I leader europei riuniti nel vertice Brexit per discutere delle conseguenze dell’uscita della Gran Bretagna dall’Europa hanno sentenziato che “non ci potrà essere alcun negoziato” della Ue con la Gran Bretagna “prima che abbia avuto luogo la notifica” dell’uscita del Paese dall’Unione, secondo quanto disposto dall’art. 50 del Trattato. In particolar modo, il Presidente fracese Francois Hollande ha prospettato alla Gran Bretagna un modello simile a quello norvegese: “Un Paese terzo con accesso pieno alle regole del mercato unico, che non partecipa alle decisioni del Parlamento, del Consiglio e della Commissione Ue, è obbligato a rispettare tutte”. Inoltre, ha aggiunto poi Hollande: “Con la Gran Bretagna fuori dalla Ue e dal mercato unico non ci sarà alcuna ragione per l’Unione e per la zona euro di permettere al Regno Unito di continuare a fare operazioni in euro”.
Una ribellione, politica per ora, ma pur sempre tale: dopo il voto sulla Brexit che ha di fatto lasciato fuori dall’Unione Europea il Regno Unito, per decisione della maggioranza dei britannici. Ebbene, Scozia e Irlanda del Nord non ci stanno visto che la maggioranza dei loro cittadini hanno vince votato per il Remain e ora si ritrovano fagocitati dalla vittoria del Leave e quindi della Brexit. Al Consiglio Europeo ha partecipato anche Nicola Sturgeon, la premier della Scozia, che ha voluto incontrare personalmente il presidente dell’Europarlamento, Martin Shulz. Il politico tedesco ha fatto sapere ai cronisti che ha «ascoltato la richiesta della Sturgeon che rappresenta un Paese in cui il 66% degli elettori ha votato contro la Brexit al referendum del 23 giugno». Un futuro molto incerto visto che non ci sono specifiche riguardanti stati all’interno di altri “stati uniti” come accade per l’Irlanda del Nord e la Scozia: l’ipotesi avanzata dagli scozzesi è quella di un secondo referendum d’indipendenza, a soli due anni dal precedente che aveva bocciato la possibilità di staccarsi dalla Gran Bretagna.
A giorni di distanza dal referendum su Brexit in Inghilterra sono tanti i malcontenti e le paure che vivono i cittadini inglesi. Il mondo della politica è in forte fermento, anche a causa della paura, sempre più provata dai dati degli economisti, che l’uscita dalla UE comporti una forte perdita economica per il Paese. Intanto, riporta La Repubblica, i laburisti hanno accettato la mozione di sfiducia che mette alle strette il leader Jeremy Corbyn, grazie all’81% dei votanti. Non si tratta comunque di una mossa definitiva, dato che manca il voto dei membri del partito, senza il quale la mozione verrà considerata nulla. Dal suo canto, Corbyn ha annunciato tramite un comunicato ufficiale che le dimissioni non rientrano nelle sue intenzioni e che crede che il voto di sfiducia non abbia “alcuna legittimità costituzionale”. A detta del deputato rinunciare all’incarico sarebbe inoltre mancare di rispetto alla fiducia datagli dal 60% dei membri laburisti che hanno votato a suo favore. Nei prossimi giorni, riferisce Sky News, si incontreranno invece il vice leader Tom Watson e l’ex ministro Angela Aegle che in passato aveva assunto una posizione di forte contrasto nei confronti di Corbyn. I due dovranno stabilire chi fra loro dovrà lanciare il guanto di sfida sul volto del leader. Rinviato anche la nomina di chi prenderà il posto di David Cameron, prevista per il 9 settembre prossimo, come annunciato dai Conservatori. In lizza in primo piano Boris Johnson, portavoce degli Exit, a cui si potrebbe affiancare il Ministro degli Interni Theresa May, schierata dalla parte dei Remain.