“Le grandi città sono diventate delle incubatrici nelle quali covano insoddisfazione, disaffezione e ribellione. Tutte le vecchie appartenenze basate su schemi sociali e orientamenti politici consolidati oggi sono andate in frantumi. Proprio per questa disgregazione in atto il giudizio alle elezioni comunali non è sui candidati sindaci, ma sul governo del Paese”. Lo evidenzia Rino Formica, ex ministro del Lavoro e per due volte ministro delle Finanze. Venerdì il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, nel giorno di chiusura della campagna elettorale ha cercato di gettare acqua sul fuoco: “Come abbiamo detto in tutte le salse non è un voto sul governo, ma sicuramente è molto importante per scegliere il futuro della propria città. Ci vogliono sindaci onesti, capaci di tappare le buche, ma anche di dare un orizzonte alle proprie comunità. Il Pd ha messo in campo molti candidati autorevoli”.



Chi ha più da perdere in queste elezioni comunali? Renzi, Salvini, Berlusconi o Grillo?

Non si tratta di vedere chi perde ma chi vince, cioè chi nel prossimo futuro imporrà un mutamento alle condizioni generali della nostra politica. Chi vincerà saranno gli astenuti. Renzi ha detto che queste elezioni non riguardano il governo ma soltanto i sindaci, ma non è così. Di qui a luglio o agosto gli italiani non si ricorderanno più chi è stato eletto sindaco, ma sulla base dei livelli di astensione e delle trasmigrazioni dei consensi cercheranno di capire quale sarà il futuro del Paese. Chiedersi quindi chi vince e chi perde tra i partiti politici in campo è una domanda che appartiene a schemi passati. Il fatto più indecifrabile e impressionante comunque è il fenomeno dell’astensionismo.

Dove andrà a incidere questo fenomeno?

Una volta si diceva che i signori votano tutti i giorni, i poveri una volta ogni cinque anni. Allora si capiva che la partecipazione al voto dei deboli e degli indifesi era molto più importante. Infatti le astensioni non erano nei ceti popolari, bensì in quelli benestanti. Il fenomeno nuovo cui assistiamo oggi è che nelle classi povere e nello stesso ceto medio c’è una disaffezione al voto. Viene così meno la base materiale che dovrebbe garantire solidità alla vita democratica, e ciò può portare a degli effetti imprevedibili.

Quale fase stanno attraversando gli attuali partiti?

All’interno delle forze politiche esistenti è in corso uno scontro per il ricambio delle guide interne. Questo vale per Pd, Forza Italia, M5s e per le stesse formazioni minori. C’è un esaurirsi delle guide politiche di questi ultimi 20 anni. All’interno di classi di partito più o meno disastrate, è in corso una ricerca di dirigenti o di guide nuove e soprattutto di orientamenti politici innovativi.

Quali tendenze emergeranno dalle grandi città?

Le città sono diventate delle grandi incubatrici nelle quali covano insoddisfazione, disaffezione e ribellione. Tutte le vecchie appartenenze basate su schemi sociali e orientamenti politici consolidati, oggi sono andate in frantumi.

Con quali conseguenze?

Nei Comuni si vive il condensarsi di tutte le tragedie di un territorio: disoccupazione, immigrazione, sicurezza, lavoro e scuola. Ogni Comune è un laboratorio a sé, che deve selezionare situazioni che sono conseguenza del contesto nazionale. I problemi delle grandi città oggi sono ancora più gravi di quelli amministrati da piccoli Comuni. Le città sono diventate la giungla, dove la frantumazione del voto è la conseguenza di una frantumazione sociale e umana. Proprio per questa disgregazione il giudizio alle amministrative non è sul candidato sindaco, ma sul governo del Paese.

 

Ma allora perché Renzi ha ribadito che quello delle Comunali non è un voto politico sul governo?

Quando Renzi dice che le Comunali non gli interessano perché riguardano i sindaci, è come se una squadra di calcio volesse fare credere che le partite fuoricasa non contano per il campionato. Il premier fa queste affermazioni perché si è aperto il ciclo finale della sua vita politica, che si gioca in amministrative, referendum e congresso del Pd. In quest’ultima tornata però o Renzi non ci sarà, se sconfitto al referendum, o per lui sarà una passeggiata militare, se ne uscirà vincitore.

 

Nel 2011 la sconfitta di Letizia Moratti a Milano accelerò la caduta di Berlusconi. Potrebbe accadere lo stesso a Renzi dopo il 5 giugno?

Dopo cinque anni la situazione che c’era nel 2011 si è molto aggravata sia dal punto di vista nazionale sia sotto quello del contesto globale. Questo governo è assolutamente assente nel prevedere l’evoluzione della situazione internazionale. Per esempio manca un piano del nostro governo per difendere gli interessi italiani nel caso in cui il referendum porti all’uscita del Regno Unito dall’Ue. Germania e Francia se ne stanno occupando, mentre l’Italia non ha fatto sapere di stare facendo nulla del genere.

 

(Pietro Vernizzi)