Tanti risultati diversi, a partire dal dato delle astensioni. I votanti sono stati in calo ovunque — seppure in misura inferiore a quanto previsto — ma non a Roma, mentre a Bologna è stato più accentuato che in altre situazioni. Molti saranno i ballottaggi in cui si tornerà a votare, a dimostrazione che non ci sono orientamenti netti e forti (tra le maggiori città, solo a Cagliari Zedda è stato eletto al primo turno). I ballottaggi, inoltre, saranno imperniati su confronti tra forze diverse tra loro di città in città: Pd/5 Stelle, Pd/Centro-destra, Sinistra/Centro-destra, eccetera.
Il Pd ha mostrato segni di debolezza o deluso — per esempio a Torino e a Bologna — ma comunque è al ballottaggio in quattro capoluoghi di regione su cinque (e prevale in moltissimi dei 1324 comuni in cui si è votato). Si fa sentire con forza il Movimento 5 Stelle a Roma e Torino, ma altrove è marginale o, più spesso, assente. Il centro-destra ottiene un buon risultato a Milano dove si presenta unito, ma altrove è diviso e irrilevante. A Roma il candidato sostenuto da Berlusconi è arrivato quarto, mentre la candidata di Lega e Forza Italia ha ottenuto un buon risultato, ma a Milano Forza Italia è andata molto meglio della Lega. E così via.
Tutti, insomma, hanno i loro problemi, anche se — caso per caso — è possibile individuare vincitori e sconfitti. Il risultato di tante elezioni amministrative diverse non è proiettabile su scala nazionale. Ma queste elezioni rivelano un malessere che è diffuso in tutt’Italia. Tale malessere si chiama frammentazione. Viene da lontano. Nelle prime elezioni della Repubblica — il 2 giugno 1946 — i democristiani presero il 35%, i socialisti il 21%, i comunisti il 19% e gli altri percentuali molto più piccole. Poi è venuta la guerra fredda, la Chiesa si è fortemente impegnata, la Dc ha raggiunto quasi il 50% dei voti; tuttavia la frammentazione è stata contrastata, ma è rimasta in modo sotterraneo.
Molti anni dopo, nel 1994, scomparsi i partiti del dopoguerra, la formazione più grande, Forza Italia, ha raggiunto solo il 21% dei voti… Nel 2013, altro sconvolgimento con il maggior partito che arriva solo intorno al 25%, eccetera. La frammentazione è stata mascherata prima da bipolarismo della guerra fredda e poi da bipolarismo imposto dalle leggi elettorali (prima il Mattarellum e poi il Porcellum). Ma resta il dato di fondo della politica italiana (e oggi sta diffondendosi sempre di più anche in altri paesi europei, erodendo la forza dei partiti tradizionali dall’Inghilterra alla Spagna, dalla Germania all’Austria). Il bipolarismo, perciò, è stato in Italia più apparente che reale e ora sta emergendo sempre più un tripolarismo che tende a diventare quadripolarismo o altro ancora.
Tra quindici giorni, ai ballottaggi, le città ancora senza sindaco faranno la loro scelta. Sarà chiaro chi governerà i comuni italiani, grandi e piccoli. Si farà anche un bilancio definitivo delle vittorie e delle sconfitte di questo o quel partito.
Ma anche tale bilancio definitivo non darà indicazioni nette. E’ ad esempio possibile, anche se improbabile, che il Pd perda ovunque è arrivato al ballottaggio, da Torino a Bologna, da Milano a Roma. Ma se ciò avvenisse non sarebbe perché si impone un’alternativa forte, radicata e diffusa, ma per alleanze occasionali e strumentali fra tanti — diversissimi tra loro — contro il più forte.
E’ questo il tema in discussione nei prossimi giorni ed è un problema che ha una proiezione nazionale. Fino a pochi giorni fa, che l’Italicum potesse favorire i 5 Stelle era una ipotesi di scuola, oggi è una possibilità. Anche se ciò accadesse, però, non si tratterebbe della vittoria di una forza politica veramente alternativa al Pd, bensì di una saldatura eterogenea contro questo partito, abbastanza grande per diventare il bersaglio degli altri ma non abbastanza forte per governare stabilmente. L’eterogeneità, infatti, è il destino obbligato che scaturisce dalla frammentazione.