La Brexit è sempre lì, il voto che ha forse cambiato il destino futuro dell’Europa è ancora nella coda dell’occhio e la bufera con polemiche annesse non si placa: prima degli incontri di domani a Londra prima e poi a Bruxelles, il segretario di Stato americano John Kerry è volato oggi a Roma per incontrare il nostro ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni. «È possibile trasformare questa situazione difficile in una occasione di rilancio dell’Europa. È molto difficile ma ci dobbiamo provare, avviando in modo ordinato le procedure previste dall’articolo 50 del Trattato di Lisbona, con la fase negoziale sul recesso del Regno Unito». L’incontro a Roma per Gentiloni, autore di queste dichiarazioni appena concluso il vertice con Kerry, si è detto positivo e le basi di un sostegno americano al momento difficile europeo sono solide. «Ora siamo al lavoro per il rilancio dell’Ue, prendendo atto delle decisioni degli elettori britannici. Questo cambiamento per il Governo Italiano passa attraverso politiche comuni sulla crescita, la crisi migratoria e la sicurezza», chiosa ancora Gentiloni. Da crisi ad opportunità: la Brexit compierà questo passaggio?



Non si sa ancora con quali basi, ma la Brexit potrebbe essere bloccata: almeno questo è il pensiero del primo ministro della Scozia, anzi la “first minister” Nicola Sturgeon, annunciato oggi a mezzo stampa in Regno Unito. Lo stato scozzese si ritrova in una perfida morsa: ha votato in maggioranza per rimanere in Europa, ma l’esito del referendum Inghilterra-Unione Europea ora li vede soggiogati dal Leave generale che si è si affermato in Gran Bretagna. Fin dai primi momenti la premier Sturgeon ha chiesto un nuovo referendum di indipendenza dal Regno Unito, e ora va ancora al contrattacco: «il Parlamento di Edimburgo potrebbe cercare tramite un voto dell’assemblea di bloccare la Brexit». Il problema è che non sono stati fortini i dettagli che porterebbero ad un clamoroso bloccaggio del voto che due giorni fa ha cambiato per sempre la storia dell’Europa. Di simile opinione anche l’Irlanda del Nord, che ha votato per il Remain e ora si ritrova fuori dall’Europa: qui addirittura nelle ore dopo il voto il Governo ha prospettato una futura ricongiungimento con l’Eire per poter tornare di nuovo in Ue. Che sia un terremoto questa Brexit è davvero un eufemismo affermarlo.



E’ vero caos all’interno del partito laburista dopo l’esito del referendum Brexit dello scorso 23 giugno e che ha decretato l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea. La metà dei membri del governo ombra sarebbe pronto a dimettersi. E’ quanto emerso dalla Bbc, come riportato da Rai News, dopo che il ministro degli esteri ombra, Hilary Benn, era stata costretta a dimettersi da Corbyn e dopo l’annuncio che anche la responsabile della sanità, Heidi Alexander lascerà, sebbene “con il cuore pesante”. Ora molti ministri stanno spingendo verso le dimissioni di Jeremy Corbyn, sebbene il leader laburista abbia fatto sapere tramite un comunicato ufficiale della sua segreteria che non avrebbe alcuna intenzione di mollare: “Non ci saranno dimissioni da parte di un leader democraticamente eletto e con un forte mandato della base”, ha riportato Repubblica.it.



Dopo il referendum della Brexit che ha sancito l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea, ha parlato per la prima volta Donald Trump ad un giornale italiano: nell’intervista alla Stampa questa mattina, l’eccentrico candidato alla Presidenza degli Stati Uniti, ha commentato il voto in Inghilterra sulla Brexit lanciando un monito choc ad altri paesi Europei, compreso il nostro. «dopo il Brexit, Francia, Italia e Spagna sono candidati a seguire l’esempio della Gran Bretagna, perché sono in difficoltà, ma non sono i soli: ce ne sono molti altri che sono pronti alla loro versione della Brexit, vedrete». La previsione di Trump avrà seguito? Di certo secondo il provocatore repubblicano sono troppi gli errori commessi dalla Europa sull’immigrazione e sulla politica monetaria, un peso troppo grande per Trump per poter rimanere “come se nulla fosse successo”. «L’intero mondo è in tumulto per colpa di questa leadership e di quella americana di Obama che non sanno cosa fanno». Parole dure anche su Angel Merkel, secondo Trump non più in grado di far fronte ai problemi dell’Europa dopo la Brexit: «la stimavo molto e le ho sempre fatto i compimenti, fino a quando ha preso quella sciagurata decisione sull’accoglienza dei rifugiati. Così ha trasformato la Germania in un Paese da cui i suoi abitanti vogliono scappare».

Jeremy Corbyn, leader dei laburisti, si è già espresso sulla petizione online realizzata per chiedere un secondo referendum sulla Brexit, confermando in parte quanto aveva già asserito Cameron. Lo stesso premier dimissionario, come riporta La Stampa, aveva sottolineato come non si sarebbe tornati alle urne qualunque fosse stato il risultato raggiunto. Corbyn, in merito ha dichiarato: “La decisione è stata presa. Dobbiamo accettarla e iniziare il prima possibile a lavorare sulle relazioni future con l’Europa”. Ma i raggiunti tre milioni di firmatari hanno chiamato in causa anche John Curtice, noto professore di Scienze Politiche, che al Telegraph ha commentato l’aspetto che ruota attorno ai numeri: “Oltre 17 milioni di persone hanno votato a favore del “Leave”. Due milioni sono briciole, a confronto. Questa petizione doveva essere firmata prima: adesso è troppo tardi”, ha asserito. Alla fine però, come rivelato dal deputato laburista David Lammy, il solo a poter decidere sulla questione sarà il Parlamento inglese che a sua detta potrebbe “impedire questa follia con un voto”.

Aumentano con il passare dei minuti le firme della petizione online realizzata per chiedere un nuovo referendum sulla Brexit. C’è chi non lo ha mai voluto e chi, sotto sotto, si è pentito di aver votato per l’uscita dell’Inghilterra dall’Unione Europea e, sebbene come evidenzia anche La Stampa, il numero crescente di firme finora raccolte (attualmente sono oltre due milioni e 900 mila) difficilmente porterà ad una nuova consultazione popolare, è altrettanto vero che oggi, a distanza di qualche giorno dai risultati sulla Brexit, non possono che far discutere. Dopo poche ore dalla notizia della sconfitta del “Remain”, le firme avevano già raggiunto quota 100 mila, ovvero la soglia affinché la petizione possa essere discussa dal Parlamento. Come sappiamo, la Brexit è passata con una percentuale del 51,9% e i firmatari della petizione chiedono ora una legge che imponga un nuovo referendum nel caso in cui il risultato raggiunto sia inferiore al 60%. Parimenti, per i firmatari della petizione la nuova legge dovrebbe ritenere non valido il referendum al quale partecipi meno del 75% degli aventi diritto. Nel caso specifico del Referendum Brexit l’affluenza è stata del 72%. Alla petizione possono partecipare solo i cittadini inglesi e i residente nel Regno Unito, ma non è detto che nonostante l’ampio numero finora raggiunto sarà realmente presa in considerazione. Questo dipende infatti dal giudizio di una apposita commissione che la esaminerà giudicando la reale legittimità della proposta e delle stesse firme. Secondo quanto spiegato dalla Bbc, tuttavia, sarà quasi impossibile la presa in considerazione della suddetta petizione poiché verrebbe richiesto di promulgare una legge con effetti retroattivi. Clicca qui per vedere i numeri della petizione online.

Dopo l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea, la Brexit, non si possono praticamente contare le conseguenze che il referendum in Gran Bretagna sta generando. A livello europeo ma anche e soprattutto a livello interno : il partito di opposizione ma impegnato nella campagna contro-Brexit, il Labour, sta vivendo un periodo di estrema difficoltà con insidie interne dovute alla carica di leader a James Corbyn, nella bufera dopo aver perso il voto. Non si fermano tutte le polemiche interne soprattutto dopo l’azione messa a punto ieri pomeriggio: Jeremy Corbyn ha infatti dimissionato il ministro degli Esteri ombra, Hilary Benn, dopo le rivelazione dell’articolo sull’Observe su una possibile golpe all’interno del partito. Come rivela invece la Bbc, il ministro ha spiegato la sua versione: «dopo una telefonata a Corbyn in cui dicevo di aver persone fiducia nella sua capacità di guidare il partito, sono stato congedato». Confermato il tutto da un portavoce del Labour, ha confermato a Press Association: «Jeremy lo ha licenziato perché aveva person fiducia in lui». Perde la Brexit, perde consensi e non sta certo messo meglio dei rivali Tory in crisi con le dimissioni di David Cameron.

Per comprendere le conseguenze macroscopiche determinate dal referendum Brexit che ha sancito l’uscita del Regno Unito dall’Ue, basta forse ascoltare i rumours provenienti da Buckingham Palace, dove la Regina Elisabetta viene descritta “di pessimo umore” e decisa, addirittura, a lasciare la reggenza al figlio Carlo. Un evento, questo, che sembrava fino a qualche tempo fa lontanissimo dal materializzarsi, col 67enne principe di Galles che aveva probabilmente messo da parte ogni ambizione personale da molti anni a questa parte. La ricostruzione che vede la sovrana inglese ad un passo da una scelta epocale è firmata Vittorio Sabadin, giornalista de La Stampa secondo cui Elisabetta sarebbe molto più che adirata con David Cameron, l’uomo che ha consentito al popolo britannico di compiere una scelta sbagliata dando vita al referendum Brexit che oggi rischia di incendiare il pianeta. E sotto la spinta di Scozia e Irlanda, ferventi sostenitrici del Remain, c’è anche il rischio concreto che il Regno Unito non resti tale ancora a lungo. Per questo motivo la Regina non vorrebbe essere ricordata come la sovrana sotto cui il Regno si è disgregato; seppure Elisabetta sia consapevole che cedendo la reggenza al figlio molti paesi del Commonwealth che le hanno giurato fedeltà chiederanno l’indipendenza non dovendo nulla a Carlo. Si prospettano tempi duri per la Corona: ancora qualche mese e la regina potrebbe dover nominare un nuovo primo ministro dai capelli color paglia di nome Boris Johnson, il primo secondo “La Stampa”, che arriverà al Palazzo Reale in bicicletta, l’ultmo, forse, che assumerà le redini del governo d’Inghilterra su mandato di Sua Maestà la Regina Elisabetta.