Aveva minacciato lanciafiamme, dimissioni e elezioni anticipate, ma dopo il colloquio con il capo dello Stato Matteo Renzi accetta di trattare: l’Italicum si può modificare e il referendum si potrebbe spacchettare.
La destabilizzazione di Renzi dipende dal fatto che il Pd del 2014 al 41 per cento, dopo le elezioni del 5-19 giugno, non c’è più e, di conseguenza, ciò che è stato costruito in questi due anni ritenendo quel risultato irreversibile (e aumentabile) — in particolare: legge elettorale con premio alla lista di partito e maggioranza senza Berlusconi garantendo ai transfughi la rielezione — non ha più un aspetto marmoreo.
Per la prima volta nella storia dell’Italia repubblicana la maggioranza di governo non ha riscontro nel voto delle principali aree metropolitane: la coalizione che regge Renzi a Palazzo Chigi nelle grandi città o è sconfitta o è inesistente.
La sera del 19 giugno — da Napoli a Roma e Torino — la vittoria di de Magistris, Raggi e Appendino disegnava una “piazza greca”. Il Pd reggeva a Milano e a Bologna solo grazie all’apporto di chi è all’opposizione del governo in Parlamento (i bolognesi di Sel e la sinistra di Basilio Rizzo a Milano) e del segretario del Pd nel partito (la sinistra di Pisapia e Majorino a Palazzo Marino e il sindaco bersaniano appoggiato dalla lista prodiana a Bologna).
A ciò si aggiunge l’indebolimento dell’architettura bipolare di Renzi (che è alla base dell’Italicum e di come in questi due anni il Pd si è mosso in Parlamento con maggioranze variabili). E’ cioè emerso il fenomeno di massa di un elettorato estremista di destra (Lega e Fratelli d’Italia) capace di votare per i candidati Cinque Stelle. Il Pd rischia di perdere una posizione di “centralità tolemaica” e nel segreto dell’urna si assiste a una “rivoluzione copernicana” che vede gli estremismi di destra e di sinistra allearsi per batterlo. L’Italicum è diventato quindi un gioco d’azzardo (“O la va o la spacca”) e l’establishment che sostiene Renzi (come l’editore Carlo De Benedetti) ne chiede la modifica e non è più disposto a seguire il premier a occhi chiusi.
Lo stato di fibrillazione è inevitabile: mentre alle europee del 2014 Renzi era il doppio di Grillo, ora sono a pari merito. Quanti posti è in grado di garantire Renzi agli alleati nel prossimo Parlamento? I conti sono presto fatti dai diretti interessati, i voti di fiducia diventano più costosi e a rischio e si riaprono le porte di Arcore.
La caduta del progetto di fare del Pd il cosiddetto “Partito della Nazione” con oltre il 40 per cento è dovuta anche alla rottura del “patto del Nazareno”. L’alleanza “istituzionale” con Berlusconi in un quadro di crisi del centro-destra facilitava un travaso di voti dall’elettorato moderato a favore del “rottamatore” per contrastare l’irrompere di Beppe Grillo.
La “narrazione” di Renzi si è ora interrotta o comunque appare invecchiata. La Boschi che recita la parte della “società civile acqua e sapone” è spesso percepita come un’astuta donna di potere; la Mogherini “generazione Erasmus” contro gli euroburocrati è per molti un commissario Ue che non ha fatto molto per l’Italia e che ora vuol fare carriera all’Onu; i bonus da 80 e 500 euro presentati come taglio delle tasse e rilancio dei consumi sono per i crescenti “gufi” un classico esempio di “helicopter money” con effetto macro pari a zero; Raffaele Cantone come “autorità anticorruzione” è stato smontato dalla Procura di Milano. La questione morale da Berlinguer a Grillo passando per Renzi appare infatti sempre più un concorso di bellezza autogestito dove il concorrente fa anche il giudice e si proclama vincitore in partenza.
Ora per sollecitare il voto a favore della riforma costituzionale Matteo Renzi mette al centro la diminuzione dei senatori: “Se vince il Sì ci saranno meno politici”. E’ da vedere quanto sia convincente. Se il problema centrale della politica italiana è “far fuori i politici”, l’ultimo dei Cinque Stelle può essere più credibile di chi è a capo del più grosso partito politico e da anni è a Palazzo Chigi a capo di una coalizione di partitini e di transfughi.
Se si crede che la politica sia essenzialmente un problema di comunicazione e che la partita si giochi a colpi di twitter alla fine vince la Casaleggio Associati.