“Lo spacchettamento è un trucchetto che serve a Renzi per rimandare il referendum costituzionale all’autunno 2017. Il premier sa che perderà e vuole buttare la palla in tribuna”. E’ l’analisi di Roberto Calderoli, senatore della Lega nord, vicepresidente di Palazzo Madama ed ex ministro per le Riforme istituzionali. I radicali hanno presentato la richiesta di dividere il referendum costituzionale in cinque blocchi di domande, anziché in una sola che confermi o respinga la riforma. Resta però un punto interrogativo sul fatto che la Corte costituzionale possa ammettere o meno lo spacchettamento.



Gentiloni ha detto alla BBC che se vince il No al referendum, Renzi non se ne andrà. Il presidente del Consiglio sta mettendo le mani avanti?

Mi sembra che di mani avanti ne abbia messe un po’ tante. La prima volta Renzi dichiarò che se la riforma fosse stata bocciata, si sarebbe ritirato dalla vita politica. Quindi ha affermato che si sarebbe dimesso da presidente del Consiglio. Poi ha detto che ne avrebbe tratte le conseguenze, parlando addirittura di scioglimento delle camere, cosa che non è nelle sue prerogative in quanto spetta al presidente della Repubblica. Adesso arriva questa novità: non si dimette neanche da presidente del Consiglio. Viva la coerenza!



Renzi fa così perché sa di non avere più i numeri?

Basta andare in giro tra la gente, anziché ascoltare Confindustria e i vari mondi associativi al servizio del governo, per capire che il comune sentire degli italiani è quello di bocciare la riforma costituzionale. Questo ancor di più da quando c’è stata la personalizzazione di Renzi, che ha affermato che era un voto su di lui e sul suo governo.

Adesso si parla di un’ipotesi di spacchettamento del referendum…

E’ evidente che questo mettere avanti le mani da parte di Renzi prefigura una vittoria del No. Inizialmente il premier aveva parlato del 2 ottobre, che sarebbe stato il giorno della tempesta perfetta perché è proprio la data in cui l’Austria voterà il suo nuovo presidente. Adesso il discorso sullo spacchettamento è finalizzato a spostare sempre più in là la data del referendum.



Lo spacchettamento è costituzionale?

Fino a oggi le quattro richieste presentate da alcuni gruppi di parlamentari prevedono un unico quesito referendario sulla riforma complessiva, come previsto dall’articolo 138 della Costituzione. Al contrario l’articolo 75 sul referendum abrogativo specifica che il voto è finalizzato all’abrogazione totale o parziale della legge. Se quindi i padri costituenti avessero voluto uno spacchettamento, avrebbero riportato la stessa dicitura dell’articolo 75.

Che cosa accadrebbe se si chiedesse uno spacchettamento?

Gli unici che hanno presentato questo quesito sono stati i radicali, i quali però non hanno ancora le 500mila firme che andrebbero raccolte entro venerdì. Anzi non si sono ancora visti neanche i banchetti. Benedetto Della Vedova, membro del governo, ha proposto che la stessa richiesta sia presentata attraverso la sottoscrizione dei parlamentari. E’ infatti sufficiente il 20 per cento dei membri della Camera o del Senato. La Cassazione dovrà così riunirsi il 16 agosto per rispondere che non è possibile lo spacchettamento, e questo consentirebbe ai presentatori della richiesta di ricorrere alla Corte costituzionale.

 

Questo dilaterebbe i tempi?

Esattamente. A questo punto non si andrà più a votare nell’autunno 2016, perché prima che arrivi la risposta della Corte bisognerà aspettare l’autunno 2017. Renzi sa che in questo momento il referendum è perdente, e probabilmente vuole utilizzare la legge di stabilità per metterci un po’ di marchette in modo da raccogliere consenso. Dopo di che piuttosto che una sconfitta certa a termini brevi, è meglio buttare la palla in tribuna, e poi si vedrà.

 

Renzi ha anche detto che se il Parlamento vuole cambiare la legge elettorale, è libero di farlo. Vi state già muovendo in questa direzione?

Ci vuole ben altro che una modifica parziale all’Italicum. Quest’ultimo è nato per eleggere un soggetto come il sindaco o il deputato, e non invece un organo costituzionale come la Camera. Non c’è nessun Paese al mondo dove ciò avvienga in questo modo.

 

Quali sono le conseguenze?

Un partito del 20 per cento potrebbe prendere 340 deputati. L’errore di avere ridotto il numero dei senatori crea un totale squilibrio nel Parlamento riunito in seduta comune per l’elezione del presidente della Repubblica e degli organi di garanzia. Con un paio di trucchetti un unico partito potrebbe raggiungere 438 tra deputati e senatori e prendersi il presidente della Repubblica. Quest’ultimo poi nomina cinque membri della Corte costituzionale. Dei cinque membri eletti dal Parlamento, quattro andrebbero alla maggioranza. Quello stesso partito prenderebbe inoltre un terzo dei membri del Csm.

 

Insomma chi vince il ballottaggio ha in mano tutte le istituzioni?

Proprio così. Ci sarebbe un totale controllo di tutti gli organi da parte del segretario del partito, e sarebbe quindi un vero e proprio regime. E’ per questo che non è sufficiente cambiare la legge elettorale. Renzi usa questa ipotesi per rendere meno aspra la battaglia da parte di Ncd e di altre forze, che sono più interessate alla propria sopravvivenza piuttosto che al sistema dei pesi e contrappesi che deve esserci in una Costituzione.

 

(Pietro Vernizzi)