Trentacinque anni sono indubbiamente un buon “compleanno” o sono adatti a una buona commemorazione. Il fondatore di Repubblica, Eugenio Scalfari, ha riproposto, un paio di giorni fa, su due pagine del suo giornale parte della celebre intervista a Enrico Berlinguer, uscita il 28 luglio del 1981, sottolineando poi con alcune risposte delle considerazioni sulla svolta dell’allora segretario comunista in merito alla “questione morale” e alla cosiddetta “diversità comunista”. Scalfari fece un colpo giornalistico di grande portata, ma Berlinguer divenne nel gruppo dirigente del suo partito oggetto di critiche e di uno scontro politico che oggi il fondatore di Repubblica sembra minimizzare.



L’intervistatore domanda a Scalfari: “L’intervista sollevò polemiche anche dentro il Pci. Napolitano accusò Berlinguer di essersi lasciato andare a un atteggiamento di pura denuncia, poco costruttivo”. Scalfari se la sbriga con questa risposta: “Giorgio era “migliorista” ossia favorevole al dialogo con il partito di Craxi. E Berlinguer non era stato certo tenero con i socialisti, accusati insieme ai democristiani di aver occupato lo Stato per interessi lontani dal bene comune”. In realtà, le cose furono piuttosto più complicate e lo scontro ebbe ben altra portata e non riguardò solo il dissenso di Napolitano. Come ha scritto recentemente Ugo Finetti ne “Botteghe oscure” . “Il Pci di Berlinguer e di Napoltano”, fu il 21 agosto 1981 sull’Unità che Napolitano anticipò le critiche a Berlinguer basandosi su tre punti: funzione dei partiti, analisi della società italiana e politica di alleanze.



Poi lo scontro continuò durissimo all’interno del vertice comunista il 10 e 11 settembre del 1981 dove Berlinguer attacca Napolitano senza mezzi termini: “Un compagno della segreteria ha creduto di dover correggere una posizione presa dal segretario del Partito in una intervista. Ha portato un danno obiettivo al partito nel momento della lotta con le altre forze”. Ma la discussione è allargata e ci sono diverse contrapposizioni. Berlinguer è in maggioranza, ma ci sono altri che stanno con Napolitano. Ora, perché sono a nostro parere importanti quell’intervista e quelle dichiarazioni di Berlinguer? Perché dopo anni emerge improvvisamente un attacco indiscriminato alla partitocrazia, accusata di aver occupato tutti i posti dello Stato. E la novità fu che a muovere questo attacco non era la destra come lo era stata nell’immediato dopoguerra, ma niente meno che il segretario del Pci.



Napolitano, nell’articolo del 21 agosto sul giornale del partito metteva in guardia proprio dagli attacchi indiscriminati contro i partiti: “La nostra critica al modo d’essere, di far politica, di governare, di altri partiti è animata da una preoccupazione vivissima per lo spazio che si è aperto a tendenze “nettamente reazionarie”, come le definiva Togliatti, rivolte a mettere sotto accusa o liquidare la funzione del partito politico, per sostituirvi un sistema di gruppi di pressione”. 

Non si possono trarre delle conclusioni affrettate. Ma in questo momento, dove sono in tanti a lamentarsi per la carenza di partiti democratici ben strutturati e per l’ inesistenza della politica, ormai succube di lobbies e di gruppi di pressione, occorrerebbe chiedersi se l’attacco indiscriminato al sistema dei partiti non sia stato congeniale, una sorta di involontario via libera, a un’irruzione di forze estranee alla politica, ma interessate a governare il Paese. Certamente Berlinguer non poteva pensare a quello che sarebbe avvenuto dopo dieci anni, ma la situazione internazionale e nazionale del Pci sembravano collegate a un sfiducia storica nelle possibilità di un’affermazione del comunismo, anche per via democratica, in occidente. E’ un Enrico Berlinguer profondamente deluso per la situazione internazionale. E’ l’ultimo anno della palude brezneviana in Urss e c’è la Polonia in ebollizione, fino al colpo di stato del generale Jaruzelski. I rapporti tra Cina e Urss sono talmente compromessi che sono addirittura i cinesi a non fidarsi degli americani “perché temono che trattino sottobanco più del necessario con i sovietici”.

In politica interna, il Pci ha imboccato il suo declino dopo aver raggiunto l’apice elettorale del 1975 e 1976. Ci sarà solo un riscatto alle europee dopo la morte improvvisa del segretario comunista. Ma tutti hanno ormai compreso che è iniziato un lungo declino, nonostante dal 1978 Berlinguer abbia rinunciato all’appannaggio finanziario sovietico, abbia preferito l’ombrello della Nato e abbia cercato di sganciarsi, nei limiti del possibile, dal blocco comunista. La sua politica è stata spesso contraddittoria: compromesso storico, eurocomunismo e alternativa non hanno avuto un grande successo, con ogni tanto ricordi delle “lezioni che si devono ancora imparare da Lenin”, oppure l’attacco violento contro Giorgio Amendola nel comitato centrale del novembre del 1979 “Non conosce l’abc del marxismo”. Con Amendola, solo, che aveva criticato violentemente la politica di settarismo e di estremismo di sindacato e partito. E poi la spinosa vicenda dei missili di Comiso da contrapporre agli SS20 sovietici.

Alla fine, sembra che “prigioniero della sua funzione”, di segretario del Pci, Berlinguer preferisca ritornare alla contrapposizione dura, rifiuti una autentica svolta socialdemocratica europea e contesti interamente il sistema, con il pretesto, in questo caso, della “questione morale” e della “diversità comunista”. E’ in questo modo, all’ombra di una partita perduta e del conseguente declino del comunismo, che Berlinguer lascia comunque in eredità una concezione della repubblica dei partiti, di tutta la prima repubblica, che diventa oggetto di contestazioni sia di destra e che di sinistra. Con tutto quello che è seguito e che ha fatto da contorno. Alla fine la “questione morale” in politica non sembra risolta, ma in compenso occorrerebbe pensare a una “questione morale” nella finanza e nell’economia.