«Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, teme che il referendum porti a una grave spaccatura del Paese e, in caso di vittoria dei No, a una crisi politica di cui è difficile prevedere gli sviluppi. Cerca quindi di tenere tutti calmi per evitare che il voto diventi l’occasione di un rogo generale dove si brucia tutto». È l’analisi di Antonio Polito, vicedirettore ed editorialista del Corriere della Sera, dopo il discorso di Mattarella in occasione della Cerimonia del Ventaglio. Il capo dello Stato, invitando a incentrare il confronto sul merito della riforma costituzionale, ha sottolineato: “In queste settimane, a proposito della data e del cosiddetto spacchettamento, mi è parso di assistere a discussioni un po’ surreali quasi sulla scia della caccia ai Pokemon”.
Abbassando il livello dello scontro, Mattarella vuole venire incontro a Renzi?
Sono due cose differenti. Da un lato Mattarella ha ribadito l’opportunità che il dibattito referendario si svolga sui contenuti della riforma e non sulle sorti del governo. Più che un venire incontro a Renzi, ciò nasce da una preoccupazione sulla tenuta del quadro generale.
In che senso?
Più il referendum diventa una specie di “giudizio di Dio” sul governo e più le conseguenze, paradossalmente anche in caso di vittoria dei Sì, porterebbero a una spaccatura profonda del Paese. In caso di vittoria del No poi la conseguenza sarebbe l’apertura di una crisi politica di cui è difficile prevedere gli sviluppi. Mattarella cerca quindi di tenere tutti calmi, per evitare che il referendum diventi l’occasione di un rogo generale dove si brucia tutto.
A chi si riferisce il capo dello Stato quando parla di “tesi surreali”?
Quello di ieri era in discorso rivolto in modo particolare ai giornalisti. Mattarella di fatto ha invitato i media a tenere conto del fatto che ci sono dei vincoli che regolano la vita del Paese. Per esempio, ha sottolineato che la data del referendum non è fissata sulla base di valutazioni politiche, bensì dalla legge.
Non le pare comunque che Renzi stia cercando delle scuse per fissare la data più in là?
Renzi e Mattarella hanno valutato in più occasioni quali possono essere le date possibili. La data sarà decisa però quando la Corte di Cassazione avvierà il processo referendario. Peraltro la Costituzione prevede che i promotori del referendum diventino un potere costituzionale, e quindi vanno ascoltati e rispettati. Non si può decidere tutto senza il loro accordo, altrimenti possono anche sollevare un conflitto di competenze. È tutto un processo regolato dalla legge, e quindi non è nelle disponibilità del presidente del consiglio.
Renzi intanto non sta più parlando del referendum. Si è reso conto che personalizzarlo non paga?
Sì. I sondaggisti hanno spiegato a Renzi che meno lo si vede e maggiori sono le possibilità di una vittoria del Sì. È un ribaltamento totale della strategia del premier, che aveva usato il referendum come arma per limitare i danni alle elezioni amministrative. Renzi aveva lanciato ufficialmente la campagna per il referendum nel pieno della campagna elettorale per le amministrative, confondendo deliberatamente i due terreni nella convinzione che questo gli portasse voti. Siccome questo calcolo politico è andato male, il premier ha adottato una tattica diversa.
In che cosa consiste questa nuova tattica?
Per evitare di perdere la partita referendaria, Renzi ha deciso di non metterci la faccia lasciando che si svolga una discussione sul merito. È un segno delle difficoltà che sta attraversando Renzi, ma è anche una tattica saggia che riscuote l’approvazione del presidente della Repubblica.
Renzi userà la Legge di bilancio per fare delle nuove mance elettorali, così da vincere il referendum?
Alla luce dei nostri conti pubblici, sarà molto difficile distribuire bonus a scopi elettorali. Al rallentamento dell’economia globale si somma la nostra debole ripresa. Se, come sembra ormai certo, la crescita del Pil sarà inferiore a quanto previsto nel Def, bisognerà ridurre anche il deficit per non sforare i parametri europei. Ci saranno 5 miliardi in meno del previsto, e questo toglie certamente spazi di manovra a operazioni che non siano essenziali. Resta invece indispensabile l’annullamento della clausola automatica dell’aumento dell’Iva.
Secondo lei, si riuscirà quantomeno a cambiare l’Italicum prima del referendum?
Lo ritengo molto difficile, anche perché per i partiti la legge elettorale è questione di vita o di morte e quindi è difficile trovare un accordo per cambiarla. Purtroppo in Italia si è presa una brutta abitudine che anche in questo caso è stata confermata: si fanno le leggi elettorali al cambiare delle fasi politiche e in ragione dell’interesse di chi le fa.
A che cosa si riferisce?
Per esempio, il Porcellum fu fatto nell’interesse del centrodestra, che sapeva di perdere le elezioni con l’Ulivo di Prodi e quindi si inventò una gabola per rendergli la vita difficile. Allo stesso modo l’Italicum è stato fatto sull’onda del voto delle Europee, quando Renzi era convinto che il Partito della Nazione potesse arrivare al 40% prendendo così la maggioranza assoluta dei deputati al primo turno.
E adesso che ci si è resi conto che non è così?
Adesso si vuole cambiare l’Italicum perché si teme che vincano in Cinque Stelle. Ogni volta si cambia per motivi contingenti: questa è una colpa gravissima, ed è foriera di guai. Non a caso abbiamo visto qual è stata la fine del Porcellum, e temo che anche l’Italicum sarà bocciato dalla Corte costituzionale.
(Pietro Vernizzi)