Il vero contraccolpo per Matteo Renzi è arrivato da Napoli. Forse in pochi lo hanno sottolineato, assorbiti dalle analisi più generali sul voto delle amministrative, con le partite in corso di Roma e Milano, con le parziali sorprese di Bologna e Torino, disabituate al ballottaggio. Ma non raggiungere nemmeno il confronto finale, essere esclusi dal ballottaggio, essere battuti anche dal “riciclato” Gianni Lettieri, diventando un partito quasi marginale, in una città che è la capitale del sud e che sembra completamente in mano a Luigi de Magistris, personaggio che interpreta tutti i caratteri dell’anti-sistema, è un fatto spiacevole, un risultato che il segretario del Pd proprio non si aspettava. Anche perché lì Renzi aveva scelto, di fatto, il suo candidato, Valeria Valente, che è uscita con le ossa rotte dalle urne e che ora attende il commissariamento della federazione napoletana. A mettere in risalto questo aspetto è Stefano Folli, analista politico di grande esperienza, ex direttore del Corriere della Sera, attuale editorialista di Repubblica.
Scusi Folli, a suo parere Renzi era consapevole del rischio Napoli?
Sì, credo che ne fosse consapevole, ma sperava che andasse diversamente. Del resto sapeva benissimo che la tornata elettorale di queste amministrative non era affatto facile. Francamente non ho compreso perché abbia quasi snobbato, per molto tempo, queste elezioni per inserirsi subito nella campagna referendaria di ottobre sulle riforme costituzionali.
Quello è l’appuntamento che lui ritiene decisivo.
“Non voglio mettere in dubbio questo, ma il presidente del Consiglio, che è anche segretario del Pd, non può trattare le elezioni dei sindaci come una consultazione di serie B. Un errore, che io credo sia dovuto in parte al suo temperamento. E poi alla sua idea di nuova politica, dove il partito viene dopo la figura del leader.
Certamente, in questa occasione, Matteo Renzi non ha dato l’immagine del leader che è sempre in ascesa, destinato ai grandi mutamenti.
Non c’è dubbio che questi risultati siano il segno di un passaggio complicato, per alcuni versi anche difficile. Tuttavia non mi pare che qualcosa sia già compromesso. Come ci insegnano gli osservatori dei sistemi elettorali, i ballottaggi sono tutta un’altra storia, una partita che comincia da capo. Un’altra partita, dove anche chi al momento ha meno voti può far valere le sue chances.
Resta il punto centrale della questione che, per ora, non esistono alternative al leader del Pd e presidente del Consiglio.
Al momento questo è vero; come è anche vero che però, a lungo andare, le alternative si trovano, si creano. Matteo Renzi dovrebbe fare più attenzione a come si muove. E’ ancora al centro di una situazione che è tutto sommato stabile, può parlare di una delusione contenuta, ma io mi chiedo perché non cerchi di ricucire le divisioni che si sono create nel suo partito. Perché non cerchi almeno di stabilire una dialettica costruttiva, che non allontani al momento del voto persone che non si riconoscono con la sua politica ma soprattutto con le sue dichiarazioni perentorie.
Ma Renzi ha un po’ abituato tutti a muoversi tra contrapposizioni dure. Questo avviene anche nel partito, dove dovrebbe guadagnare posizioni nuove, magari al centro e nella destra moderata, ma non perdere tante posizioni a sinistra.
Questo dovrebbe essere il suo compito e a questa azione che tende a unificare, pur volendo cambiare, dovrebbe tendere il leader del Pd. Ma sinora questo non sembra riuscirgli. Alla fine anche i riferimenti alla tradizione da cui discende il Pd, come il monocameralismo attribuito a Berlinguer, Ingrao e la Jotti, è apparso stonato, troppo interessato ed episodico. Non è questa la strada che, a mio parere, deve battere all’interno del partito.
Lei si aspetta un cambiamento di linea, una visione più unificante del Pd?
Credo che sia nell’interesse di Renzi fare questa scelta. Ripeto: al momento non mi pare che ci siano alternative, ma alla fine anche queste si creano. Da un punto di vista politico, fatte le analisi di rito, quelle attuali e quelle che si faranno dopo il risultato dei ballottaggi, la situazione politica mi pare ancora complessivamente stabile.
C’è indubbiamente una crescita del Movimento 5 Stelle.
Certo, ma non mi sembra una crescita che al momento possa modificare gli equilibri politici. A Roma ci si aspettava quello che è accaduto e la sorpresa può essere rappresentata da Torino. Ma, ripeto, complessivamente, non mi pare che ci possa essere uno sconvolgimento.
Lei vede altri problemi sul cammino di Renzi e di questo governo?
E’ evidente che ci sarà una campagna sul referendum di ottobre che sarà accesa, ricca di divisioni. Qui, ripeto, tocca al leader del Pd trovare elementi unificanti a cominciare dall’interno del proprio partito. Per ritrovare un po’ più di compattezza, meno elementi di divisione. Ma ci sono altre insidie a cui bisognerebbe fare attenzione in un momento come questo.
A che cosa si riferisce Folli?
E’ inutile girare intorno al problema. Le incognite per la situazione economica restano tutte. Inutile negare che si viva in uno stato di malessere generale. E questo alla fine pesa moltissimo sulle scelte delle persone. In definitiva, al di là dei colpi di scena, dei risultati elettorali, che pure hanno un peso, sarà il quadro economico a decidere sulla tenuta complessiva del Paese e del governo.
(Gianluigi Da Rold)