“Il nostro Sì al referendum costituzionale è vincolato all’approvazione della legge applicativa sulla modalità di scelta dei senatori e all’elaborazione di una nuova legge elettorale che non sia l’Italicum. Il modello che noi preferiamo è quello del doppio turno alla francese”. Lo rimarca Federico Fornaro, senatore della minoranza Pd, in una fase in cui Italicum e riforma costituzionale tornano a dividere il partito. Massimo D’Alema è giunto ad annunciare che voterà No al referendum, altri più cauti si limitano a chiedere modifiche alla legge elettorale. Lo stesso Pierluigi Bersani, intervistato dal tedesco Die Zeit, ha detto: “Nessuno vuole che Matteo Renzi lasci, il governo non rischia”.



Senatore Fornaro, come voterete al referendum costituzionale?

In Parlamento la minoranza Pd ha votato la riforma costituzionale ma non l’Italicum. Noi siamo fermi agli atti parlamentari e alle richieste che abbiamo fatto alla segreteria del partito. Chiediamo che la legge elettorale sia modificata e che si condivida una legge per l’elezione diretta dei senatori. Su questo a gennaio abbiamo presentato pubblicamente la nostra proposta di legge, che il giorno delle elezioni regionali consentirebbe ai cittadini di scegliere anche il proprio senatore. Siamo in attesa che da questo punto di vista ci sia un pronunciamento.



Perché mette insieme referendum e Italicum, quando nella realtà sono due cose distinte?

Perché nel momento in cui la campagna per il Sì tiene insieme Italicum e riforma costituzionale, come risulta dall’impostazione di queste prime settimane, è evidente che c’è un problema. Noi non condividiamo il combinato disposto di Italicum e riforma costituzionale.

Quindi se non cambia l’Italicum voi voterete No al referendum?

Questo lo vedremo. La speranza è che ci sia un’apertura reale da parte della maggioranza, perché se si vuole vincere l’obiettivo è arrivare al referendum con un Partito democratico unito.



Può spiegare meglio la questione dell’elettività dei senatori?

A Palazzo Madama noi abbiamo votato un emendamento che prevedeva una legge attuativa in merito al passaggio secondo cui i senatori devono essere eletti dal consiglio regionale in conformità con la volontà dei cittadini. Noi abbiamo votato la riforma costituzionale perché siamo riusciti a ottenere quell’elemento che consente l’elettività sia pure parziale del Senato. Se l’elettività non c’è e noi siamo stati presi in giro, è evidente che a quel punto ciascuno di noi diventa libero di fare le proprie scelte.

L’ipotesi dello spacchettamento è utilizzata anche per consentire a Renzi di rimandare tutto di un anno?

Non credo che lo spacchettamento raggiungerà il numero di firme necessario. Poteva essere una soluzione se fosse stata impostata fin dall’inizio, adesso mi sembra una scelta pasticciata che arriva troppo in ritardo.

Lei ha detto che vuole cambiare l’Italicum. Come vi state muovendo per farlo?

Le dichiarazioni di volontà di modifica dell’Italicum sono ampie e trasversali. Quello che chiediamo in questa fase è che il segretario del Pd non si ponga come uno spettatore, con la battuta: “Se c’è una maggioranza si manifesti”. Il presidente del Consiglio è anche segretario del principale partito del Paese, a lui rispondono i gruppi parlamentari più grandi. Se il Pd vuole cambiare l’Italicum deve prendere una sua iniziativa forte, e la scelta migliore sarebbe quella di ripensare una nuova legge elettorale.

 

Voi che cosa state facendo in concreto?

Noi stiamo lavorando a una proposta per modificare la legge elettorale che presenteremo nelle prossime settimane.

 

Con quali caratteristiche?

Riuscire ad avere un migliore equilibrio tra governabilità e rappresentanza, ritornando ad avere un maggiore rapporto tra eletto ed elettore e una migliore rappresentanza dei territori.

 

Basta introdurre le preferenze o va proprio cambiata la legge?

Un modello così necessità di una nuova legge.

 

Meglio proporzionale o uninominale?

Il sistema migliore è il doppio turno alla francese, ma noi siamo pronti a discutere anche di altri modelli che tentino di esprimere quei tre principi che le ho indicato prima.

 

Bersani a Die Zeit ha detto: “Nessuno vuole buttare giù Renzi”. Ma allora che cosa state facendo?

Ogni tanto c’è confusione tra le azioni che fanno legittimamente le opposizioni, il cui obiettivo è quello di abbattere il governo esistente, e il nostro ruolo. Noi siamo una minoranza del partito che in questo momento ha l’onore e l’onere di governare il Paese. Riconosciamo la sconfitta che abbiamo avuto al congresso e nessuno mette in discussione la legittimità del segretario del partito.

 

Perché quindi c’è la sensazione di un conflitto permanente interno al partito?

Noi semplicemente ci limitiamo a dire quando riteniamo che ci siano scelte non condivisibili sui singoli provvedimenti e in generale sulla strategia. Dopo queste elezioni amministrative, di fronte a dichiarazioni che tendevano a negare l’evidenza dei dati, siamo stati tra quelli che hanno riconosciuto che è stata una sconfitta e che senza una correzione di rotta netta e chiara dell’azione del governo e della gestione del Pd c’è un altissimo rischio di perdere le prossime elezioni politiche.

 

(Pietro Vernizzi)

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