SONDAGGI. I No al referendum costituzionale sono al 51,5%, mentre i Sì sono al 48,5%. Lo rivela Carlo Buttaroni, sociologo e politologo, nonché presidente di Tecnè, il quale aggiunge che il 65-70% degli italiani non ha ancora deciso come votare oppure ha già deciso di non votare. Sempre per Buttaroni, il 70% della popolazione vive l’attuale allerta terrorismo con timore. Sull’opinione pubblica esercita inoltre un forte impatto anche il caso banche, che però finora è stato sottovalutato dalla politica.



Silvio Berlusconi ha incaricato Stefano Parisi di lavorare al rilancio di Forza Italia. L’ex candidato Sindaco di Milano ha le carte per essere il nuovo leader del centrodestra?

Sicuramente ha le caratteristiche per svolgere questo ruolo. Siamo però ancora in una fase embrionale, e non soltanto perché un leader deve trovare sul campo i suoi consensi. Dal momento che Parisi dovrà rappresentare un’intera coalizione, bisognerà vedere anche come si orienteranno le altre forze politiche del centrodestra. C’è quindi ancora della strada da fare, e bisogna capire bene come si svilupperà.



Alfano ha proposto di riunire tutti i moderati senza la Lega. Quanti voti prenderebbero?

È difficile dirlo, perché operazioni di questo tipo non si basano mai su somme algebriche. Bisogna vedere per esempio se Fratelli d’Italia starà dentro oppure fuori, nonché se la nuova offerta politica dei moderati riuscirà ad attrarre una parte dell’elettorato di centrosinistra. Al momento quindi è proprio difficile definirne un peso specifico e un perimetro, mancano ancora le coordinate essenziali.

Pur nell’attuale frammentazione politica, il bacino di voti del centrodestra è ancora immutato?



Attualmente l’asse sinistra-destra è utile solo in parte a spiegare la politica, perché c’è una seconda dimensione: quella del dentro-fuori. Nel “fuori” sta M5s, ma anche una parte consistente dell’elettorato leghista, che non si sente né di sinistra né di destra né di centro, bensì si sente “altrove”. E poi soprattutto c’è l’area dell’astensionismo che in questa fase politica non va a votare, non perché non le interessi farlo, ma perché trova difficile collocarsi rispetto all’asse tradizionale “destra-sinistra”.

Nel frattempo il premier Renzi non sta più parlando del referendum. È una scelta tattica per fare vincere i Sì?

Sì, ma oltre a questa scelta tattica probabilmente c’è anche un’indicazione strategica che arriva direttamente dal Quirinale: prima va approvata la Legge di stabilità, quindi si voterà per il referendum con le conseguenze che può avere un’eventuale vittoria dei No.

Se si votasse domani chi vincerebbe?

Nell’ultima rilevazione che abbiamo fatto i No sono avanti rispetto ai Sì del 2-3%, dopo che per lungo tempo erano stati in testa i Sì. Gli indecisi e quanti hanno deciso di non votare sono intorno al 65-70%. Siamo ancora molto lontani dal voto, ed è difficile capire come andrà a finire.

 

Quanto pesa sui consensi di Renzi la vicenda delle banche?

Quella delle banche è una vicenda che probabilmente è stata sottovalutata sia dalle forze politiche, sia dal governo, ma che in realtà ha avuto effetti molto forti sull’opinione pubblica. Il problema non è essere amici dei banchieri o dei risparmiatori, perché qui entriamo nel campo delle politiche economiche. Tutto si riduce a due opzioni: l’acquisto dei debiti o la ricapitalizzazione delle banche. Quando scoppiò la crisi provocata da Lehman Brothers, negli Stati Uniti ci fu un dibattito analogo e la scelta fu orientarsi verso la ricapitalizzazione. Ciò voleva dire quasi nazionalizzare le banche, ma si scelse di non acquistare i debiti per fare pagare agli azionisti veri il prezzo della mala gestione.

 

L’altro grande tema è l’allerta terrorismo. Quanti italiani si sentono in pericolo?

Gli italiani si sentono molto in pericolo: oltre il 70% di loro vive questa fase con timore. Anche perché il terrorismo si sta giocando su due grandi direttive: quella “fisica” dello scontro militare e quella della comunicazione. In questo momento l’Isis sta perdendo sul versante militare, ma sta vincendo sul piano della comunicazione. Da questo punto di vista, nel momento in cui la gente ha paura, il terrorismo ha raggiunto il suo obiettivo.

 

L’allerta attentati rafforza le istituzioni italiane a partire dal governo?

Nella fase attuale le istituzioni non si stanno rafforzando, anzi quelle che si irrobustiscono sono le frange politiche più dure. Pensare che le istituzioni si rafforzino quando c’è il terrorismo è vero fino a un certo punto. Fu vero negli anni ’70-’80 ai tempi della strategia della tensione. È stato meno vero con le stragi mafiose dei primi anni ’90. Dipende sia dalla matrice sia dall’effetto che si vuole raggiungere con l’attentato.

 

(Pietro Vernizzi)