L’Italicum è nudo: lontano dalla realtà della politica (“i tempi sono cambiati, è tripolare”), ieri era un dogma, ora si discute ogni giorno di come cambiarlo. A difenderlo sono rimasti i Cinque Stelle, che accusano Renzi di volerlo modificare perché ha fiutato odore di sconfitta nelle urne. Se prima esprimeva delle riserve, adesso Napolitano, padre nobile della riforma Renzi-Boschi, lo critica apertamente e suggerisce a Renzi di assumere l’iniziativa (e di farlo alla svelta). Il presidente del Consiglio, spiazzato, tace, preoccupato innanzitutto di spuntarla sulle banche. Cambiare l’Italicum dunque, ma come? In questa intervista il costituzionalista Stelio Mangiameli propone al premier una soluzione.
“Innanzitutto l’Italicum — dice Mangiameli al sussidiario — come abbiamo ormai detto tante volte, non soddisfa le condizioni poste dalla sentenza 1/2014 della Corte costituzionale e, in particolare, il profilo attinente alla soglia ‘bassa’ per l’accesso al premio di maggioranza o, nel caso specifico, per il passaggio al ballottaggio, con il quale si assegna il premio”.



Ancor prima che essere incostituzionale, il suo impianto sembra smentito dalla politica di tutti i giorni.
Ma certo. Come già il Porcellum e prima ancora il Mattarellum, è stato pensato in una logica di sistema bipolare. Giusto o sbagliato che sia, gli elettori italiani non amano l’aut-aut. Preferiscono il pluralismo politico, che è un bene anch’esso, se coniugato con la capacità di compromesso.



L’odiato compromesso, il nemico giurato di vent’anni di politica italiana.
Il termine è abusato e in parte corrotto, ma il compromesso è un termine nobile che indica capacità di mantenere le proprie idee e di saperle graduare nella realizzazione.

Graduare, dice?
Significa che gli italiani, pur mantenendo alcune opzioni politiche di una certa grandezza, un tempo partiti molto grandi, oggi partiti medi, sentono la necessità di esprimersi anche con partiti di più modeste dimensioni. Questo è un fatto. Lo trovano più rassicurante dal punto di vista della loro libertà politica. È naturale che con un sistema ormai tendenzialmente di tre partiti medi e di diversi partiti più piccoli, il tema del funzionamento del sistema politico sia legato alla formazione delle coalizioni di governo, piuttosto che — come con l’Italicum — allo stravolgimento della rappresentanza politica con premi elettorali tra il 25 per cento, nella migliore delle ipotesi, e il 35 per cento in una delle peggiori.



Da cui il suo difetto fondamentale.
Sì, quello di dare vita a governi che sono minoranza nel Paese e che perciò pongono una questione di “legittimazione”. Anche se non è il solo difetto.

Ci spieghi in che modo, agendo su quali punti, l’Italicum può diventare una legge accettabile e costituzionale.
In via di principio occorrerebbe porre la famosa soglia “bassa”; ad esempio del 30 per cento dei voti ottenuti da almeno una lista, per passare al secondo turno; altrimenti il principio di rappresentanza potrebbe essere totalmente disatteso.

E nel caso in cui nessuna forza politica ottenesse un simile risultato?
Si dovrebbe trovare la soluzione in parlamento, con un governo di responsabilità parlamentare.

Andiamo avanti, professore.

Qualora poi si dovesse dare l’ipotesi di una o più liste con più del 30 per cento dei voti, il ballottaggio dovrebbe essere aperto e non chiuso, in modo da consentire patti di coalizione davanti agli elettori, in grado di potenziare effettivamente la maggioranza.

Queste modifiche salverebbero la legge di Renzi?
No, non esaurirebbero i problemi dell’Italicum, ma per una buona parte lo ricondurrebbero costituzionalmente al principio democratico e consentirebbero di puntare alla governabilità in modo non esasperato e con quelle garanzie tra i partiti politici che mancavano nel Porcellum e persino nel Mattarellum.

In che modo si esplicherebbero queste garanzie?
Nel primo turno tutti i partiti correrebbero per loro stessi, e qui sarebbe utile una clausola di sbarramento adeguata, come quella del 4 per cento. Nel secondo turno correrebbero invece per la coalizione, ma senza la possibilità per i piccoli partiti di ricattare i partiti più grandi, come accadeva con il Mattarellum, né i partiti più piccoli avrebbero più la possibilità di condizionare negativamente la coalizione di maggioranza, dopo le elezioni, nell’attività di governo, come si dava con il Porcellum.

L’attivismo di Napolitano si è fatto più intenso. Nella sua intervista al Foglio ha mandato a Renzi segnali ben precisi, del tipo “Rispetto a quando l’Italicum è stato concepito sono cambiati i tempi”. Ovvero: stai attento, perché hai perso le amministrative… Davvero i tempi sono cambiati solo adesso?
Purtroppo non c’è stato nessun cambiamento dei tempi. È sempre stato così sin dalle elezioni del 1994, poi in quelle del 1996, del 2001, del 2006, del 2008 e, soprattutto, del 2013. Una pericolosa ottusità ideologica ha preteso di far calzare agli italiani un vestito non loro, che ha generato incertezze e confusione nel sistema politico, a partire dalla crisi del 1992. A volte gli uomini politici dovrebbero uscire dal sistema e osservarlo da lontano per comprenderne i limiti; invece, hanno pensato di risolvere il problema facendo entrare nell’agone politico i costituzionalisti; così, alla fine, né i politici, né i costituzionalisti riescono a comprendere i nodi del sistema politico.

Altre riserve di Napolitano riguardano il tripolarismo. Ma il tripolarismo c’era anche quando l’Italicum è stato concepito. Perché oggi, diversamente da ieri, il tripolarismo è diventato un problema politico?
E’ che ieri, quando l’Italicum è stato concepito, i tre partiti medi — Pd, FI e M5s — vedevano lontane le elezioni e i primi due avevano siglato il patto del Nazareno. Adesso invece le elezioni potrebbero tenersi in ogni momento e, come hanno mostrato le ultime amministrative, gli italiani sono capaci di votare al ballottaggio per contrapposizione anziché per vicinanza. Questo fa paura alle forze politiche, soprattutto a quelle di governo.

Violante sul Corriere della Sera ha criticato l’Italicum, dicendosi d’accordo con Napolitano, e aggiungendo che “le leggi elettorali sono come taxi: bisogna sapere dove bisogna andare”. Le giro la domanda: dove bisogna andare?

Le leggi elettorali sono uno strumento che dev’essere calibrato in modo appropriato sul sistema politico e, prima ancora, sul sentire degli elettori, ma conoscono anche limiti di principio: devono assicurare una competizione leale a tutti i partiti e devono cercare di offrire una rappresentazione del corpo elettorale quanto più coerente possibile.

Benissimo, ma Renzi lo sa?
Il problema oggi in Italia è quello di modificare o rifare la legge elettorale in modo da ricostituire il sistema politico che si sta lacerando sempre più e che si sta spostando su parole d’ordine di tipo populista. Purtroppo, il primo a fare questo gioco al massacro e a spingere il linguaggio pubblico verso l’antipolitica è proprio Renzi. Temo che gli si possa ritorcere contro e, da questo punto di vista, i ravvedimenti di Napolitano, come quelli di Violante, possono essere tardivi e non più utili.

Cosa dovrebbe fare Renzi? Prima cambiare l’Italicum o prima fare il referendum?
Renzi ha difficoltà serie a toccare la legge elettorale prima del referendum costituzionale. Infatti, dopo le sue dichiarazioni sulla non modificabilità assoluta dell’Italicum, corre il rischio che una sua apertura sulla legge elettorale possa gonfiare il fronte del No al referendum. D’altra parte, il fronte del No sta comunque crescendo per i malumori verso la politica del governo di questi ultimi 18 mesi e i pessimi risultati ottenuti, con stime di crescita continuamente al ribasso e in controtendenza rispetto ai Paesi Ue.

Avrebbe innanzitutto bisogno di un Pd più coeso.
Se non lo è, deve rimproverare se stesso. Anche lì ha commesso così tanti torti, che non riesce a chiudere un accordo fondamentale per salvare il governo, il partito e la sua riforma.

Sempre Violante nell’intervista citata fa quest’altra considerazione: “Chi vota Sì (al referendum, ndr) riforma un sistema di bicameralismo perfetto che gli stessi costituenti, da Calamandrei a Dossetti, criticavano e che ha funzionato finché non c’era alternativa alla Dc. Quando la situazione politica si è sbloccata, il sistema ha manifestato tutta la sua fragilità: 12 governi in 20 anni”. E’ d’accordo?
Ho già avuto modo di discutere di questo con Violante in occasione di una mia partecipazione a una pubblicazione da lui curata. Ho l’impressione che Violante, ma non solo lui, legga i lavori della Costituente e la storia repubblicana del primo periodo con gli occhi di oggi, e cioè per trovare argomenti utili a sostenere determinate posizioni odierne del tutto estranee e inimmaginabili rispetto a quel momento storico. Calamandrei era presidenzialista. Violante sarebbe per il presidenzialismo?

E quanto all’instabilità politica?
Non mi pare corretto attribuirla al bicameralismo perfetto. La società italiana era cambiata profondamente e il movimento operaio aveva acquisito una capacità politica importante alla fine degli anni 60. La democrazia era diventata più articolata e si richiedevano nuove forme di rappresentanza. Il problema di quegli anni, in cui furono approvate importanti leggi come lo Statuto dei lavoratori, non fu il bicameralismo perfetto, ma il terrorismo delle bombe e delle stragi che avvelenò la mia generazione. Violante dovrebbe ricordarselo.

(Federico Ferraù)

Leggi anche

DIETRO LE QUINTE/ Legge elettorale, i calcoli dei partiti sul "nuovo" maggioritarioLEGGE ELETTORALE/ Ecco perché il proporzionale di Conte non fa bene all'ItaliaLEGGE ELETTORALE E REFERENDUM/ Un "distanziamento" politico carico di pericoli