisbona, che assegna ad ogni Stato che decida di uscire dall’Ue un tempo di 2 anni per completare le procedure di separazione. In questo arco di tempo è possibile rinegoziare gli accordi con l’Ue, ma non si è più parte del processo decisionale: in un certo senso si subiscono le decisioni, si affrontano trattative, ma non si ha più alcune potere di imporre la propria linea. Il presidente della Commissione Ue Jean Claude Juncker però, come riporta La Repubblica, ha fatto capire senza troppi giri di parole che gradirebbe dare un’accelerata all’uscita della Gb dall’Ue:”L’uscita del Regno Unito dalla Ue non avverrà come un divorzio consensuale. Dopotutto non è stata neppure una grande relazione amorosa. Non capisco perchè il governo britannico abbia bisogno di aspettare sino ad ottobre per decidere se inviare o no la lettera di divorzio a Bruxelles, vorrei riceverla subito”. Insomma, il fastidio trapela in maniera evidente: tra Gb e Ue non saranno rose e fiori, o forse mai lo sono state…
Clamorosamente il popolo britannico ha deciso, seppur in maniera non netta, di uscire dall’Unione Europa ponendo grandi punti interrogativi sugli scenari futuri soprattutto da un punto di vista economico. La preoccupazione in queste ore è tanta come del resto confermano le forti tensioni registrate sui mercati finanziari. C’è timore anche in Italia giacché il nostro Paese in ragione del forte debito pubblico, è particolarmente esposto alle fluttuazioni finanziarie. Tuttavia stando a quanto scritto dall’agenzia di rating statunitense Standard & Poor’s, l’Italia e l’Austria sarebbero i due Paesi meno a rischio dai contraccolpi dell’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea. L’agenzia ha basato questa disamina sul calcolo di un indice di esposizione all’uscita di Londra che tiene conto di alcuni fattori come le esportazioni di beni e servizi verso l’UK in funzione del Pil nazionale, i cosiddetti flussi bidirezionali di emigrazione e crediti del settore finanziario. Il Paese più esposto è l’Irlanda seguito da piccoli stati come Malta,Lussemburgo e Cipro. Tra le principali potenze europee seconda Standard & Poor’s è la Spagna ad essere più a rischio.
Dopo l’esito del Referendum Brexit che ha sancito l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione europea, sono state tante le reazioni politiche da parte degli altri Paesi dell’Ue. Gli inglesi hanno votato giovedì scorso per la consultazione che chiedeva di esprimersi sul ‘Remain’ o sul ‘Leave’: i cittadini britannici hanno deciso in maggioranza per lasciare l’Europa. E ora gli altri Paesi membri dell’Unione si riuniscono per discutere delle conseguenze del Referendum Brexit. Oggi a Berlino è infatti in programma una riunione degli Stati fondatori dell’Unione europea. Si ritroveranno attorno a un tavolo i capi della diplomazia di Italia, Germania, Francia, Olanda, Lussemburgo e Belgio. A confermare l’incontro il ministero degli Esteri tedesco: saranno presenti oltre al ministro degli Esteri tedesco Frank-Walter Steinmeier, il capo della diplomazia italiana Paolo Gentiloni, il francese Jean-Marc Ayrault, l’olandese Bert Koenders, il belga Didier Reynders e il lussemburghese Jean Asselborn.
Innanzitutto la Brexit è un fattore politico: l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea ha un effetto immediato in termini di politica in senso lato, ovvero dal lato culturale e sociale, fino a quello economico e strategico. I prossimi mesi saranno decisivi per capire si imposterà la situazione dei britannici di fronte alla scelta sancita dal loro voto, ovvero una Brexit senza possibilità di ripensamenti, come aveva prontamente minacciato prima del voto il Presidente Commissione Ue, Jean Claude Juncker. Ma ad un fatto politico, come hanno reagito gli stessi leader mondiali alla notizia della Brexit? Per prima cosa il diretto interessato e in certo qual modo anche responsabile della clamorosa uscita britannica dall’Unione Europea, David Cameron: ha indetto il referendum come mossa prettamente elettorale interna e ora si ritrova davanti lo sconvolgimento mondiale e anche interno per una clamorosa Brexit. Il premier si è dimesso dalla sua carica, contrariamente a quanto aveva detto prima del voto, con queste parole: «Io farò il possibile, come primo ministro, per pilotare la nave nei prossimi settimane e mesi. Ma non penso che sia giusto per me cercare di essere il capitano che guida il nostro Paese verso la sua prossima destinazione». Il suo diretto rivale e leader del Leave, Nigel Farage (già segretario del partito di destra, Ukip) ha invece festeggiato con “il nostro indipendence day”: «E’ la vittoria della gente comune contro le grandi banche, il grande business e i grandi politici». Gli fa eco il “compare” Boris Johnson che si dispiace comunque per le dimissioni del suo compagno di partito Cameron, «lo considero comunque uno straordinario politico»: il nuovo sindaco di Londra invece, Sadiq Kahn, si rivolge agli europei dicendo che ora «rimangono comunque i benvenuti tutti i cittadini del continente, Londra continuerà ad essere prospera e aperta agli investitori e al business».
Getta profonda attenzione all’intera situazione Vladimir Putin, che dal canto suo medita forse un’attenuazione delle sanzioni Ue contro la Russia, «Il risultato del referendum in Gran Bretagna avrà senz’altro conseguenze per il mondo e per la Russia». La cancelleria tedesca, a cui tutti ora guardano in Europa come l’unica e forse ultima grande leader in grado di prendere decisione per il futuro dell’Europa (e forse proprio questo ha fatto decidere molti inglesi per il Leave) ha detto alla stampa, «E’ un taglio netto” per l’Europa, ma ora serve un’analisi calma e composta dell’esito del referendum». Alle parole di Angela Merkel fanno eco anche le considerazioni che arrivano dalla Casa Bianca con Barack Obama che ammette di aver preferito un voto anti-Brexit: «Auspico che i negoziati che si apriranno tra Regno Unito e Unione europea assicurino stabilita’, sicurezza, prosperità per l’Europa, la Gran Bretagna, l’Irlanda del Nord e per tutto il mondo. Avrei preferito un risultato differente, ma rispetto pienamente la decisione presa». Chiudiamo questa carrellata di reazioni, consci che saranno le prime di una lunghissima serie in questa estate “bollente” con le considerazioni di Tony Blair: il primo perché ha rappresentato forse l’ultima grande esperienza europea dell’Inghilterra con la sua presidenza, mentre il secondo Matteo Renzi perché ora è chiamato ad un doppio incarico difficilissimo, badare alle grosse fratture interne e ora anche a gestire una situazione anomala a livello internazionale e che dovrà approfittare per far ottenere all’Italia un ruolo di maggior prestigio nei negoziati per la nuova Europa che da ieri si è aperta. «l’ex premier Labour: E’ un momento molto triste per il nostro Paese, l’Europa e il mondo», mentre il premier italiano ha puntato forse sul senso più culturale che non politico di questo momento storico, «Dobbiamo cambiarla per renderla più umana e più giusta. Ma l’Europa è la nostra casa, è il nostro futuro. Il popolo britannico ha scelto, noi rispettiamo la decisione. Ora si volta pagina».