“Il caso Brexit mette ancora una volta in luce la prospettiva di corto respiro di Renzi, che per non dover pagare un prezzo politico preferisce allinearsi alla Merkel ed evitare di mettere in discussione gli attuali assetti europei”. Lo sottolinea Alfredo D’Attorre, deputato ex Pd e attualmente esponente di Sinistra Italiana. In questi giorni il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, sta dimostrando un attivismo diplomatico molto intenso sul fronte europeo.



Che cosa vuole ottenere Renzi con questo nuovo attivismo sul fronte europeo?

Trovo anche comprensibile che Renzi abbia rinviato una riunione di partito all’indomani della Brexit. E’ del resto normale che il capo del governo di uno dei principali Paesi dell’Eurozona possa e debba rafforzare i contatti con i suoi colleghi europei. Mi preoccupa piuttosto l’assenza di una linea chiara del governo. Lunedì mattina il presidente del Consiglio è intervenuto alla Camera, con molte frasi di circostanza ma poche idee chiare. In particolare non emerge una linea strategica che tenga insieme il cambiamento dell’Europa e la difesa degli interessi nazionali.



Che cosa poteva fare Renzi di fronte al referendum britannico?

La cosa grave è che finora Renzi e Hollande non abbiano giocato alcun ruolo, pur essendo i due leader socialisti alla guida dei Paesi che dovrebbero contenere lo strapotere tedesco e aprire a una battaglia per il cambiamento. Anzi Renzi e Hollande si sono messi al traino della Germania, accontentandosi di qualche concessione sul deficit. Questa linea purtroppo ha contribuito molto ad aggravare la crisi europea. Per esempio Cameron aveva cercato un’alleanza con l’Italia per evitare la nomina di Jean-Claude Juncker come capo della Commissione Ue, ma Renzi ha preferito allinearsi con la Merkel.



Da che cosa dipende il fatto che a Renzi manchi una linea europea chiara?

Dipende dal fatto che Renzi sceglie sempre una prospettiva di corto respiro, e non riesce ad avere un’impostazione strategica da statista nell’affrontare i problemi. Valuta che prendere posizione per un cambiamento radicale nella governance europea significherebbe nell’immediato affrontare dei rischi e pagare dei prezzi. Preferisce quindi l’accomodamento nell’illusione di poter galleggiare con qualche decimale in più di deficit. E la conseguenza è che oggi ci troviamo in una situazione in cui sia i problemi dell’Europa sia quelli del nostro Paese si sono incancreniti.

In concreto su quali temi Renzi poteva farsi sentire di più?

In primo luogo sulle banche. Se avessimo avuto un governo consapevole della situazione e determinato a difendere l’interesse nazionale, è evidente che il primo problema che avrebbe posto a livello europeo sarebbe stata l’inapplicabilità del bail-in senza almeno l’attivazione della garanzia europea sui depositi. Quando lo ha fatto, gli è stato detto no.

 

Renzi può dire di avere ancora in pugno almeno il suo partito?

In realtà nel Pd si sta diffondendo la convinzione che la linea renziana porti in un cul de sac. Il referendum istituzionale oggi appare una sfida fortemente a rischio per Renzi. Io sono stato sempre convinto che quella partita sarebbe stata aperta, e oggi i fatti indicano che il referendum costituzionale può davvero diventare un punto di svolta nella vicenda politica italiana. Io mi auguro che le forze del Pd che vogliono indicare una prospettiva alternativa al renzismo decidano di prendere una posizione nettamente autonoma da Renzi nella battaglia referendaria.

 

Perché allora Renzi ha iniziato la campagna elettorale per il referendum con così tanti mesi d’anticipo?

Renzi l’ha cominciata quando era convinto che la campagna sarebbe stata una passeggiata, e quindi ha utilizzato il referendum costituzionale come un diversivo sia rispetto all’inconsistenza dell’azione di governo sia rispetto alla possibile problematicità del risultato delle amministrative. E’ stata una scelta legata a una valutazione del momento, in quanto i sondaggi davano il Sì al referendum istituzionale largamente in vantaggio. Appena le persone hanno iniziato a capire un po’ di più di che cosa si tratta, il quadro si è rapidamente modificato.

 

Quali sono gli appuntamenti decisivi per la nuova Sinistra cui lei appartiene?

Sono in primo luogo il referendum costituzionale di ottobre e poi il congresso fondativo che terremo in dicembre. Con questi due passaggi noi vogliamo offrire all’Italia una nuova proposta di governo, mettendo in campo una nuova sinistra popolare di governo che sia il lievito di un nuovo polo progressista. Non quindi il vecchio centrosinistra dei vincoli europei, delle riforme strutturali suggerite dalla Bce, dell’“Europa ha sempre ragione”. Sarà piuttosto un nuovo polo progressista in grado di recuperare le tante energie democratiche sane che ci sono ancora nel Pd.

 

(Pietro Vernizzi)