Alla vigilia di questa campagna elettorale amministrativa, che riguarda 1300 comuni italiani e grandi città come Roma, Milano, Napoli, Torino, Bologna, si stanno sparando le ultime cartucce. Personaggi politici che non sembrano neppure l’ombra di una classe dirigente intervengono con dichiarazioni che assomigliano a racconti autobiografici e non delineano alcuna soluzione o programma per il futuro delle città italiane.
Scendono in campo vecchi e nuovi protagonisti. Silvio Berlusconi, resuscitato da Libero con una lunga intervista, risponde a una domanda sulla sua “rivoluzione liberale”: “Se lei intende dire che abbiamo cambiato la cultura politica e civile del nostro Paese, questo lo abbiamo fatto e in modo duraturo”. Ribadisce un concetto per amministrare le grandi città: “Io credo che un politico di professione non sia la persona giusta per questo”.
Come al solito, al termine di un quarto di secolo che lo ha visto protagonista inutile di un periodo italiano di declino, il Cavaliere appare disarmante. Ha ereditato, e per questo vinceva, i voti di cinque partiti cancellati dalla cosiddetta “rivoluzione di velluto”, che poi ha scoperto, sulla sua stessa pelle, essere un’operazione giudiziaria ad alta intensità con interessamenti internazionali. Non solo non ha curato le esigenze di quell’elettorato, non solo ha lasciato il Paese con tutte le sue contraddizioni, ma ha assistito alla privatizzazione di grandi industrie di Stato senza fare opposizione, ha alimentato anche lui un’antipolitica del menga, con la storia della “politica politicante”, che non ha portato da nessuna parte e ha contribuito con la controparte di centrosinistra al declino italiano.
Berlusconi, probabilmente, non si ricorda neppure bene chi siano stati i grandi sindaci politici, forse perché, quando non c’era la cultura “liberale” che lui avrebbe portato, è diventato uno degli uomini più ricchi del mondo nella povera “prima repubblica” italiana, quella che aveva un sistema economico misto che assicurava senz’altro più benessere di quello attuale, scandito dai tempi e della esigenze della finanza.
In questi ultimi tempi, badando soprattutto alla sistemazione dei suoi affari (guarda caso), Berlusconi si è limitato a pasticciare dividendo il centrodestra a Roma, unificandolo a Milano, alternando toni soft a toni strong nei confronti di Matteo Renzi. Merita solo un voto scolastico pessimo: uno e mezzo.
Finalmente accortosi che c’erano le elezioni comunali, è arrivato anche il presidente del Consiglio e segretario del Partito democratico, a presentare il suo candidato in diverse città, soprattutto a Milano e a Roma. Nella capitale si è improvvisato presentatore del “futuro sindaco” Roberto Giachetti, ma è stato l’impegno di una sera, perché Renzi è sempre concentrato sul referendum che “cambierà l’Italia”, sui dati economici che uno tira di qua e uno tira di là, sulle tasse che non si capisce se salgono o se scendono, sulla crescita e la mitica “uscita dal tunnel”, sugli 80 euro che sono da dare e per alcuni da restituire.
Sarà bravissimo, spigliatissimo, gran comunicatore e politico a tutto tondo, ma a uno della mia vecchia generazione assomiglia tanto a Odoardo Spadaro, grande uomo di spettacolo del dopoguerra, che cantava “La porti un bacione a Firenze” ed ebbe un tardo riconoscimento da Pietro Germi nel suo Divorzio all’italiana, nella parte di un padre degenerato dell’interprete principale (Marcello Mastroianni). Scusi, il nostro primo ministro, ma in complesso merita un tre e mezzo.
In una delle ultime trasmissioni televisive è comparso anche l’ex premier Mario Monti, l’uomo “dall’allegria sfrenata”, grande guardia giurata dell’austerità, l’uomo che a chi gli faceva notare che in Grecia, per la crisi, c’erano molti suicidi, rispose: in Italia ce ne sono di meno. Voto: zero.
In questo periodo, o meglio in questo quarto di secolo, in Italia se ne sono sentite di tutti colori. Lasciamo perdere il folklore di Grillo e compagni e veniamo all’intervista rilasciata a Il Fatto Quotidiano dalla bella, elegante e distaccata pentastellata candidata al Campidoglio, Virginia Raggi. Una pagina intera per capire, in quanto a programmi, che la bella signora in questi giorni dorme solo cinque ore per notte, ma sta bene. Voto: meno 15, secondo il vecchio metodo del professor Pasini, grande insegnante di greco al “Manzoni” di Milano.
Poi c’è Matteo Salvini, giovane e pimpante segretario della Lega, che deve essere un cultore del film Ossessione, ma probabilmente non quello di Luchino Visconti, versione italiana del Postino suona sempre due volte, bensì un racconto sulla paranoia ossessiva verso i migranti e i Rom. E’ vero che si vive in un periodo di migrazione epocale, di cambiamenti biblici e in un angolo del mondo dove si potrebbe governare con toni civili un fatto drammatico e ormai tragico di questo tipo. Un’emergenza mondiale da risolvere senza forzare continuamente e con grande realismo, per non spaccare in due un tessuto sociale fragilissimo. Il modo con cui Salvini affronta questo problema è quello tipico degli “elefanti in una cristalleria” e lo mette tra i “senza valutazione“, perché proprio non la meritano.
La classe dirigente di questa seconda o terza repubblica, che ha sostituito la brutta “prima repubblica”, è questa cagnara da ballatoio, che getta sconforto, che spiazza tutti i teorici della politica moderna, da Gaetano Mosca a Vilfredo Pareto, da Max Weber a Robert Michels. Forse i più moderni, come Christopher Lasch, hanno compreso dove si andava a finire.
Tutto questo è un dramma della democrazia che occorre risolvere, prima che sia troppo tardi.
E’ vero che il problema di fondo è il “colpo” degli stock-optionisti, dei gestori della finanza di plastica che hanno sostituito i politici, che hanno imposto l’ideologia di un liberismo, anzi di un privatismo senza regole. Ma probabilmente è ormai un’ideologia dal respiro affannato, difficile, maturo per cadere fragorosamente. Il problema sono i contraccolpi che è difficile prevedere, le vie d’uscita che occorre prendere.
La difficoltà di questo dramma democratico che si avverte in Italia, ma anche altrove, fa comprendere perché anche l’articolazione democratica di una partecipazione all’elezione di rappresentanze di assemblee cittadine, una delle più antiche conquiste democratiche, diventi un fastidio.
Cercando quindi di guardare oltre la “crisi politica di rappresentanza”, si pone adesso il problema di come ricostruire e selezionare una classe dirigente nei prossimi anni.
Quando ognuno faceva il suo mestiere, era assicurata una funzionalità che garantiva almeno la salvaguardia, anche in Italia, di una stabilità politica (nonostante il cambiamento continuo dei governi) e una distribuzione della ricchezza in modo più equo, con la possibilità di una rappresentanza che aveva sempre un peso determinante nelle scelte del Paese.
Gli uomini che stavano nella Mediobanca voluta da Raffaele Mattioli e guidata da Enrico Cuccia crescevano su letture di prima scelta. Tra queste Elogio dell’uomo politico dello scozzese Frederick S .Olver. Erano grandi finanzieri, “gnomi” che si muovevano con abilità sui mercati, ma guardavano sempre alla tenuta del sistema. Si tenevano lontani dai politici, ma osservavano attentamente la classe dirigente che prendeva le grandi scelte e alla fine avevano una grande competenza politica. Alla fine uomini di finanza e uomini politici diventavano complementari, in costante sinergia per la ricerca di soluzioni, con il primato politico sempre assicurato.
Non è un caso che nella formazione della classe dirigente si potevano vedere autentiche “scuole”: i partiti, i sindacati, la Chiesa attraverso le sue associazioni laiche, l’Ufficio Studi della Banca Commerciale Italiana e anche le associazioni studentesche universitarie, dove la competenza di settore cercava di diventare visione complessiva.
Tutto questo appare superato e probabilmente è irripetibile. Ma non si può lasciare il vuoto, occorre immaginare un ricambio adatto e funzionale. Perché il vuoto in politica non esiste e se non ci si pensa al più presto, dopo la stagione della finanza sintetica, potrebbe seguire qualche cosa di peggio. Non sarebbe ora di pensarci con un minimo di serietà evitando di demonizzare solo la politica per pura convenienza di potere?