Di nuovo le correnti? Le difficoltà incontrate da Virginia Raggi per formare la giunta comunale di Roma hanno fatto parlare di “correnti” all’interno del Movimento 5 Stelle. Molte di queste difficoltà, infatti, vengono dall’interno della formazione politica di cui la neosindaca fa parte.
In attesa di decifrare più compiutamente le dinamiche interne al Movimento, va anzitutto sottolineata la distanza dalle “vecchie” correnti della Prima repubblica. Ce n’erano molte nella Democrazia cristiana, ma anche tra socialisti, socialdemocratici, repubblicani, liberali e, persino, comunisti. Erano forme di articolazione dei partiti di massa, che ne animavano il dibattito politico interno: dossettiani, fanfaniani, basisti e molti altri nella Dc; “carristi” e autonomisti nel Psi; “miglioristi” e ingraiani nel Pci, ecc.  Erano aggregazioni che esprimevano una visione ideale, elaboravano una prospettiva politica, pubblicavano riviste e tenevano convegni, esprimevano leader e svolgevano molte altre funzioni. In taluni casi, assumevano un ruolo fortemente autonomo, come nel caso della corrente di Base, che è sopravvissuta alla fine della Dc e si è sciolta solo successivamente. In genere, avevano un forte radicamento nel territorio: i dorotei erano forti in Veneto e in Campania, la Base a Milano e ad Avellino, Forze Nuove a Torino, mentre tavianei e andreottiani erano presenti rispettivamente solo in Liguria e nel Lazio. Unica vera eccezione erano i morotei, una sorta “corrente di opinione” (che però aveva molti seguaci in Puglia). Naturalmente, le correnti erano anche strutture di potere che controllavano pacchetti di tessere decisivi in fase congressuale. Poi venne il declino e le correnti si intrecciarono con vicende di corruzione, come la Sinistra socialista, ribattezzata “Sinistra ferroviaria” per alcuni legami di troppo con le Ferrovie dello Stato.   
I grillini appaiono molto lontani dalle correnti della Prima repubblica, come lo sono dai partiti in cui queste si sviluppavano. L’impasse emersa a Roma dopo le elezioni mostra la difficoltà che incontra il M5s in una questione cruciale cui viceversa partiti e correnti del passato dedicavano molte energie: la selezione di una nuova classe dirigente. Nel confronto elettorale o quando si è all’opposizione la formula “uno vale uno” suona bene (seppure con qualche eccezione: la candidata 5 Stelle di Milano “rottamata” anzitempo per un aspetto fisico poco funzionale alla propaganda). Ma quando si deve governare una città grande e difficile come Roma non è più vero che “uno vale uno”: servono persone preparate, con competenze specifiche, reti di relazioni ecc. Sono perciò necessarie dinamiche che facciano emergere queste doti e cioè formazioni politiche in grado di selezionare i “migliori” o, almeno, quelli che si ritengono tali. Ma tale selezione urta contro l’ideologia dei 5 Stelle, contestatori della democrazia rappresentativa che si basa sulla ricerca dei “migliori” o almeno di quelli in grado di superare la selezione imposta dal confronto politico all’interno dei partiti, sulla fiducia in loro riposta dagli elettori, sulla “delega” loro concessa dal mandato popolare eccetera.



Le alleanze o le aggregazioni che sembrano emergere nel Movimento 5 Stelle non hanno né forti motivazioni politiche né solidi radicamenti territoriali. La stampa ha parlato soprattutto di lotte di potere e di spartizioni di posti, sulla base di relazioni sociali o, talvolta, di legami familiari, con poco spazio per dibattiti culturali e conoscenza de problemi. A Virginia Raggi è stato rimproverato di portare avanti persone legate ad ambienti della destra romana, rispetto ai quali ha evidenziato più di un’affinità. La neosindaca ha diviso il Movimento, incontrando l’ostilità di figure influenti a livello locale come Roberta Lombardi — peraltro anch’essa nota per una singolare indulgenza verso il “fascismo buono” — o determinanti a livello nazionale come Grillo, in conflitto con Luigi Di Maio che invece l’ha appoggiata. Sembra che il criterio dell’onestà o l’ossessione della trasparenza abbiano impedito scelte discutibili. Ma è ancora poco sulla strada della selezione dei “migliori”.  
Il 67 per cento dei romani che ha votato al ballottaggio per Virginia Raggi ha riposto in lei una grande speranza. La neoeletta è sembrata prendere coscienza del pesante fardello posto sulle sue spalle. A giudicare da personalismi, gelosie, rivalità emersi in questi giorni, non sembra però che questa coscienza sia pienamente acquisita da lei e da tutto il Movimento. Si trattasse davvero di correnti sarebbe diverso. Malgrado la loro pesantezza ideologica e il duro confronto politico, le correnti della Prima repubblica hanno contribuito a quello che è stato chiamato il “governo di partito” che, con tutti i suoi limiti, da un lato ha garantito un rapporto stabile tra cittadini e politica e dall’altro ha selezionato, più o meno bene, il “personale” per le istituzioni. Per questo è legittimo dubitare, al momento, che le divisioni all’interno dell’M5s sulla giunta capitolina siano l’esito di un confronto di correnti. C’è da augurarsi che siano solo le difficoltà del rodaggio.

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