“Alla luce del suo intervento nell’ultima direzione, Renzi non mostra nessuna disponibilità strategica a una ricollocazione del Pd e del suo progetto per la società italiana. Una certa fase del renzismo è giunta al capolinea, e per il momento non emergono idee nuove per un rilancio di questa prospettiva”. E’ l’analisi di Paolo Corsini, senatore del Pd ed ex sindaco di Brescia, in una fase in cui i malumori all’interno del partito sono particolarmente forti. Il dibattito sulla necessità di cambiare la legge elettorale e le incertezze in vista del referendum costituzionale stanno aumentando le tensioni all’interno del Pd.



Senatore Corsini, lei come vede la situazione all’interno del Pd?

La mia impressione è che si stia navigando a vista, anche perché le vicende che riguardano Angelino Alfano hanno determinato una serie di fibrillazioni all’interno dell’attuale maggioranza. Il primo problema è una stabilizzazione in vista di un consolidamento del governo. La campagna referendaria inoltre non è ancora partita. Nonostante Renzi abbia cercato porre al centro il tema del referendum, in realtà la questione delle amministrative ha campeggiato. Il Pd ha dunque un certo ritardo sotto il profilo dell’orientamento dell’opinione pubblica.



La sconfitta alle comunali è già stata elaborata?

Rispetto all’insediamento sul territorio ci sarà un gap da recuperare, perché alcune sconfitte come quelle di Roma e Torino sono state abbastanza gravi. Da più parti si chiede una correzione dell’Italicum, perché così come oggi la legge è congegnata significa una quasi certa vittoria di M5s. Come ha dimostrato l’esperienza delle amministrative, M5s è una straordinaria macchina da ballottaggio.

Il centrodestra può tornare a insidiare il Pd?

Anche nel centrodestra c’è un problema non indifferente, cioè la riproposizione di un’area unificata anziché profondamente divisa come oggi. L’esperienza di Stefano Parisi è interessante perché determina una sorta di stabilizzazione sistemica, con un centrodestra di ispirazione europea, popolare e liberale, che ritengo utile al Paese. L’ipoteca lepenista di Matteo Salvini è però estremamente gravosa, e vedo quindi una situazione politica molto complessa.



Quali sono le sue proposte per fare uscire il Pd dall’angolo?

Renzi ha rivendicato una sorta di ruolo demiurgico, ma ora si trova alle prese con una difficoltà strategica. La vocazione maggioritaria del Pd è uscita largamente mortificata dalla vicenda delle amministrative. Alla luce dell’intervento che ha tenuto nell’ultima direzione, Renzi non mostra nessuna disponibilità strategica a una ricollocazione del Pd e del suo progetto per la società italiana. Una certa fase del renzismo è giunta al capolinea, e per il momento non emergono idee nuove per un rilancio di questa prospettiva. Il vero tema è riuscire a individuare passioni calde che facciano muovere le bandiere, perché c’è una parte del popolo di sinistra che il Pd non riesce più a incontrare.

Quando lei afferma che “una certa fase del renzismo è giunta al capolinea”, intende dire che la stagione del premier è finita?

Non intendo dire assolutamente questo: sono ben consapevole che Renzi costituisce una presenza di grandissimo rilievo all’interno del Pd. Il problema oggi è il cambiamento di rotta, e non il cambiamento di Renzi. La questione non è togliere di mezzo Renzi, come se fosse un corpo estraneo alla vicenda del Pd, bensì consentire alla nave di cambiare rotta collocandola lungo una traiettoria di centrosinistra. Da tempo invece il Pd ha intrapreso una deriva neocentrista.

 

In concreto che cosa si deve fare?

Occorre riaprire un confronto con interlocutori che sono espressione di reti associative e di mondi vitali, superando la sindrome del fare tutto da soli. Bisognerà inoltre pensare a interventi di tipo redistributivo, avendo ben individuato la gerarchia della rilevanza dei problemi di ceti sociali che vanno tutelati e garantiti. E’ questa la scommessa che si dovrà affrontare con la legge di bilancio.

 

Ritiene che vada individuato un nuovo segretario che si occupi del partito a tempo pieno?

Questa è una diagnosi che personalmente condivido. Naturalmente non basta la divisione del lavoro, ma occorrono anche un progetto e una sintonia. La divisione dei ruoli è una conseguenza del fatto che si definisca prima un progetto condiviso. Per il momento chi come me ha una posizione critica nei confronti di Renzi, non ne fa un problema di pedine da muovere sulla scacchiera o di posti da rivendicare.

 

Qual è la vera questione?

La questione è quale partito per quale Paese: è questo che va chiarito e che il Congresso del Pd dovrà affrontare e risolvere. Va cioè definita un’identità di partito funzionale a un progetto di Paese.

 

Lei come vedrebbe Dario Franceschini nel ruolo di segretario?

E’ un’ipotesi assolutamente da fantascienza degli aruspici della politica.

 

(Pietro Vernizzi)